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lunedì 25 novembre 2024

PATRIARCATO
di Claudia Mazzilli


 
A proposito del libro di Massimo Cacciari su Maria.
 
Ha ragione Gabriella Galzio, quando sulle pagine di Odissea parla di “negazionismo patriarcale” (articolo del 23 novembre 2024). Ho letto anch’io la stessa intervista a Massimo Cacciari (https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2024/11/massimo-cacciari-la-figura-di-maria-non.html?m=1) sul suo ultimo libro La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) e ne ho tratto conclusioni che mi fa piacere condividere in questo spazio di confronto democratico e autenticamente libertario. In tutta l’intervista altro non trovo che la ratifica degli stereotipi di genere, che costellano il testo dall’inizio alla fine. Si comincia con affermazioni come “questa figura della donna simbolo di amore gratuito, di perfetta misericordia”, e si chiude con una siffatta conclusione: “La colpa dei padri è di non aver visto e compreso l’icona di Maria: simbolo straordinario di amore gratuito, di misericordia, di partecipazione alla sofferenza, di capacità di perdono”. Verrebbe da dire che i padri tutto questo l’hanno visto eccome! E hanno appiattito Maria in una figurina bidimensionale, volta unicamente all’abnegazione e al sacrificio. Non basta certo l’urlo da partoriente sotto la croce, tanto enfatizzato da Massimo Cacciari, per farne altro!
La donna soffre e perdona, l’uomo esercita il potere. Può essere questa una grande novità? Può essere una rilettura inedita della figura di Maria? Esasperare i tratti di una Madonna sofferente non mi pare una grande rivoluzione ermeneutica. La chiamano da secoli Addolorata, per l’appunto.
Ma passiamo ai lapsus linguistici. A un certo punto Cacciari dice di Maria: “È una donna reale, simbolo di libertà e di misericordia. Non ha niente a che fare con il simboletto della madre terra, è protagonista, non si limita semplicemente a generare”.



Ma, mentre scrive questo, Cacciari sa di cosa parla? Perché io non riesco a capire quale sia per Cacciari il “simboletto della madre terra”, se lui non lo precisa: si riferisce alle incisioni simili ai triangoli pubici? Si riferisce ai disegni ornitomorfici o a quelli ofidici? Allude ai simboli lunari della triplice Dea? Allude ai cerchi, alle spirali, ai meandri? Si riferisce alle statuette femminili opulente o a quelle stilizzate e filiformi? Non è dato saperlo. Certo è che sorprende leggere una formula che appare sprezzante per tre motivi. Perché usare il singolare “simboletto”, se i simboli della Dea sono tanti? Ma soprattutto perché usare un’espressione così sminuente - il diminutivo dispregiativo in “etto” - per quello che invece è il linguaggio della Grande Dea, per parafrasare il titolo del libro di Marija Gimbutas? Un linguaggio che è stratificato nei secoli e nei millenni, oltre che nelle aree geografiche, perché parliamo di una civiltà che è durata decine di migliaia di anni prima che, per sovrapposizione e conquista, più o meno 5.000 anni fa, si imponesse la patriarcalizzazione ad opera dei pastori nomadi indoeuropei cui giustamente Gabriella Galzio fa riferimento quando cita Heide Goettner-Abendroth, la massima esperta nonché fondatrice degli Studi Matriarcali moderni. 



Perché Cacciari parla solo di madre terra (usando rigorosamente la minuscola!) e non invece di quella Grande Dea che è appunto la protagonista di processi che vanno ben oltre il mero generare e che coinvolgono i grandi cicli cosmici della natura, ossia una potenza del femminile che non si limita alla funzione riproduttiva, ma ha il suo rango in sé stessa? La risposta è una sola: di tutto questo Cacciari nulla sa. Nel seguito dell’intervista, infatti, Cacciari non fa cenno alcuno a ciò che Maria ha significato negli strati popolari e per le donne: l’ultima ipostasi di una Dea del continuum indistruttibile di nascita, morte e rinascita, sia pur svilita dopo il concilio di Efeso, come Galzio puntualmente precisa. Mia nonna, ad esempio, pregava la Madonna come figura intermediaria tra i vivi e i defunti della famiglia, non come dea della natalità. 



Appaiono confuse e sbrigative anche le considerazioni di Massimo Cacciari sulla maternità surrogata. Andare oltre la maternità biologica come si concilia, per Cacciari, con lo sfruttamento dei corpi delle donne? Come distinguere tra lo sfruttamento e il dono? Nella risposta all’intervistatrice, Cacciari divide la sua riflessione a riguardo in due parti senza far capire cosa sia per lui l’egoismo e cosa il dono. Ed ecco che di nuovo Cacciari inciampa negli stereotipi: “Padre è la figura che nella nostra civiltà doveva garantire anche la stabilità della nostra identità. Ma è la madre, è Maria la “persona” della Misericordia”. 
In conclusione, Cacciari vuole sentirsi un iconoclasta del patriarcato, ma è tutto dentro il patriarcato, che non chiama con il suo nome, usando invece il termine “maschilismo”, concetto ben più riduttivo, che nulla dice del sistema di dominio dell’uomo sull’altro uomo né del dominio dell’uomo sulla natura, oltre che sulla donna.



Mi si potrà dire che sono io ad avere fin troppi problemi di comprensione e che, se il pensiero di Cacciari è così alto e io non lo capisco, non è colpa dell’esimio filosofo. Oppure mi si potrà rimproverare che tutto il mio ragionamento è viziato da pregiudizi ideologici femministi grevi, e che dovrei leggere non solo l’intervista che ho trovato sguazzando nel web, ma l’intero libro La passione di Maria, prendendomi la briga di andare almeno a sfogliarlo in libreria. Ed è quel che farò. Chi legge e studia, quando prende tra le mani un saggio, parte dalla coda e guarda la bibliografia. E, sapendo bene quali libri non troverò citati in fondo al volume di Cacciari, ho pensato di fornirgli dei consigli di lettura. Sono libri di illustri studiose: sono gli stessi libri che cita anche Gabriella Galzio. Letture che sentiamo di consigliare non solo ai filosofi, ma anche a molti ministri e, più in generale, a chiunque voglia usare la parola “patriarcato” con un briciolo di consapevolezza.