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domenica 1 dicembre 2024

DESTRA E POTERE
di Angelo Gaccione


 
 
Con la presa del potere delle destre in Italia, si è tornati a suonare la grancassa sull’egemonia culturale e sulla “rinascita” di una cultura di destra. Francamente non mi ero mai accorto che la cultura di destra fosse morta, anzi: visto che il conformismo intellettuale e la discriminazione hanno sempre rappresentato la sua cifra. Quando diversi anni fa alcuni intellettuali di sinistra scrissero su questo giornale che parlare di cultura, riferendosi alla destra, era una aberrazione, mi permisi di ricordare un acuto scritto sul “Corriere della Sera” del poeta Giovanni Raboni uscito un po’ di anni prima. Raboni si soffermava su alcune figure eminenti della letteratura e del pensiero, io lo feci scrivendo un lungo articolo che pubblicai sul numero di “Odissea” di novembre-dicembre del 2010, all’epoca edizione cartacea. Per quanto mi riguarda ho sempre giudicato movimenti, ideologie, partiti e governi, usando un binomio infallibile. Controllare come agiscono nei riguardi della guerra, e quali interessi tutelano quando amministrano e governano. Un binomio infallibile per distinguere una pratica di destra da una di sinistra, e per sapere se si tratta di spazzatura reazionaria o di decenza progressista. Se applichiamo questo criterio, ci rendiamo immediatamente conto che l’etichetta “sinistra”, si deve usare con molta cautela e parsimonia. Lo stesso vale per la definizione di “democratici” di cui si fa disinvolto uso. Ve la sentireste di definire democratici veri e propri guerrafondai come Obama, Biden, Macron, Starmer e gente simile? Purtroppo la cultura di destra è sempre stata egemone e maggioritaria e lo è in maniera più ampia ai giorni nostri. Accomuna i guerrafondai di ogni specie che non si chiedono chi le fomenta le guerre e per quali interessi. Ma si avvale soprattutto di un arco parlamentare composito, ai cui vertici dirigenziali siedono figure che, per come vivono e per come agiscono, non hanno nulla a che spartire con gli interessi dei ceti popolari e con gli oppressi. Sul piano dei fatti concreti le differenze fra la destra e questo genere di sinistra, sono diventate marginali. È non è un caso che il partito maggioritario in Italia sia quello degli astensionisti: privi di difesa e di rappresentanza. Ecco qui sotto quel lontano scritto.  
 
DESTRA E CULTURA
di Angelo Gaccione



Ritorna la litania sulla cultura di destra. A cicli. Chi solleva periodicamente la querelle, forse è convinto che essa (la cultura) sia unica, monolitica, indivisibile. Eppure il dibattito è vecchio di qualche secolo; dai tempi di Hegel con la distinzione in campo filosofico fra destra e sinistra hegeliana; con gli schieramenti politici della destra e della sinistra storica così come si sono configurati nel corso dell’Ottocento italiano, o in Francia ai tempi dell’Enciclopedia e del conflitto che darà vita alla Rivoluzione francese. Per stare stretti. Dunque dovrebbe essere così scontatamente ovvio che perderci altro tempo dovrebbe suonare pernicioso. Chi riapre la questione vuole in realtà rivendicare alla destra un ruolo non subalterno nei confronti della cultura come merce di un’unica bottega; come appannaggio non esclusivo della sinistra, dell’uomo di sinistra, cui la cultura sarebbe quasi consustanziale. Più precisamente all’intellettuale di sinistra che nel corso di alcuni periodi storici ha imposto il suo dibattito, ha prodotto oggetti culturali, ha tenuto un’egemonia di luoghi, ambiti, idee, ha occupato spazi e tribune di discussione, ha esteso numericamente le sue milizie, ha annoverato figure di prestigio.  

                             

Heidegger
                                  
La destra, soprattutto oggi qui da noi con il berlusconismo trasformista e vincente, (quanti di questi intellettuali che erano andati a rimorchio dei partiti di sinistra ricevendone prebende e privilegi, costruendosi fortunate e fortunose carriere, hanno abbandonato la nave traballante della sinistra che stava colando a picco per adagiarsi comodamente sulla nave col vento in poppa del vincitore? Di questi trasformisti, - esiste anche un trasformismo intellettuale e culturale, un voltagabbanismo culturale che investe loschi individui il cui motto è: stare sempre a galla, come gli stronzi - ma si sa, gli stronzi galleggiano sempre in acque fetide) vuole farsi un pedigree e presentarsi come a sua volta pensante, sofisticata, raffinata, intellettuale, colma di idee e di proposte, di una sua concezione del mondo il cui modello possa abbracciare la società nel suo insieme, il vivere comune. 


Céline
                          
Il mio compianto amico, lo scrittore Giuseppe Bonura, su queste pagine aveva ironizzato sul fatto che la destra potesse avere a che spartire con la cultura e come fra destra e cultura ci fosse un abisso incolmabile, una barriera invalicabile. Un muro. Un’altra cara amica, la scrittrice Gina Lagorio, aveva fatto altrettanto, seppure per brandelli di riflessioni; quasi a voler significare che il rapporto fosse così assurdo e inconsistente da non spendervi tempo più del dovuto. Per lei, ma credo per la gran parte degli intellettuali di sinistra, questa visione restava predominante, pacifica, assodata. A me però quelle idee non convincevano. La questione m’era sempre parsa mal posta, tanto più che essendo il mio pensiero formatosi nella tradizione libertaria, non è che la cultura di sinistra (intesa come cultura marxista nelle sue molteplici varianti) e dei suoi intellettuali, e ancor più e in maggior misura il loro comportamento di vita personale-individuale, il loro agire politico separato dalla morale, mi entusiasmasse più di tanto o mi facesse impazzire. Proprio per niente. Non mi piacevano come si comportavano nelle università, non mi piacevano come agivano politicamente, non mi piaceva il loro legame mortifero e mortale con quel fecciume che erano i Paesi dell’Est con il loro comunismo da caserma, non mi piaceva il loro dogmatismo, il fideismo verso la storia che mi sembrava simile a quello delle chiese più reazionarie, detestavo certa sicumera, l’empietà verso i sentimenti, la desacralizzazione della natura che come giovane appassionato di versi annaspavo sulle pagine dei poeti, e tanto, tanto, tanto altro ancora. I convincimenti di quei dotti amici, mi facevano tornare alla mente un lontano e denso intervento del critico e poeta Giovanni Raboni sul Corriere della Sera, che disquisiva appunto sulla questione, assegnando alla destra un’alta cultura di appartenenza, citando nomi del calibro di Ezra Pound, Céline, Heidegger, Smith, Ernst Jünger e così via. E come dargli torto?             

                              
La Rochelle
                                                                                

Bonura che non era, com’è noto, né un teorico né un filosofo, ma uno scrittore e un critico, è stato perentorio. Recensendo il libro di un autore decisamente di destra, il francese Pierre Drieu La Rochelle, La commedia di Charleroi, su Avvenire*, esordisce così: “Un intellettuale di destra è un fenomeno contro natura”, e ne spiega le ragioni. Egli è profondamente convinto che “un vero intellettuale non può essere che un critico antagonista dello status quo” sempre in contrasto con il potere dominante e la sua ideologia. Dunque non ne può glorificare le gesta né piegarsi al suo opportunismo. Perché come sostiene Julien Benda, egli deve farsi paladino dei valori universali e dei diritti dell’individuo, in opposizione a quelli disumani della massa e degli stati. Occupandosi poi sullo stesso quotidiano di Louis-Ferdinand Céline, l’autore di capolavori come Viaggio al termine della notte e Morte a credito, non può fare a meno di rilevare l’ammasso di aberrazioni contenute nei suoi libelli “politici”, visceralmente razzisti e antisemiti. Si chiede stupefatto come “l’energumeno antisemita” (così lo chiama Bonura) sia potuto diventare un grande scrittore, e annota: “In arte, genio e criminalità vanno spesso d’accordo. Così vuole la natura. L’uomo Céline resta un mistero”. Da parte sua Sossio Giametta riecheggia Bonura, e parlando della compiacenza del filosofo tedesco Martin Heidegger nei confronti del nazismo, così si esprime nel volume di elzeviri filosofici dal titolo Il volo di Icaro: “D’altronde nel filosofo, come in tutti gli uomini, mente e carattere sono due cose distinte e separate. S’intrecciano, ma rimangono intimamente autonome. Un grande filosofo può essere un uomo meschino”. Politicamente e umanamente un altro mistero come Céline. 


Junger

Per parte mia sono stato sempre convinto, e lo rimango, che la stragrande maggioranza degli intellettuali (di ogni campo del sapere e della creatività) sia fondamentalmente di destra. Nelle idee e nell’agire pratico. Nel conformismo e nelle credenze. Se così non fosse, il consorzio umano avrebbe messo al bando già da tempo molte delle mostruosità che continua a trascinarsi dietro, come se i secoli fossero passati invano. In verità l’uomo nella sua essenza resta mentalmente pigro e gregario, ed in ogni tempo solo una esigua minoranza intellettualmente “pericolosa”, si distacca dal senso comune della massa e propone idee “pericolose”. Non c’è bisogno di andare lontano con gli esempi, basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanta gente di “pensiero” e delle professioni intellettuali, ruota intorno a figure del potere insignificanti e mediocri, prive di uno straccio di idea di qualche interesse. Una caterva. Fra i ridicoli vassalli che hanno giurato nelle mani del signore feudale Berlusconi, pubblicamente e senza arrossire, sul ridicolo programma elettorale del Popolo delle Libertà, c’era gente che ha frequentato le migliori Università. 


Schmitt

Durante la guerra nel Golfo Persico scrittori e letterati di primo piano, che pure avevano scritto libri molto umani e in difesa della vita, sposarono il senso comune; con motivazioni di sconcertante ebetismo, si fecero tifosi dei bombardamenti senza tentare un minimo di analisi, fosse pure di grado zero. A pochi metri dalle loro fornitissime biblioteche, per esempio nei mercati rionali o sui tram, si potevano sentire dialoghi in cui la guerra più banalmente veniva definita un crimine. Ora io credo che se si vuole affrontare seriamente una volta per tutte la questione della cultura di destra, alta o bassa che sia, (che non si può liquidare con un atteggiamento superficialmente snobistico) occorra procedere con una serie di stringenti interrogativi che la mettano con le spalle al muro: qual è la concezione del mondo della cultura di destra e dei suoi cantori? Quali le idee e l’agire, quali i valori e le impalcature su cui poggia? Posta in termini così concreti il dibattito esce dalla finzione e noi possiamo vederne tutta la miseria. 


Evola

Sì, perché essa si sustanzia in un impasto di idee e progetti criminali da un lato; di disconoscimento dei diritti, di legittimazione della disuguaglianza, di disprezzo per ogni visione solidaristica fra gli uomini, di affermazione del dominio e della conquista, di esaltazione del male e dell’indifferenza verso la pietas, di celebrazione della guerra, della pena capitale, della nazione e dello stato nelle sue forme più esaltate, totalitarie e violente dall’altro. Le gerarchie, l’ubbidienza al capo assoluto, l’odio per le diversità e le minoranze (religiose, sessuali, razziali), il disprezzo per i valori democratici, l’infatuazione per la forza, il mito del sangue, del suolo, della propria elitaria, aristocratica, egoistica separatezza. E quel che è peggio: l’uomo come strumento, come mezzo; adoperato per un fine che si presenta mascheratamente metafisico, fintamente teologico, ma che nella realtà è di puro servaggio e sfruttamento. La cultura di destra difende i valori della tradizione, quelli più reazionari, e della religione prende il peggio. Ne respinge infatti l’afflato di carità, di perdono, di solidarietà, di amore per la pace, di nonviolenza, di rispetto di tutte le creature, di sacralità degli elementi, di gratuità del donare, del soccorso dei derelitti come insegna il sacrificio della Croce o il prendersi cura del buon samaritano. 


Pound

La cultura di destra è un fenomeno contro natura perché si presenta apertamente come sua nemica: saccheggiatrice, mercificatoria. Ma è anche un’aberrazione, come dimostrano i pamphlet politici di Céline o Ezra Pound, infarciti di spazzatura della peggiore specie. Per produrre qualcosa di grande questi autori hanno dovuto entrare in collisione con la canagliesca furfanteria del potere, bellico o finanziario poco importa. I Canti pisani o Viaggio al termine della notte ne riscattano l’aberrazione e l’abiezione morale, perché questi sono libri apertamente anarchici, contusivi e contro la destra.
 

Ora nel volume: L’industria del complimento (a cura di Alessandro Zaccuri) Ed. Medusa, pagg. 233 e segg. 

[“Odissea” edizione cartacea, anno VIII n. 2 novembre-dicembre 2010]