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lunedì 16 dicembre 2024

SEI CREDENTE? NO, SONO SENZIENTE
di Gabriella Galzio    
 

   
Nell’editoriale di Limes di novembre (2024), dedicato alla crisi climatica, potete leggere (p. 15): “I disastri ecologici sono figli del cristianesimo latino, matrice dell’Occidente. A questa pervasiva radice dobbiamo idea e prassi della separazione tra uomo e natura. La Bibbia stabilisce che uso e abuso umano delle risorse naturali a proprio beneficio derivano da mandato divino. Fatti a sua immagine e somiglianza, Dio ci vuole dominatori del creato: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e abbiate potere sui pesci del mare e sui volatili del cielo e su ogni animale che striscia sopra la terra terra (Genesi, 1, 28) La storia del progresso scientifico e tecnologico occidentale poggia sulla matrice ebraico-cristiana che ci invita a dominare la natura. La rivoluzione scientifica del Seicento e quella tecnologico-industriale del Sette-Ottocento sono prodotto di quella tradizione per cui tutto ciò che non è umano – talvolta anche gli umani classificati di razza o categoria inferiore – risulta oggetto a disposizione delle nostre necessità e dei nostri capricci”.
Lynn Townsend White jr., medievista, presbiteriano ne è consapevole quando afferma che a differenza del paganesimo e degli antichi culti orientali, il cristianesimo occidentale benedice la frattura uomo/natura e afferma che lo sfruttamento delle risorse ambientali è volontà di Dio: «Distruggendo l’animismo pagano, il cristianesimo rende possibile sfruttare la natura nell’indifferenza dei sentimenti degli oggetti naturali». I missionari cristiani si dedicarono alla distruzione dei boschi sacri pagani perché ai loro occhi «un albero non era che un accidente» fisico. White cita quale loro seguace, senza nominarlo, l’allora governatore della California Ronald Reagan per cui «se uno ha visto una sequoia le ha viste tutte». (p. 17) Come antidoto vi invito a leggere il canto dell’Amazzonia di Márcia Théophilo, esempio di come la poesia possa fare civiltà.
Oggi c’è chi invoca (White compreso) come panacea ecologica Il Cantico delle creature di San Francesco e l’enciclica Laudato si’ del papa cristiano, che parrebbero smontare la gerarchia tra umani e animali perdurata per secoli. Di fatto la gerarchia solo si stempera, ma resta fondante: in alto rimane il Creatore, in basso le creature. La stessa categoria “creaturale” passa inosservata, quando invece è una costruzione culturale del teo-logos. L’enciclica arriva dunque a lambire il problema ma non arriva a intaccarne il nucleo, ovvero la necessità di tornare a sentire la natura, a sentirla come sacra, e non solo a pensarla, in chiave eco-logica o teo-logica. Perché mai abbiamo bisogno di pensare un ente là fuori, trascendente, che questo mondo immanente l’abbia creato? Che ci costringe ad essere credenti (in un dio intangibile, invisibile, inudibile, staccato dai sensi)? Non ci basta fare esperienza diretta della grandezza della natura, del cosmo, e di tutto il vivente in quanto tangibile, visibile, udibile… amabile? Non ci basta essere senzienti? L’eco-logos, il tecno-logos, il teo-logos, in sintesi, il primato del logos è il frutto della medesima scissione da una cultura del sentire, che attraverso i sensi e la sensitività faceva esperienza del sacro. E finché non rientreremo nell’habitat naturale cui apparteniamo, finché non torneremo a sentire con tutti i sensi il nostro mondo naturale, non ci sarà eco-logia che tenga. Sono credente? No, sono senziente. Ed è in questo cambio di paradigma la nuova rivoluzione copernicana che ci attende.