1945 - 2025: 80 anni dalla Liberazione La gentilezza è un piacere,
riceverla e offrirla, in tutte le occasioni, da quelle di maggior impegno, a
quelle più semplici ed anche frivole. Purtroppo, mai come di questi tempi, di
gentilezza se ne incontra poca, ed invece straripante è una sempre più
stomachevole piaggeria. È con intento gentile che in questo inizio di 2025, in
cui ricorreranno gli 80 anni dalla “Liberazione” propongo il ricordo di un
grande uomo della Resistenza, Piero Calamandrei, attirando l’attenzione su un
suo libro unico intimo e davvero originale. Inventario diuna casa di
campagna, prima edizione Firenze, Le Monnier, 1941, rieditato, per merito
di Edizioni di Storia e Letteratura di Roma nel marzo 2013, per quel che vale
il mio sentire, confesso con qualche pudore che sono preso da incantamento alla
lettura di queste bellissime pagine, e quando meno me lo aspetto la commozione
mi serra la gola, inducendomi a tornare sulle righe appena sfiorate con lo
sguardo, per godere di nuovo della commozione e per carpirne a fondo le
ragioni. In questo paese dove da decenni moltissimo si modella, ovvero si
deforma, con gli strumenti di Corruzione, Frode, Mafia e Parassitismo, per
dirla con Franco Cordero, con la “quadrilettera” CFMP, leggere le pagine che
Calamandrei aveva destinato all’attenzione delle persone a lui più vicine,
ristora, almeno per il tempo in cui la lettura consente anche di credere che un
altro mondo sarebbe anche possibile, o addirittura che “il mondo che nasce”
ogni giorno più brutto sotto i nostri occhi, potrebbe, per dirla con un altro
grande italiano, Adriano Olivetti, essere anche realisticamente figlio di una
diversa quadrilettera: AVGB; Amore, Verità, Giustizia, Bellezza.
Anche
senza idealizzare un mitico passato non certamente trascorso indenne da errori
umani, un passo del libro di Calamandrei mi ha imposto ad un tempo speranza e
amarezza. Laddove egli descrive il luogo dove ha trascorso parte della sua
giovinezza, Montauto in Toscana, come il “dolce paesaggio, accogliente e
fedele, (…) fatto di medie colline accomodate su diversi ordini di uno stesso
scenario”, arriva a sostenere che prima che quella regione “gli uomini
l’avessero usata col loro soggiorno di millenni”, a “cento e cento generazioni”
quel paesaggio “ha dato il gusto dell’armonia e della gentilezza”. Quando è
accaduto che abbiamo cominciato a perdere il gusto dell’armonia e della
bellezza che la natura ci ha insegnato senza chiedere in cambio altro che
meditato rispetto? e quando abbiamo cominciato a credere di poter rinunciare a
quell’insegnamento e ne abbiamo perduto progressivamente il filo, sino a convincerci
che la natura sia solo una nemica da piegare e piagare in schiavitù? Ci
crediamo più evoluti e moderni, e siamo solo più stupidi e più soli, e, scrive
ancora Calamandrei: “quando l’uomo sarà sparito, e si parlerà di esso nelle
leggende come noi parliamo dei giganti che toccavano il cielo, forse il seme
della civiltà sarà emigrato in questi paesaggi a scala ridotta (quello delle
formiche rosse, nota mia): allora il mondo, diventato troppo ristretto per la
razza umana, riapparirà agli occhi di questi guerrieri misterioso e infinito; e
toccherà a loro, stregati come noi dalla frenesia di conquistarlo, ricominciare
la storia”. Non resta che augurarci che questo anniversario tondo della
liberazione dal giogo del fascismo di Mussolini, ci aiuti ad onorare il ricordo
di uomini come Calamandrei, e a non cadere avviluppati nella ragnatela tessuta
dai “nuovi fascisti” del XXI secolo.