L’ottimismo della spontaneità. Simona
Forti e Gabriele Parrino hanno curato per Raffaello Cortina editore: La
rivoluzione ungherese e l’imperialismo totalitario: tre articoli sulla
rivoluzione ungherese del '56 che, come fa notare il curatore americano del
volume, Arendt avrebbe voluto dedicare a Rosa Luxemburg, una dedica che fu
cancellata da Hans Rossner curatore della prima edizione in tedesco. Arendt difesa la sua scelta
ritenendo che Rosa Luxemburg non fosse stata né socialista, né comunista ma
soltanto una persona che difese la giustizia, la libertà e la rivoluzionein quanto uniche possibilità per una nuova
forma di società e di Stato. Gli articoli raccolti appunto in
volume arrivano adesso in Italia e la conclusione del primo saggio (pubblicato
in Germania nel 1958) giustifica ampiamente l'interesse che oggi può suscitare
questo avvenimento editoriale: "..La rivoluzione ha colto tutti di
sorpresa; nemmeno gli eventi in Polonia l'avevano preparata. E' avvenuta senza
alcuna preparazione, nessuno l'aveva prevista, nè chi ha combattuto e sofferto,
nè chi guardava svolgersi gli avvenimenti dall'esterno con furiosa impotenza,
né chi è arrivato con la forza armata per sopprimerla. In quelle circostanze è
accaduto qualcosa su cui nessuno credeva più , ammesso che qualcuno ci avesse
mai creduto. Certamente non ci credevano i comunisti, gli anticomunisti a ancor
meno tutti coloro che si riempivano la bocca di cliché altisonanti sui doveri
del popolo di ribellarsi contro il terrore totalitario senza sapere o
preoccuparsi del prezzo che altre persone avrebbero dovuto pagare per le loro
frasi vuote. Se è mai esistita qualcosa come la "rivoluzione spontanea"
di Rosa Luxemburg abbiamo avuto il privilegio di esserne testimoni:
un'improvvisa insurrezione di un intero popolocon nessun altro obiettivo se non il bene della libertà, senza il caos
demoralizzante di una sconfitta militare che la precedesse, senza tecniche da
colpo di Stato , senza un apparato di cospiratori e di rivoluzionari di
professione e addirittura senza guida di un partito..."
Hannah Arendt
Arendt contrasta così
radicalmente la tesi di Boris Nicolaievsky che concludendo sei articoli
pubblicati dal settimanale newyorkese"The New Leader" tra il 29 luglio e il 2 settembre 1957
sosteneva che "..il rapporto delle Nazioni Unite sulla rivoluzione
ungherese ha stabilitoche lo scoppio
della violenza a Budapestè stato il
risultato di una deliberata provocazione". Il nostro interesse , seguendo la
tesi di Arendt, si può cogliere in un punto del dibattito che si sollevò in
quel frangente nella sinistra italiana e la maturazione in essa, in particolare
nel PCI, di un avvio di consolidamento della linea della "via italiana al
socialismo" mentre il PSI prendeva la mosse per una direzione (quella del
governo) che appariva già matura nelle modificazioni profonde avvenute nella
società italiana sulla via della ricostruzione post-bellica e dalla esigenze di
cambiamento nella strategia internazionale dettate- comunque - dall'insorgere
del post-stalinismo.
Rosa Luxaemburg
Se è vera la tesi della
"spontaneità luxemburghiana" sostenuta da Arendt allora la risposta
della "via italiana al socialismo" andrebbe rivisitata e rivalutata
perché sicuramente rappresentò un punto in avanti nonostante gli sconquassi del
momento: in questo caso però prende ancora più quota l'ipotesi che la vera
occasione perduta non fu Budapest '56 (come ci si affrettò a proclamare
all'inizio degli anni'90) ma fu Praga '68 , tragedia capitata in un contesto
politico radicalmente diverso di evoluzione e proposta da parte del PCC e
quindi "politicamente preparata": in quell'occasione, invece, la
sinistra italiana e segnatamente il PCI si divise su questioni prevalentemente
interne invece di comprendere appieno il valore dell'opportunità che si stava
presentando sul terreno della costruzione di una alternativa di sistema
attraverso una precisa dichiarazione di "irriformabilità" del
sistema. Oggi a molti sembrerà inutile recuperare
questa discussione ma la lettura del testo in questione rimane di grande
interesse proprio nel momento in cui sorgono i grandi interrogativi di uno
spostamento radicale di equilibri in favore di un nuovo paradigma rappresentato
dalla connessione tra conservazione, populismo, tecnocrazia che potrebbe avere
come sbocco un rinnovo del totalitarismo al riguardo del quale non potrebbe
essere sufficiente una risposta spontaneista anche se il dato di una
sollevazione etica prima ancora che politica non dovrebbe essere sottovalutato. Il tema quindi non è quello di un
impossibile raccordo storico ma quello del come può essere ritrovata una
strada, come fu allora a sinistra in Italia, per recuperare la via di una
politica capace di comprendere i mutamenti e raccogliere la spontaneità di una
opposizione che sorga - come Arendt definisce l'identità di Luxemburg - nella
difesa della giustizia e della libertà intesa come espressioni rivoluzionarie:
e non si tratta di semplici reminiscenze novecentesche.