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martedì 18 febbraio 2025

SCUSATE!
di Romano Zipolini 


Svetlana Aleksievic

Mi scuso davvero tanto con Voi, sarò disturbante, sarò prolisso, ma, almeno con Voi, non posso tacere il mio pensiero. E il mio sentimento.
Non posso credere che davanti a tanta devastazione, siamo ancora al tifo da squadre di calcio. Che non ci avvediamo che tutto il gioco è falsato. Gli arbitri sono corrotti. E la “tecno moviola”, crea più danni della grandine. Trenta anni di: “la storia è finita”, “evviva il liberismo”, che abbiamo confuso con la democrazia, trenta anni di “esportiamo la libertà con la guerra e la globalizzazione”, ci hanno davvero fatto dimenticare, non solo di praticare un mondo diverso, ma persino di pensarlo (figuriamoci di teorizzarlo)? E dove sono i nostri teorici? Balbettano parole prese a prestito dal pensiero dominante. E così prevalgono i teorici di estrema destra, che gioiscono per la straripante vittoria dei padroni del mondo. Lo chiamano “tecno feudalesimo”, o conflitto tra “imperi”, che controlleranno i rispettivi nazionalismi. Bell’affare! Noi stessi, abbiamo abbandonato il campo, e lasciato persino la cultura al nuovo fascismo, che si è appropriato dei nostri strumenti, ha mistificato i nostri valori, ce li sta presentando a frustate, perché li si possa leggere al contrario: ci ha messi nell’angolo. E il Papa, che è l’unico a non accettarlo, non sta neppure più tanto bene… E commuove anche me, che credo solo nell’ “al di qua”. Lui sembra “fuori dal mondo”, ma solo stando fuori da questo mondo lo si può vedere nella sua interezza e nella sua tragica brutalità. 


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La globalizzazione è finita. Facciamocene una ragione. Mettiamoci il cuore in pace. Il liberismo è sempre stato una foglia di fico del capitalismo, una parvenza di democrazia, per i gonzi che ci hanno creduto. Chi si può dimenticare quell’incauto: “anche noi abbiamo una banca”! Libera volpe in libero pollaio. Questo è ed è stato sempre il liberismo, prima di morire. E ora è morto. Ed il liberismo aveva già mostrato il suo volto quando si era fatto ben volentieri da parte, e si era messo a tifare per Hitler e Mussolini, confidando che facessero piazza pulita del “pericolo rosso”. Neppure le “democrazie occidentali” si erano accorte che quel pericolo non era più rosso da tempo, e che, per il capitalismo, il dominio imperialistico è un processo inevitabile, da perseguire a ogni costo: anche con le dittature (Cile, Argentina, Paraguay, Grecia, ecc.). 



Le contraddizioni tra il capitalismo USA, il capitalismo cinese e il capitalismo russo, sono esplose da sole, senza di noi, e ci troviamo davanti a tutto un nuovo mondo, che non comprendiamo, perché abbiamo da troppo tempo abbandonato gli strumenti di analisi che potevano decifrarle, trasformandoci tutti in epigoni consenzienti, delle idee dominanti: quelle imposte dal potere dominante. Ma il potere dominante fa da sé. Gli epigoni sono serviti solo per addomesticarci al consenso. Ovviamente, anche tutto il nostro vecchio armamentario non è più all’altezza per la comprensione dei tempi. La globalizzazione, che sembrava eterna, ha fatto la fine dei CD: anche quelli li consideravamo eterni, e tuttavia sono tramontati, inopinatamente, molto prima del previsto. 


Lo scrittore disarmista
Carlo Cassola

Anche noi avevamo accettato l’idea confortante del pensiero unico, delle “magnifiche sorti e progressive” del capitalismo, della fine delle contraddizioni. E continuiamo a credere che sia il capitalismo a poterci liberare dalle diseguaglianze. Poveri noi! Mal ce ne coglie: pigri e assuefatti, ci abbiamo voluto credere e adesso non decifriamo più nulla. Se non fosse una tragedia, ci sarebbe tanto da ridere: neppure i padroni del mondo ci credono più nel liberismo. Tutto è accaduto “come in un lampo”. Ora subiamo il “tecno feudalesimo”, il conflitto tra “imperi” e noi, sorpresi e spaventati, trasognati, cerchiamo di capire se Trump è ancora meglio di Putin, o di Xi Jinping. E se non lo è: piangiamoci sopra, perché altro non si riesce a fare. O forse, vogliamo credere che sia un bene che l’Europa esca dalla crisi appoggiando le guerre, vendendo le armi e confidando di fare soldi, con le ricostruzioni di tutto quello che le armi hanno devastato? 



Mattarella ha fatto un buon discorso dimostrando, per certi versi, di essere consapevole di questa trasformazione ed è stato un intervento, in tante parti, apprezzabile. Quando ha voluto “pagare dazio” ai “negazionisti”, per una pacificazione impossibile, equiparando nazi-fascismo a Putin (che è al comando di un paese capitalista con il quale l’Occidente ha sempre fatto affari), ed ha voluto giustificare le scelte di una Europa guerrafondaia e senza il benché minimo progetto di pace, ha espresso un giudizio di una stupefacente grossolanità, inadatta al suo spessore. Ha formulato un parallelismo grottesco, che ha consentito a un dittatore come Putin di replicare con sdegno. E Putin è un manipolatore, a cui è stato offerto questo regalo, e ne ha subito approfittato. Ma, per i russi, i 28 milioni di morti sacrificati anche per la nostra libertà, e per difendersi dall’aggressione “occidentale” della Germania e dell’Italia (due dei paesi più “avanzati” di Europa), sono, purtroppo, un fatto reale. 



Ha compiuto un falso storico, ha confuso “mele con pere”, ha dimenticato le nostre guerre di invasione (Corea, Vietnam, Africa tutta, Iraq, Afganistan, e chi più ne ha più ne metta), le nostre brutalità, i nostri atti terroristici, le dittature più infami, compiendo la scelta di ignorare la storia e la Costituzione, squalificando il suo intervento, perché neppure lui può permettersi di ignorare che l’Italia ripudia la guerra. Pagliarulo, invece, ha perso l’occasione per tacere. Sappiamo bene che più l’Anpi si dimostra vitale, più si dispiegano manovre politiche per condizionarla, ma l’autonomia e indipendenza dell’Anpi si tutelano curando i valori partigiani e i principi della Costituzione, rifuggendo da cedimenti, anche se finalizzati alla tutela dell’Organo istituzionale che sembra costituire uno dei pochi baluardi, rispetto al revisionismo fascista, che si sta imponendo.


Non io, ma la premio Nobel Svetlana Aleksievic (“il male ha nuovi volti”) nella sua lezione tenuta il 7.12.2015 (Duemilaquindici) presso l’Accademia di Stoccolma, ha scritto parole inequivocabili. Lei: la più determinata critica del regime totalitario stalinista, che ha scritto: Preghiera per Chernobyl, che ha scritto La guerra non ha un volto di donna, che ha scritto Ragazzi di zinco, sulla tragedia cecena, che ha scritto Tempo di seconda mano, confessa al Mondo: “mi sono chiesta quale libro avrei voluto scrivere sulla guerra. Avrei voluto scrivere di un uomo che non spara ad un altro uomo, che è semplicemente incapace di farlo, che soffre alla sola idea della guerra. Ma dov’era quest’uomo. Io non l’ho incontrato”. In quella occasione, ripeto 2015 (in tempi, cioè, come si dice, non sospetti), denunciava già la guerra fratricida tra Russia e Ucraina, iniziata del 2014 (non quattro anni fa). Pensarla diversamente vuol dire adagiarsi sulle narrazioni di regime, chiudere gli occhi davanti a ciò che si conosce con certezza.

 


Nessuno può tradire la conquista umana e etica dei partigiani, che, dopo aver combattuto con le armi, per liberarci dal fascismo, conoscendo l’ignominia della guerra, le sofferenze che crea per ogni persona umana, scrissero in Costituzione: “l’Italia ripudia la guerra”. La ripudia e neppure ci guadagna sopra. Scrive ancora la premio Nobel: “mi hanno mostrato una mina italiana ultimo modello e come prima reazione ‘femminile’, mi sono detta: È bella. Perché farla bella?”. Se non troviamo anche tra noi un nuovo linguaggio e nuove ragioni di lottare per un altro mondo, continuiamo tranquillamente a fare i tifosi e a non vedere le ragioni, e non solo i torti, del pensiero degli altri.