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lunedì 10 marzo 2025

MELONI E IL “PROBLEMA DELLE SCARPE”  
di Luigi Mazzella


 
Una premessa mi sembra necessaria: il problema della guerra e/o della pace non può essere considerato “politico” in senso stretto: non attiene all’organizzazione della “polis” ma alla sua sopravvivenza; il suo carattere è esistenziale e filosofico; sul piano psicologico è uno scontro tra chi ama edonisticamente la vita e chi ha il culto, naturale o religiosamente indotto della morte (magari, come inizio di un’altra vita, addirittura eterna).


Ursula manda in guerra
lei non rischia la pelle

Di recente, il “riarmo” europeo voluto dalla tetragona e teutonica Ursula von der Leyen ha messo ulteriormente in luce quanto la politica possa accrescere la confusione mentale della gente che popola i Paesi del vecchio Continente. Naturalmente: Italiani in prima linea. Elly Schlein, urlando (come fa di consueto, quando intende comunicare il suo punto di vista) ha criticato ferocemente la Sinistra europea dichiarando di avere una posizione nettamente contraria (simile a quella di un suo avversario politico, l’ungherese Orban) e “spiazzando” le varie Bonafè dislocate nei talk show serali delle tivù degli “eredi  di Berlusconi” e di Cairo. Dal canto opposto, Giorgia Meloni, votando a favore, si è allineata alle tesi degli orfani europei di Biden e dei seguaci stranieri del Partito Democratico nordamericano, tradendo Trump e Musk (da considerare, per così dire, “sedotti e abbandonati”). Il problema della Presidente del Consiglio italiana è che, a differenza del Presidente Ungherese - che ha avuto il coraggio di farlo, senza titubanze - non trova (o sa di non potere avere, per la pesante zavorra che ha imbarcato con Antonio Tajani) il modo di dirigere la rotta verso la “neutralità” e sottrarsi al problema che potremmo definire “delle scarpe”. Lei sa bene che stare con un piede in due scarpe ha il significato di doversi barcamenare a lungo, tentare di servire due padroni, fare, in buona sostanza, il doppio gioco. 



E giustamente, Giorgia Meloni non ritiene che sia una posizione comoda per lei quella del tentativo di tenersi buoni sia Trump sia la von der Leyen nel suo ruolo di “erede” di Biden. Sa pure che l’altra posizione di stare con due piedi in una scarpa sola le procurerebbe una sensazione di scomodità e di costrizione. Fuor di metafora rappresenterebbe per lei un’assoluta mancanza di libertà, non solo di agire ma anche di esprimersi. Solo se lei decidesse di camminare scalza - o fuor di metafora seguisse Orban nella sua scelta nel dirsi neutrale - potrebbe uscire dall’impasse in cui si trova attualmente e riprendere un dialogo positivo con i nuovi inquilini della Casa Bianca. Le condizioni per farlo dignitosamente ci sarebbero tutte. Gli Stati Uniti di Biden avevano convinto l’Occidente che Zelensky fosse una vittima dell’aggressione all’Ucraina di Putin (equivalente al “feroce Saladino” dell’opera dei pupi (non solo siciliani) e gli Europei avevano creduto a una tale versione. Poi, però, gli stessi Stati Uniti (divenuti) di Trump avevano fatto una narrazione dei fatti del tutto opposta: il “criminale assassino” era il comico di Kiev che, impossessatosi del potere con un colpo di mano favorito dai neonazisti ucraini, stava compiendo un genocidio (massacrando filorussi e russofoni, delle zone di confine) e costringendo Putin a intervenire per indurre l’usurpatore del potere ucraino a osservare i trattati di Minsk 1 e 2 da lui del tutto ignorati. Per la Meloni divenuta, dopo un passato di libertà, di indipendenza e di autonomia di giudizi politici quantomeno sui problemi di natura internazionale, del tutto inaspettatamente filo atlantica in maniera oltranzista e ossequiente esecutrice delle direttive degli Stati Uniti d’America, si era creato un bel pasticcio.



That’s question: Credere nel Partito Democratico di Biden, uscito sonoramente sconfitto dalle elezioni americane o in Trump & co., riconciliandosi oltre tutto con il passato “barricadero” di FdI e rinunciando al ruolo decisamente subalterno (rispetto a Schlein, Calenda, Renzi) di fiancheggiatrice del Partito Democratico statunitense, ramificato in Europa grazie alla CIA e ai servizi segreti europei deviati? Per lei e per Salvini, la scelta sarebbe semplice: ma nella sua coalizione di governo (nel ruolo che fu di Gaetano Martino ma anche di Luigi Di Maio) c’è chi, come novello Prodi, fa politica ricorrendo allo “spiritismo”. E a tale cultore del “se ci sei batti un colpo” non solo l’anima di Berlusconi ma anche quella di De Gasperi avrebbero imposto di aderire alle pericolose farneticazioni (più che difensive, offensive) della Von der Leyen. Il problema delle scarpe per Giorgia Meloni è, oltre tutto, di notevole urgenza, perché il tempo passa e i magistrati non le danno tregua con incursioni sempre più frequenti nell’orticello del Governo.



Anche se si è armata d’ascia per soccorrere Zelensky, la pulzella italica deve valutare ora i “pro” e i “contro” di un uso diverso dei suoi “fendenti”.
Se opta per la soluzione di gettare entrambe le scarpe all’aria e sceglie, fuor di metafora, la via della neutralità (e quindi della pace garantita agli Italiani) la nostra Presidente del Consiglio dovrà accontentarsi di un minor numero di svenevolezze, abbracci, baci nei consessi di livello europeo. All’interno del suo Paese, però, con una maggiore libertà di orientamento, la “pulzella della Garbatella” potrebbe recuperare quel consenso popolare che per le contraddizioni e le debolezze e incertezze del suo governo sta scemando.
La domanda è: l’ambizione di compiere un salto di qualità e passare dal ruolo di donna soddisfatta dei rituali (talvolta anche untuosi) dei consessi internazionali a quello di statista rispettato e di polso rientra nel suo progetto di vita da adulta? E ciò, anche a dispetto delle sedute spiritiche di Tajani?