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domenica 2 marzo 2025

SPORT E INNOCENZA
di Anna Rutigliano


Anna Rutigliano al centro della foto

Erano gli anni ’90 e avevo poco più di 10 anni. Si giocava molto per strada in quei tempi ed i nostri genitori, nonni compresi, non mostravano alcun cenno di ansia se non qualche raccomandazione nel prestare attenzione alle auto in circolazione: si giocava a “5 si schiaccia”. Oggi sono mamma di due ragazzi frequentanti la scuola media, la più piccola ha compiuto da poco 11 anni mentre il primogenito è prossimo ai 14: non sarei capace di lasciarli liberamente giocare per strada, il pensiero di un costante pericolo diverrebbe il mio chiodo fisso. I miei figli sono appassionati di basket e si allenano per una squadra dilettantistica del paese in cui vivo. Non hanno ereditato la mia passione per il Volley (accetto con rispetto), di cui riporto letteralmente le tracce sulla mia pelle, attraverso un tattoo sull’avambraccio sinistro rappresentante un pallone di Volley racchiuso in un cuore. Sì, perché il Volley è stato il mio primo vero amore anche grazie ai campionati studenteschi che si organizzavano nelle scuole e grazie allo zelo trasmesso dai miei insegnanti di educazione fisica, sia di scuola media che del Liceo. Da allora la Pallavolo non mi ha più lasciato, tanto che nel 2019 ho “obbligato” mio marito (non certo un volley-addicted) ad accompagnarmi a Bari per tifare con tutto l’entusiasmo possibile, la nazionale maschile Italiana per la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Giovanni alla fine mi ha regalato la maglia dell’Italvolley maschile di sua spontanea volontà. Poi è arrivato il Covid, ma quella è un’altra storia. 



È una splendente domenica soleggiata di Agosto, l’11 Agosto 2019 per l’esattezza, e ti ritrovi nel Palaflorio di Bari, con un pubblico numeroso, stai per tifare uno dei più grandi setter del mondo: Simone Giannelli! Non solo! ti renderai conto di avere una grande squadra davanti a te, di cui fanno parte gli spikers Osmany Juantorena e Ivan Zaytsev, noto ai tifosi e non, come lo “Zar”, ti imbatterai in giocatori giganteschi più di 2 mt. e al loro cospetto ti sentirai una minuscola pulce di quanto non lo sia già. Cosa volere di più? Apprezzerai anche altre squadre in gioco, l’Australia ed il Camerun, ma assisterai alla grande partita della tua squadra del cuore contro i Titani della Serbia e vedrai dal vivo il grande Atanasijević; il tuo cuore batterà a mille per aver avuto l’occasione di condividere una foto con Anzani ed il mitico Lucchetta, speaker della giornata e figlio della Generazione di Fenomeni.



Il 2019 è anche l’anno in cui gioco per l’ultima volta, all’età di 39 anni, per un torneo amatoriale, presso un centro sportivo del mio paese, in cui vengo premiata come miglior giocatrice principiante, nel ruolo di alzatrice. Dico, malvolentieri, l’ultima volta, poiché all’età di 18 anni, durante il mio primo allenamento per il Ruvo, ho subito un trauma al ginocchio sinistro con conseguente meniscectomia, esattamente dopo un mese dall’infortunio. Da quel momento mi sono concentrata sugli imminenti esami di Stato (è il primo anno della nuova riforma scolastica per cui si passa dagli esami di Maturità a quelli di Stato) ed in seguito mi sono dedicata ai miei studi universitari, non monitorando il mio ginocchio come avrei dovuto, ma continuando a giocare di tanto in tanto, sempre a livello amatoriale e con qualche dolore da sopportare. Credo sia l’unico rimpianto che abbia riguardo la Pallavolo, che, per quanto fosse la mia passione, per quanto avessi patito letteralmente determinati dolori fisici, non abbia dedicato la giusta attenzione ad una parte del mio corpo che mi avrebbe consentito di praticare la mia passione, dando invece priorità a ciò che in quel momento ritenevo fosse più importante: se potessi avere fra le mani, oggi, un Mikasa e accarezzarlo in volo, sarei la persona più felice di questo pianeta e lo dico con profonda commozione, perché avere passione per qualcosa è sentire scorrere nelle proprie vene l’adrenalina, la voglia di divertirsi soprattutto, ma anche di mettersi in gioco confrontandosi con altre persone di tutto il Mondo, sapere di voler dare il massimo accettando anche le sconfitte; in fondo l’idea più profonda dello Sport non è la competizione in sé ma il voler concentrare tutte le forze mentali, fisiche ed emotive per dare il massimo e condividerlo con la propria Squadra.

 
Tralasciando i rimpianti, nel ruolo di mamma, in cui oggi mi trovo, mi rendo conto quanto sia fondamentale, senza invadere i sentimenti, i pensieri e le emozioni dei propri figli, essere al loro fianco e supportarli nelle scelte e nelle situazioni di difficoltà. Come ogni situazione, infatti, esiste anche nello Sport, un lato meno bello e più difficoltoso e, per noi genitori, a volte sembra una impresa ardua entrare nella mente dei ragazzi che, pur sacrificando il proprio tempo e studio, si allenano costantemente credendo che il loro sia uno sforzo vano e non corrisposto a livello di gioco effettivo sul campo, con conseguente ripercussione sul valore dell’autostima e stima da parte altrui. 



Mi chiedo allora quale sia il ruolo di tutti gli attori sociali impegnati sul campo, nella formazione e crescita dei nostri ragazzi, a partire da noi genitori passando per la figura dell’allenatore/allenatrice, sino al valore di una Squadra in gioco. Non si tratta di maggiore quantità di minutaggio in campo, ma di percezione del sé nel gruppo e da parte del gruppo, di stima da parte dell’allenatore/ allenatrice e di autostima. Se si invita un ragazzo ad impegnarsi senza un riscontro pratico non si potrà trasmettere quel sentimento di unità del gruppo che è proprio di una Squadra: in essa sono tutti chiamati a partecipare, pur se un componente dovesse commettere errori. È proprio l’ambito sportivo, la sede in cui far germogliare i semi del rispetto e del confronto, quell’atteggiamento leale e non della mera competizione, in cui gli stessi componenti della Squadra potrebbero esprimere appellativi poco sportivi sino all’indifferenza verso i propri compagni.
 


C
ertamente si gioca anche per vincere, ad uno stadio più maturo di crescita della Squadra, ma è proprio attraverso lo Sport che non si dovrebbe perdere l’innocenza, quella necessaria a non attuare alcun tipo di discriminazione, quella stessa ingenuità che invece rappresenta l’essenza dello Sport e che solo noi adulti abbiamo il dovere etico di trasmettere con una buona dose di dialogo e pazienza nell’ascolto reciproco. Si può essere campioni con la consapevolezza che una sconfitta o un errore sul campo sia il miglior modo per potersi mettere in gioco, soprattutto emotivamente prima ancora che fisicamente; quell’errore a cui i compagni di squadra e prima ancora l’allenatore/allenatrice, possano rimediare con una semplice pacca sulla spalla, perché la volta successiva andrà meglio. Tempo fa l’allenatore dell’Italvolley femminile, Julio Velasco, ha stilato un decalogo sportivo. Mi piace ricordare quanto riportato alla numero 4: “Festeggiare gli errori nei tentativi, come con i bambini”; d’altronde la stessa etimologia della parola inglese Sport, di derivazione francese, non tradisce il significato di svago e divertimento. E allora, buon divertimento a tutti, da parte di una mamma!