SPORT E INNOCENZA
di
Anna Rutigliano

Anna Rutigliano al centro della foto
Erano gli anni ’90 e avevo poco più di 10
anni. Si giocava molto per strada in quei tempi ed i nostri genitori, nonni
compresi, non mostravano alcun cenno di ansia se non qualche raccomandazione
nel prestare attenzione alle auto in circolazione: si giocava a “5 si schiaccia”.
Oggi sono mamma di due ragazzi frequentanti la scuola media, la più piccola ha
compiuto da poco 11 anni mentre il primogenito è prossimo ai 14: non sarei
capace di lasciarli liberamente giocare per strada, il pensiero di un costante
pericolo diverrebbe il mio chiodo fisso. I miei figli sono appassionati di
basket e si allenano per una squadra dilettantistica del paese in cui vivo. Non
hanno ereditato la mia passione per il Volley (accetto con rispetto), di cui
riporto letteralmente le tracce sulla mia pelle, attraverso un tattoo
sull’avambraccio sinistro rappresentante un pallone di Volley racchiuso in un cuore.
Sì, perché il Volley è stato il mio primo vero amore anche grazie ai campionati
studenteschi che si organizzavano nelle scuole e grazie allo zelo trasmesso dai
miei insegnanti di educazione fisica, sia di scuola media che del Liceo. Da
allora la Pallavolo non mi ha più lasciato, tanto che nel 2019 ho “obbligato”
mio marito (non certo un volley-addicted) ad accompagnarmi a Bari per tifare
con tutto l’entusiasmo possibile, la nazionale maschile Italiana per la
qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Giovanni alla fine mi ha regalato
la maglia dell’Italvolley maschile di sua spontanea volontà. Poi è arrivato il
Covid, ma quella è un’altra storia.
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Anna Rutigliano al centro della foto |