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giovedì 13 marzo 2025

TRUMP E IL GATTOPARDO 
di Luigi Mazzella


 
Alcuni mutamenti di costume politico, avvenuti negli ultimi decenni, sono palesi e concernono tutto l’Occidente. La credulità religiosa ha subìto clamorosi ridimensionamenti (nessuno sostiene più di essere amato o prediletto da Dio mentre compie stragi, genocidi e massacri). Eppure, coevamente alla “Caduta degli Dei” (di Viscontiana memoria) v’è stato un Wedekindiano Risveglio di Primavera del fanatismo politico che si è dimostrato ugualmente fideistico e abboccone anche se non più pendente dalle labbra grassocce di preti e di moderni ben pasciuti sciamani ma da quelle rinsecchite e filiformi di anziane autorità statali al governo dei Paesi, altezzosamente “concionanti” dai loro alti seggi del potere. Detto ciò, in generale, scendendo più in particolare agli ultimi eventi (che, purtroppo, ci toccano da vicino) mi sembra di potere osservare che il motto gattopardesco secondo cui bisogna cambiare tutto perché nulla cambi non possa piacere a Donald Trump, Elon Musk e a James David Vance. Di ciò si stanno accorgendo un po’ tutti anche se le note differenziali rispetto alla fase politica precedente non sono viste da tutti con chiarezza e, in conseguenza, non sono descritte soddisfacentemente dai commentatori politici. A me sembra che il dato di partenza per un’analisi del mutamento fermamente voluto da Trump debba essere l’esperienza fatta dal Presidente nella sua prima presenza alla Casa Bianca. Egli si era accorto che la massima carica degli Stati Uniti d’America sostanzialmente doveva comportarsi, nei voti del Deep State (CIA, NSA, FBI, PENTAGONO, WALL STREET E INDUSTRIA DELLE ARMI), come una “marionetta” gestita da oscuri e ben nascosti pupari: in particolare poteva dichiarare guerre ma non farle cessare. 


Tiziano Rovelli
Il ciclone Trump

Il suo ordine, infatti, di ritirare le truppe statunitensi dall’Afghanistan era stato considerato dai “suoi” generali “lettera morta”. Trump aveva scoperto inoltre, con buona verosimiglianza, che la “mitica” alternanza tra due partiti (Democratico e Repubblicano) in America del Nord era diventata una farsa ancora ben nascosta ma che sarebbe diventata ben presto per gli ignari elettori una vera chimera. Il Deep State, negli anni, si era sempre più collegato con il solo Partito Democratico che appariva chiaramente più sensibile all’invocazione di guerre proveniente dal Pentagono, dall’industria delle armi e da Wall Street (che sui crediti per i finanziamenti di bombe e missili prosperava) e che soprattutto si era ramificato in tutto l’Occidente (grazie all’opera dei Servizi segreti, soprattutto europei, cosiddetti “deviati”). Il partito a lui avverso era diventato un monstrum, una vera piovra che, soprattutto in Europa, poteva contare su Capi di Stato di antica propensione guerrafondaia e di suadente e accattivante eloquio, su alte Autorità civili e militari, su organi giudiziari adusi a un uso politico della giustizia, su agitatori propagandistici, su “quinte colonne” in funzione di “agenti provocatori” e via dicendo. Trump, Vance, Musk & co, in altre parole, con la loro intelligenza naturale e individuale, con i mezzi economici dei grandi magnati dell’hi-tech dovevano porsi in conflitto aperto con l’intelligence organizzata e strutturata di spie ben retribuite (anche con proventi di attività illecite: traffico di droga dal Sud America, a stare alla denuncia di cineasti), con  generali felloni e con diplomatici di carriera, abituati ed  abili nell’utilizzare le “palline colorate” di un eloquio forbito per i loro fumosi discorsi sul “nulla”, oltre che con il sistema mass-mediatico, quasi totalmente asservito al sinistrismo imperniato su miserevoli misure di carità pelosa. Di fronte a un insieme di stretta osservanza “Democratica” (dei Biden, delle coppie Obama e Clinton, dei Macron, delle Von der Leyen, a tacer d’altri) il prevalere in casa su un tale Deep State e il fronteggiare in Europa gli avversari fedeli all’ancien régime che spuntano come funghi dopo il  temporale, non dimostrava facile. Così come l’evitare di cadere in insidie, tranelli e trabocchetti di leader politici e di civil servant, adusi al doppio gioco (per restare a galla). 
Conclusione: I tre moschettieri del nuovo corso statunitense non possono condividere il motto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: per sopravvivere, dando speranza alle future generazioni, tutto deve cambiare e nulla deve restare immutato.