Ai
bambini di Gaza Il
presepe delle case bombardate
è una macchia di
buio, scorcio del vuoto che
pencola nei brandelli di
muro, nelle tappezzerie strappate,
nei mobili ottusamente
incolumi; è
intimità violata, esposta
allo sguardo di
chiunque passi nella
strada costellata di
macerie e polvere mista
a sangue, e
il sangue è polvere a
sua volta: dolore porpora,
liofilizzato, concentrato, che
si alza e disperde in
granelli nel vento acre, aria
che rotea in
parole morte; è
il giocattolo abbandonato –
fra mattoni, pietre e ferro in
un caos da fine dei giorni – di
un bambino, abbandonato a
sua volta al ronzio dei
droni che macinano implacabili
il cielo dividendolo
in poligoni di
immobile attesa, in
reticoli di paura sospesa, e
non può indicarli col dito, solo
col moncherino che
fu braccio, gli occhi un
pozzo di silenzio in
domande senza risposta.