Anora di Sean Baker. Generazione Z tra libertà
rivendicate e catene troppo strette. Palma d’oro a Cannes e
vincitore di cinque premi Oscar, Anora inizia con la tracotanza visiva,
la prepotenza delle sex workers, tra cui Ani, la protagonista del film, che,
feroce in topless, balla addosso alla macchina da presa. Nell’indugio sulle
spogliarelliste non c’è passione, ma nemmeno pena: si tratta di lavoro. Questa
l’intuizione di Baker, già regista dello splendido Un sogno chiamato Florida,
che trattava, come Anora, disagi postmoderni. I corpi non sono erotici
ma strumentalizzati. Pure, non è affatto, il film, un’invettiva moralistica
contro il sex work, perché Ani - Mickey Madison - non è oppressa. È libera,
svolge il suo lavoro con diligenza. I corpi che ballano e su cui si infrange il
neon sono, insomma, ordinaria amministrazione. La vicenda ha inizio quando Ani
incontra il rampollo di una nobile famiglia russa, che si innamora di lei e
finirà per sposarla. Dopo l’incipit, altra violenza di luci ed eccessi. Ivan, o
Vanya, così chiamato il principino, ci appare subito come un giovane scemo che
non vuole o non può evadere dal guscio domestico. Vanya è l’antitesi di Ani.
Che, pur di conquistare l’indipendenza, vive sotto le rotaie dei treni che
sferragliano, insieme alla sorella, nell’indigenza di una casa che, in
confronto alla loggia di Ivan, pare una stamberga. Ivan è magro, ricciolino, non
un pelo in faccia, un bambinone; Ani, pur di soli due anni più grande di lui
(Ivan ha ventun anni; Ani, ventitré), è una giovane donna già vissuta. Laddove
Ivan si lamenta perché le colf non gli hanno rifatto il letto, Ani, ormai sua
prostituta privata, parla col lessico del lavoro: “Che tipo di sesso vuoi?”,
“Un po’ di tutto, quindi?” Perché i due convolano, in quel di Las Vegas,
a nozze? Per soldi, sì, ma, più nobilmente, per l’indipendenza che dai soldi
deve passare. Ani è libera e percepiamo il mondo coi suoi sensi, grazie a Baker
che sospende ogni giudizio moralistico, paternalistico, patriarcale. Ani è
seducente solo nella narrazione, ma non è mai davvero inquadrata nell’eros
(semmai nell’osceno di un ballo pornografico). E questo è Baker che parla, e
parla di corpi femminili che godono di potere, agenti, non bambolotti
rassicuranti da cui poppare il latte in amori di stampo edipico. Le donne sono
più grandi degli uomini, in Anora. Più serie. Il femminismo è qui
nell’utilizzo libero in toto del proprio corpo.
La normalizzazione del sex work
ma, allo stesso tempo, una visione critica nella scena finale. Ci arriveremo.
Il sesso tra Ani e Ivan, che si godono la luna di miele, non è quasi saturato
semanticamente, ma usato come supplemento del montaggio, come raccordo, come
parte di un montage simile a quello di Casablanca. Ma neppure
l’eccesso è giudicato. Se fosse libro, Anora avrebbe focalizzazione
interna, non sarebbe narrato da un giudicante Manzoni, da un paternalistico: Questo
è male. Anora è tante cose, ma non un film ideologico. Quello che
Baker chiede è di stare dalla parte di Ani. L’autorialità della macchina a
mano, del montaggio (da Baker curato) convulso alla Godard, le luci sempre
cariche di senso si abbinano a una vicenda che è puro intrattenimento. “I
grandi temi” si deducono dal particolare. Non c’è la pomposità di un
Sorrentino, che nei film vuole e decide di essere “importante”, “impegnato”; Anora,
come ogni buona storia, è impegnato se si guarda il mondo con gli occhi della
protagonista. Ma cos’è, in fondo, l’impegno e perché molti erano scettici
quando Anora ha sconfitto, agli Oscar, il monumentale The Brutalist (per
ideologia autoriale ben più prossimo a Sorrentino)? Impegnarsi, per un autore,
è anche solo tracciare un disagio.
L’idillio termina. Come possono i genitori di
Ivan accettare che abbia sposato una prostituta? Due sgherri vengono inviati a
far finire la festa, Igor e Garnik. Il film cambia tono (diventa slapstick,
commedia pura, ma frenetica, di azione) e tono visivo (i colori si spengono),
perché Ani lotta fisicamente - e rompe il naso di Garnik - mentre i due sgherri
cercano di portare Ivan dai genitori; ma il principino riesce a scappare. La
parte centrale del film vede i personaggi mostrati alla ricerca del rampollo.
Lo trovano, ubriaco marcio, proprio nel club dove lavora Ani. Devono annullare il
matrimonio ma - e lo scoprono solo in aula - non possono farlo a New York se
l’unione è avvenuta in Nevada (Las Vegas), perciò i nostri cambiano rotta. Ed è
qui che il bambinone viene dichiarato tale. Quando, cioè, Ani, per salvare il
matrimonio e l’indipendenza che sembrava aver raggiunto, gli ricorda: Sei un
adulto, Vanya. Può, potrebbe ribellarsi; sta. I genitori di Ivan - i soldi
e il potere che hanno la meglio sui sogni di gloria delle nuove generazioni; i
padri che vincono; le catene dei rapporti filiali che stringono le caviglie ma
a cui ci siamo affezionati - annullano il matrimonio. Niente da fare per Ani.
Centrale, per tutto il film, il rapporto tra
Igor lo sgherro e la nostra. Igor, quando i due sgherri entrano in casa, a
inizio dramma, alla prima svolta, è subito inquadrato con ammiccamento, con
Baker a dire: Guardatelo bene. Igor deve fermare la violenta Ani, e la
lega. Ma è buono come il pane, Igor, e non vuole farle male, è evidente, è anzi
sottolineato. Igor chiede anche scusa, benché l’altro sgherro abbia il naso
rotto a seguito di un calcio di Mickey Madison. Igor e Ani sono di nuovo da
soli quando passeggiano presso il mare, e Igor le consiglia di mettersi
qualcosa al collo per non prendere freddo. Magari la sciarpa con cui l’ha
imbavagliata. E poi sono soli nel finale. A casa di Igor,
prima che Ani venga portata in macchina a casa. Dice Igor che “Anora” gli
piace; più di “Ani”. Sa, Anora, cosa significa “Igor”? Significa “guerriero”.
No, dice Anora, significa mostro con la gobba. Ma “Anora” cosa significa?
chiede Igor ad alta voce, per poi trovare risposta su Google: “frutto di
melograno”, “luce” e “splendente”. Parlano, ed è la vera romance del film. La
romance dei sottotesti che caricano le parole di circostanza, degli sguardi
veri che sanno riconoscere e di chi non ce l’ha fatta (mi viene in mente Lost
in translation). Dice Anora: Se non ci fosse stato Garnik mi avresti
violentata. Hai lo sguardo da stupro. Ok, dice Igor, ma lui non voleva
violentarla. E perché? Cosa, “perché”? Perché non volevi violentarmi? Perché non sono uno stupratore. No, perché sei un cazzo di invertito. Igor e Ani non sono mai stati invisi l’un
l’altra. Neanche un secondo. Ostentano per tutto il film un’ostilità che è
gioco ed è in quel gioco che nasce l’affetto, che il legame si consolida fino
all’ultima, straziante, stupenda scena. In auto, Igor rende ad Anora l’anello:
l’ha rubato, se lo merita. Poi Anora si spoglia. I due fanno sesso. Movimenti
impacciati, atto impersonale. Almeno finché Igor non cerca di baciarla. Al che
Anora scoppia in lacrime e Igor la consola, traendola a sé in un abbraccio che
chiude il film, con il nero che oscura e i singhiozzi che seguitano.
Il corpo è libero (dovrebbe), la donna
(dovrebbe essere) libera, ma ad Anora, nella sua breve vita, è capitato solo di
usare il corpo come merce di scambio e va in cortocircuito quando Igor cerca
qualcosa di più profondo. Non è un rinnegamento della poetica antimoralistica
del film, ma una complicazione, una domanda, che non fa da antitesi al senso di
libertà del film, bensì da scolio, da nuova proposizione, inclusa nel grido. Anora è un film sulla generazione Z,
sul precariato, sul vincolo del nucleo domestico, sul cordone ombelicale
resistente alle cesure effettuate, un tentativo contorto di raggiungere
l’indipendenza, una vita in cui non si sia marchiati dalla traccia dei
genitori. Un tentativo fallito. La nostra generazione, dice Baker che alla GEN
Z non appartiene, di futuro ne ha poco.