Su “Odissea”
di ieri, Anna Rutigliano, con il suo scritto “Antifascismo”, ha ricordato la
tragica morte di Graziano Fiore, il giovanissimo figlio di Tommaso Fiore,
avvenuta il 28 luglio 1943 a Bari, per mano di fascisti, durante una
manifestazione organizzata dalle forze antifasciste dopo la notizia della
caduta di Mussolini. E, come spesso accade, lo scritto di Anna, ha fatalmente
richiamato alla mia memoria la storia, altrettanto tragica, di Benny, accaduta
anche questa a Bari, molti anni più tardi, quando ancora i fascisti, nonostante
la riacquistata libertà in Italia, potevano agire indisturbati, con il loro
carico di odio e vigliaccheria, contro chi aveva scelto di amarla quella
libertà e difenderla sempre. Il 28 novembre 1977 è un lunedì. È sera, e già i
lampioni di Corso Vittorio Emanuele sono accesi. Mandano il riflesso delle loro
luci sul selciato bagnato della grande strada che si trova alle porte della
Città Vecchia. Fino a pochi minuti prima aveva piovuto ma, come spesso avviene,
dalle nostre parti, un buon vento di scirocco ha trasportato le nuvole verso il
mare, rasserenando il cielo. Sono da poco passate le 19 e un giovane
simpatizzante della FGCI, Gaetano Rossini, sta rientrando a casa sua, che si
trova in Bari Vecchia.
Improvvisamente viene aggredito da un gruppo di giovani
fascisti, aderenti al Fronte della Gioventù, appena venuti via dalla sezione
del Movimento Sociale Italiano, armati di catene, mazze di baseball e
coltelli.Gaetano capisce che sta
rischiando la propria vita e fugge. Riesce ad entrare nei vicoli di Bari
Vecchia e, mentre i missini, che lo inseguono, vengono momentaneamente fermati
dai clienti di un bar del quartiere, Rossini va nella sezione del Partito
Comunista, dove trova due giovani compagni, iscritti al Partito, Franco Intrano
e Benedetto Petrone, detto Benny. Rossini racconta loro quello che gli è
accaduto e i due giovani, che non ci stanno ad accettare la fuga davanti ai
fascisti, decidono di uscire dalla sezione e da Bari Vecchia.Vogliono che i fascisti capiscano che non
hanno paura di loro, anche perché sono disarmati. Li incontrano in Piazza
Prefettura.
I fascisti missini, questa volta più numerosi di prima, hanno il
volto coperto da passamontagna. Gridano “Bastardi rossi” e cercano di
aggredirli senza pietà. Sono in tanti, in troppi. Benny e gli altri due si
rendono conto che non si tratta più di discutere, ma che hanno una sola
soluzione per salvarsi: rifiutare lo scontro, allontanarsi correndo e
rifugiarsi di nuovo nella Città Vecchia. Benny corre, corre, ma lui non è come
gli altri suoi due compagni: zoppica, non riesce a mette bene il piede per
terra, perché tutte le volte che lo fa accusa intensi dolori, che gli
ostacolano il cammino. Benny corre, zoppica e scivola sull’asfalto bagnato. I
fascisti missini gli sono addosso, lo colpiscono e, uno di loro, Giuseppe
Piccolo, gli dà una prima coltellata all’addome e una seconda al collo. Benny,
pur soccorso da Franco, tornato indietro, morirà pochi minuti dopo. Benny aveva
diciotto anni, era il quinto della famiglia Petrone, e di lui rimane quella
foto, in cui c’è tutto il sorriso di ch si affaccia alla vita. Per aiutare la
sua famiglia, aveva smesso di studiare e lavorava, come operaio, nei cantieri
edili della città. Sì! Sempre sorridente, anche se, da bambino aveva contratto
la poliomielite: gli aveva lasciato, come esito, quella zoppia che gli sarà
fatale la sera del 28 novembre 1977. Erano gli anni in cui le Brigate Rosse
uccidevano, ma erano anche gli anni in cui continuavano ad essere attive le
squadre dei fascisti.
Benedetto Petrone era, in quel momento, in quel clima, in
cui maturavano anche tentativi di colpi stato, uno dei tanti ragazzi che
credevano di poter aiutare, con la loro presenza attiva, la costruzione di un
cielo sereno per tutti; era uno di quelli che volevano la giustizia sociale, la
felicità collettiva, difendendo la libertà e la democrazia conquistata, a caro
prezzo, anni prima da altri giovani come lui. Questa storia è una storia del
Sud, come del Sud è la storia di Graziano Fiore, e non può essere, e non deve
essere dimenticata. Non lo è stato per la città di Bari, che ha intitolato una
strada a nome di Benedetto Petrone, qualificando il ragazzo, sulla lapide, vittima
di violenza neofascista e lo ha fatto contro il parere della Società di Storia
Patria, che considerava il fascismo finito dopo il 1945, sbagliando in maniera
clamorosa. I fascisti c’erano e i neofascisti anche, e con questo anche noi
oggi dobbiamo far i conti. La libertà, la democrazia, la solidarietà e la
ricerca di una giustizia sociale, l’impegno continuo per la pace, sono quei
valori che dobbiamo difendere sempre, nel nome di tutti coloro che sono morti
nella Resistenza, ma lo dobbiamo, anche nel nome di questo ragazzo che, ad
appena 18 anni, sull’asfalto bagnato, in una sera di pioggia, non riuscì a
correre per sfuggire ai suoi carnefici.