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venerdì 19 settembre 2025

ANCORA SU SPLENGER
di Luigi Mazzella


 
Il tramonto dell’Occidente
 
Il libro di Oswald Spengler, Il Tramonto dell’Occidente, non è un saggio volto a individuare rimedi salvifici per scongiurare la “morte annunciata” nel titolo. Tutt’altro. L’Autore si limita a compiere un’analisi comparativa di tutte le grandi civiltà del Pianeta per desumere, analogamente a quanto avviene per l’organismo umano, quattro fasi di età: infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia.  La fine è ritenuta, in buona sostanza, del tutto ineluttabile.
Spengler, da storico, valuta positivamente, nella sua opera, la civiltà “greco-romana”, definendola “apollinea, in quanto volta staticamente al presente; qualifica invece “faustiana” quella “occidentale” perché irrequieta nella sua ansia di trasformazione. Influenzati soprattutto dalla sua intuizione circa la tendenza degli Occidentali di mantenere in vita, nella fase finale della decadenza, modelli culturali già morti, i numerosi uomini di pensiero, colpiti dalla sua analisi (Erich Rothacker, Ernst Cassirer, Ludwig Wittgenstein, Thomas Mann - alla stesura del Doktor Faustus ma non dopo - Sinclair Lewis, Howard Phillips Lovecraft, Martin Heidegger, Evelyn Waugh, William S. Burroughs, Jack Kerouac, Northrop Frye, Joseph Campbell, Samuel Huntington) non hanno contrapposto  spunti di riflessione volti ad alimentare  “speranze”. Personalmente, muovendomi nella direzione indicata dal filosofo tedesco, ho individuato in cinque utopie, tre religiose e due politiche, la causa della inevitabile debácle Occidentale chiedendomi anche, però, se l’attuale processo di decadenza sia, veramente, inarrestabile. La risposta è che non risulta facile essere ottimisti. Per quanto “faustiano” e “anti-apollineo” sia il bisogno esasperato di trasformazione degli inquieti Occidentali debellare, infatti, ex abrupto tre religioni divenute, nel mondo, straricche e ultrapotenti non è impresa di poco conto ed è pressoché impossibile prevedere un esito favorevole all’impresa. Altrettanto deve dirsi dei due “cancri, a mio giudizio, ugualmente letali” (nazifascismo e social comunismo) che hanno invaso l’Occidente, approfittando della favorevole circostanza di un pensiero già aduso ai condizionamenti di un fideismo fantasioso, spesso anche fanatico. 
Il traguardo di un Capo illuminato (Duce o Fuhrer) che conduca ad approdi di benessere collettivo o quello di un popolo, assetato di giustizia, che realizzi, con la rivoluzione proletaria o con altri mezzi meno violenti, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani appare ormai irrinunciabile anche a persone che si definiscono di “buon senso” comune. L’inevitabilità del tramonto, per l’impossibilità di convincere l’intera popolazione Occidentale di rinunciare a credenze secolarmente consolidatesi, non significa, però, che il processo estintivo non possa essere ritardato. Sotto questo limitato  aspetto, l’invito a chiudere le guerre in atto e a mitigare i toni delle polemiche furibonde che s’incrociano tra i vari monoteismi Mediorientali (divenuti anche Occidentali) e le due ali (sinistra e destra) dell’idealismo tedesco post-platonico di fine Ottocento (socialcomunismo e nazifascismo) può risultare utile per salvare molte vite umane e per consentire di preservare un filo di speranza per una reviviscenza, sia pure parziale,  circoscritta, e limitata nel tempo dell’antica razionalità. Se è vero, infatti, che, un tempo, essa era un vanto della gente mediterranea è altrettanto certo che essa fu estromessa dai confini dell’Occidente, in modo radicale, da credenti e fanatici dominati da un odio chiamato eufemisticamente passione religiosa e/o politica.