L’articolo
13 disciplina l’habeas corpus, così denominato con espressione
tratta dal latino medievale, si pone l’obiettivo di proteggere le persone
fisiche da detenzioni arbitrarie e di garantire che ogni privazione della
libertà sia giustificata e legittima. L’istituto,
utilizzato dagli Inglesi nella loro common law per esprimere,
letteralmente, l’ingiunzione a un giudice o a una corte
giurisdizionale di portare vivo al proprio cospetto un detenuto per una serie
di verifiche (condizioni personali al momento e a quello del suo arresto,
validità degli elementi d’accusa). L’habeas
corpus act, inserito nella Magna Charta delle
libertà e nel Bill of Rights è stato trasfuso nella maggior
parte delle Costituzioni delle cosiddette Democrazie Occidentali e
assistito dal principio del “monopolio legislativo”. Distorsioni
legislative per attenuare la tutela sono sempre state tentate, però, in un
Occidente di astratti assolutismi tendenti all’autoritarismo, in nome della
sicurezza, richiamandosi ora alla morsa di crisi economiche
eccezionali, ora alle lacerazioni del terrorismo sovversivo, ora, infine, anche
se in minor misura, alle tensioni legate ai flussi migratori clandestini e
incontrollabili. In buona sostanza, la disciplina processuale italiana non è
rimasta estranea a fenomeni di questo tipo, né a censure severe della Corte
Costituzionale. Il
fenomeno del monopolio legislativo sfugge, inoltre, a possibili violazioni di
livello internazionale da parte di organismi privi delle strutture normative
a rigoroso controllo democratico di uno Stato. E ciò induce a considerare, con
molta attenzione e competenza giuridica, le insidie derivanti da desideri
associati e connessi a timori di natura infantile. Gli
articoli da 14 a 18 prevedono la libertà di domicilio, il diritto di segretezza
della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la libertà di
circolazione e di soggiorno, i diritti di riunione e di associazione, il
divieto (del tutto inosservato) di società segrete. L’articolo
19 sancisce il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in
qualsiasi forma individuale e associata, e di farne “propaganda”. Tale ultimo
termine, pur coniato in sede ecclesiastica (con la creazione di una Congregatio
de Propaganda Fide) siè rivelato per l’evoluzione
linguistica della parola una sorta di boomerang concettuale. Per
“propaganda” oggi s’intende la contrapposizione alla pura, semplice, onesta
esposizione dei fatti nella loro complessità e completezza (ossia la
descrizione della realtà nella sua interezza), condensata in un
metodo conscio, metodico e pianificato di subdola persuasione, volto
a raggiungere obiettivi di cui beneficiano gli organizzatori del processo. Di
solito l’attività propagandistica è quella che si imputa al nemico,
all’avversario, al contraddittore; e ciò, in quanto ritenuta diretta a
stravolgere la verità. Domanda:
Era ciò che il Costituente intendeva dire? Da laico mi piacerebbe ma, in tutta
onestà, non credo!