Contrariamente a quanto si possa immaginare, la
classificazione dei peccati capitali non ha inizio nella Bibbia, bensì nel IV
secolo dopo Cristo a opera dei Padri del deserto e in particolare del monaco
Evagrio Pontico: nel testo sacro ci sono esempi di comportamenti, riferibili a
tali nuclei, come il fratricidio di Caino mosso dall’invidia verso Abele, Adamo
ed Eva che non resistono alla tentazione della mela, Lucifero che da creatura
vuole essere Creatore. Una descrizione affascinante dei vizi capitali, però, ci
giunge da Aristotele come “abiti del male” perché, se ci rifacciamo al concetto
di corazza caratteriale di Wilhelm Reich, ne ricaviamo l’esatta funzione:
questi sentimenti, che diventano tratti di carattere, anche se in un primo
tempo solo come difensivi, impongono comportamenti rigidi e distorti, nocivi
principalmente a sé stessi, costringendo la persona a vivere male e spesso a
rendere difficoltosa anche la vita altrui. Inoltre,
presi da calcoli abbastanza limitativi, rinforziamo abitudini poco sane e
entriamo in circuiti chiusi dove la crescita interiore è impossibile ma al
contrario otteniamo un sempre maggior attaccamento a situazioni deleterie. Da otto i
vizi capitali (superbia, accidia, tristezza, ira, gola, lussuria, avarizia,
vanagloria) con Gregorio Magno diventano sette, dove la vanagloria si fonde con
la superbia e la tristezza diventa invidia. D’altra parte che cosa è l’invidia
se non la tristezza per il bene altrui? L’invidioso ha anche una buona dose di
superbia, in quanto percepire l’altro come qualcuno che ha raggiunto un certo
successo quando si è convinti di essere ineguagliabili, può produrre quel
sentimento di frustrazione sia nel caso ci si senta escluso da tale stato, sia
che, pur essendo già in possesso di tale stato, si pretenderebbe esserne
l’unico titolare. Spesso in
interviste a personaggi particolari mi sono trovata a porre una domanda subdola
“Quale è il peccato capitale che aborre e quale secondo lei peccato non lo è
proprio”. Quasi sempre il vizio detestato era quello che si presentava
maggiormente nel proprio comportamento e l’indulgenza verso i piaceri della
carne veniva sottolineato da un luccichio negli occhi: siamo tutti molto umani,
ma quando un Botero dichiarava la sua intolleranza verso l’avarizia, veniva
spontaneo pensare alle quotazioni delle sue opere, alla “bottega” dove i
collaboratori gli preparavano i quadri, al suo successo ineguagliabile per
molti anni. Sconfinata è la mia ammirazione della sua creatività e dell’abilità
negli investimenti per pubblicizzare il suo lavoro, ma sussurrano che tanto
generoso non lo fosse. La difficile infanzia a Medellin aveva lasciato il
segno. È di
questi giorni l’enorme spazio mediatico dato alla rinuncia di Jannik Sinner
alla Coppa Davis: mi chiedo come si possano sindacare le sue scelte visto che
il ragazzo non è un robot e soprattutto non è un farfallone che conta di
sostituire la sua presenza al torneo con vacanze nei Caraibi, circondato da
creole danzanti. Sospetto che l’invidia per i folli guadagni vinti ogni volta
che scende in campo, possa suscitare qualche parola di troppo, soprattutto in
personaggi come Bruno Vespa che molto sportivo non appare, troppo preoccupato a
galleggiare nel mare delle notizie edulcorate da propinare con sentenze
apodittiche. Ci sono poi
peccati capitali che danno piacere a chi li compie: l’indigestione dopo una
scorpacciata di dolci siciliani può valere la pena; qualche problematica in
zone intime per eccessi di lussuria nella vita può succedere; ma l’iracondo che
non riesce a fermarsi prima di travalicare il limite, l’accidioso che resta
immerso nella materia senza levare gli occhi al cielo, il superbo che in fondo
ha bisogno di continue conferme, l’avaro di se stesso che, non essendo capace
di donarsi, finisce con il ricevere poco ed è costretto a “bastarsi”; sono
categorie di infelici che a tratti rendono infelici anche gli altri. Dalla mia
collaborazione con Enrico Colombotto Rosso è nata una raccolta proprio sui
peccati capitali dal titolo “Virtù dei vizi…” con la quale voglio concludere. “Voi”
avete i vostri vizi, “noi” abbiamo le nostre virtù. Chi
siamo “noi” e chi siete “voi”? L’appartenenza
è semplicemente una questione di scelta…
Orgoglio
Il vostro orgoglio vi rende sicuri del vostro
potere Il nostro orgoglio ci rende liberi dall’apparire
La vostra accidia vi rende certi dei vostri credo La nostra accidia ci aiuta a non competere
Invidia
La vostra invidia vi rende ladri di idee La nostra invidia ci rende cercatori di verità
Lussuria
La vostra lussuria vi rende preda degli istinti La nostra lussuria anima solo le nostre notti
Ira
La vostra ira grida le vostre ragioni La nostra ira alimenta il nostro desiderio di
giustizia
Gola
La vostra gola vi rende ingordi di benessere La nostra gola ci rende bramosi di sapere
Avarizia
La
vostra avarizia vi tiene prigionieri del denaro La
nostra avarizia ci fa trattenere i ricordi dei giorni felici.