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domenica 2 novembre 2025

LA ‘CARBONERIA’ DEI LIBRI
di Angelo Gaccione


 
Q
uando ero ragazzino mi capitava spesso, durante i pomeriggi, di vedere dei film presso le abitazioni di generose persone che possedevano un apparecchio tivù. Le nostre famiglie non se lo potevano permettere un televisore, ma loro aprivano le case accogliendoci per consentire a noi, frotte di ragazzini, di accoccolarci per terra nelle loro sale ed incantarci a quelle pellicole per sognare ad occhi aperti per qualche ora. Spesso capitava che ci allungassero anche un biscottino, e noi andavamo letteralmente in sollucchero. Quando nei film comparivano quelle sale enormi con le pareti piene di libri, io non potevo fare a meno di confrontarle con le nostre così piccole e modeste. Una sola sala era più grande della nostra intera abitazione. Non c’erano librerie, nonc’erano scrivanie, nelle nostre case, affollate di letti e brandine perché eravamo tutte famiglie numerose. Chissà se un giorno anch’io avrò una stanza con tanti libri come questa, pensavo. Non immaginavo, allora, di metterne assieme una quantità così esagerata, tanto da dovermi dotare di un locale per custodirli e che ora non basta più: la Carboneria, come l’hanno battezzata i miei amici, e dove abbiamo fatto anche delle piccole riunioni al tempo di “Odissea” in versione cartacea. Ne ricevo tuttora dai luoghi più diversi e persino dapersone sconosciute; e mia moglie teme per i pavimenti. Il racconto “Il libro della staffa” compreso nella raccolta Sonata in due movimenti, è quasi un atto liberatorio per esorcizzare il peggio, oltre che la consapevolezza amara di non poterne comprare più e di non sapere come salvarli, ora che le donazioni dei libri vengono rifiutate da biblioteche ed istituti, archivi e centri culturali: biblioteche carcerarie comprese. Negli ultimi tempi ho disseminato libri in luoghi diversi della città; li ho lasciati nelle stazioni delle linee metropolitane, sui treni, dentro i piccoli box di strada dove chi vuole ne può lasciare qualcuno… ma è una goccia nel mare. Non posso accoglierne più e devo trovare una soluzione per i tanti che nel tempo ho accumulato. Abbiate pietà. 
 

 

SCAFFALI
di Sergio Frigo


Joseph Conrad

Epistolari
 
Concepito in occasione del centenario della morte di Joseph Conrad, lo scorso anno, arriva in questi giorni in libreria edito dalla vicentina Ronzani l’epistolario Lettere a Marguerite Poradowska (pag. 300, € 22), con le missive che lo scrittore scambiò nell’arco di trent’anni, tra il 1890 e il 1920, con la cugina acquisita e a sua volta scrittrice di vaglia, anche se sconosciuta in Italia. Il libro - dalla grande accuratezza bibliografica ed editoriale - è curato da Giuseppe Mendicino, autore di una recente biografia dello scrittore de La linea d’ombra, Lord Jim, Cuore di tenebra e Tifone, mentre ad Anna Lina Molteni si deve la traduzione delle lettere (scritte in francese) e un intenso saggio sulla scrittrice. Si tratta di un carteggio significativo non solo per la qualità della scrittura (seppure in una lingua che gli rimane estranea), per il tono diretto e venato a tratti persino di autoironia e per l’importanza della relazione che legò Conrad alla donna (di nove anni più vecchia di lui ma molto bella e affascinante), ma soprattutto perché documenta il complesso e difficile percorso che lo portò a lasciare la vita di mare - dopo decine di missioni in tutto il mondo - e ad intraprendere la carriera di scrittore. Quelle oltre 100 lettere rappresentano infatti un punto di vista privilegiato sulle esperienze, le letture, le riflessioni (e le fatiche) che portarono il giovane marinaio originario della Polonia a diventare una delle glorie della letteratura inglese. 


La copertina del libro

“Da quando mi sono svegliato stamane” scrive a Marguerite il 24 aprile del 1894, all’indomani della fine del suo primo libro, La follia di Almayer, “mi sembra di aver sepolto una parte di me nelle pagine che sono davanti ai miei occhi. E tuttavia sono felice”.
Nella donna - a cui si rivolge, chiamandola Zia, con una sensibilità e un’intensità inaspettate in un uomo considerato a torto misogino - Conrad trova un’interlocutrice attenta, partecipe, affettuosa, colta e appassionata, come sottolinea anche il saggio di Annalina Molteni. Probabilmente, osserva il curatore, la loro relazione a un certo punto diventò anche qualcosa di più che un legame amichevole e intellettuale: ne fa fede la curiosa assenza, nel carteggio, delle lettere appartenenti al periodo 1895-1900. Conrad aveva 38 anni e voleva dare stabilità alla sua vita: “Potrebbe aver chiesto a Marguerite di sposarlo, ricevendo un diniego motivato da ragioni di convenienza sociale”, scrive Mendicino. 



Il loro rapporto potrebbe esserne stato momentaneamente turbato, e le loro lettere riportarne le tracce, per cui successivamente i due corrispondenti, per tutelare il riserbo che li accomunava, potrebbero aver deciso di comune accordo di distruggerle. L’anno dopo lo scrittore si sarebbe sposato con una giovane dattilografa, Jessie Emmeline George, che gli avrebbe dato due figli, ma il rapporto con Marguerite non si sarebbe interrotto, anche se si sarebbe mantenuto su binari forse meno personali.

 

 

IL LORO GRIDO È LA MIA VOCE
di Anna Rutigliano


Anna Rutigliano
 
Cosa significa essere poeta in tempo di guerra? Questo l’incipit del primo verso del componimento della poetessa Hend Joudah, fondatrice e direttrice della rivista 28 Magazine di Gaza, una delle dieci voci gazawi appartenente alla raccolta poetica Il loro grido è la mia voce, curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti, in collaborazione con i traduttori Nabil Bey Salameh (per la resa dall’arabo in lingua inglese) e con Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni, per la traduzione in italiano dall’inglese, corredata dagli interventi conclusivi del giornalista americano Chris Hedges e della scrittrice e saggista palestinese-americana Susan Abulahwa (Fazi ed. pagg. 141 Fazi 2025). 



Il filosofo Adorno avrebbe risposto a tal quesito, 81 anni fa, assieme al filosofo Max Horkheimer, nell’opera Dialektik der Aufklärung (Dialettica dell’Illuminismo, 1944), con una osservazione critica circa il poetare in tempi di sterminio e genocidio, la pagina più buia della Storia, quella di Auschwitz, un’attività che non sarebbe stata possibile a livello spirituale, per gli atti di barbarie perpetuati da una parte cieca dell’umanità all’umanità stessa. Adorno avrebbe riconsiderato, in seguito, il suo pensiero, nella sua opera Negative Dialektik (Dialettica Negativa, 1966), sviluppando nell’ottava e dodicesima meditazione sulla Metafisica, l’idea del non-identico quale fondamento della verità, in contrapposizione alla dialettica hegeliana dell’unità, ossia il non ridurre alla totalità di sistema, mediante identificazioni, il particolare e, affidando all’arte lo spazio aporetico di apertura all’alterità e di tensione costante verso un altrimenti. La poesia costituirebbe, in tal modo, lo spazio fisico  بيت  (bait), nel duplice significato di “casa” e “verso”, come ci suggerisce, in prefazione, lo storico israeliano Ilan Pappé, in cui il dolore possa esprimersi in tutta la sua drammatica potenza spirituale e materiale, denunciandone le contraddizioni socio-economiche e politiche su scala globale.


Hend Joudah

Se per Hend Joudah, il poeta in guerra vive una condizione di alienazione, costretto a negare la propria essenza poetica per senso di vergogna nei confronti della Natura e delle anime innocenti tristi o uccise e, la poesia “significa chiedere continuamente scusa, agli alberi bruciati, ai bambini pallidi prima e dopo la morte”, per la scrittrice Ni’ma Hassan di Rafah, impegnata nell’uso delle arti per la cura dei bambini vittime di traumi di guerra, la poesia è un inno al sacrificio di dolore materno in cui una madre a Gaza “si erge come uno scudo di fronte alla morte… e fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi… e nutre la patria con i suoi figli.  


Ni'ma Hassan

La terza voce gazawi è affidata al poeta Yousef Elqedra, sfollato nell’accampamento della “zona umanitaria” di al-Mawasi e colpito da un raid aereo israeliano in cui quaranta tende sono andate distrutte e ventidue persone hanno perso la vita, fra cui otto bambini. Nei suoi versi emerge un tratto peculiare del popolo palestinese: la sua resistenza e resilienza, al contempo, mediante la personificazione della tenda che “non è una casa ma è una promessa d’attesa… Il vento scuote la tenda, la tenda abbraccia la pioggia e la pioggia lava via tutto, ma non la memoria di chi ci vive. Così la tenda rimane in piedi, a testimoniare che la fragilità è l’altro volto del Sumud.


Yousef Elqedra

Per Ali Abukhattab, trasferitosi in Norvegia, dove tuttora vive esiliato, la poesia rappresenta una via di fuga, è aggrapparsi al vento seguendone la sua logica, lui che è stato costretto a fuggire in Egitto in seguito alle minacce da parte di Hamas: “al vento la sua logica… e tu cammini contro la salinità del tempo…intrecci la tua morte con mani di buchi, ti aggrappi al sibilo del vento.


Ali Abukhattab

Una sorte totalmente ingiusta è toccata, invece, alla poetessa e fotografa di Raineh, Dareen Tatour, condannata dal tribunale israeliano, per incitamento alla violenza, in seguito alla pubblicazione in rete nel 2015, della poesia “Resisti o popolo mio, resisti loro”. In Allucinazioni di una poetessa prigioniera condannata per terrorismo inserita nella raccolta in questione, leggiamo: le vostre armi saranno annientate e la poesia rimarrà viva, la poesia nella mia prigione è nutrimento, è acqua e aria… amando la vita rimarrò io per scrivere di me e di chi soffre lettere di verità. Credo siano versi cruciali a confermare le tesi adorniane sull’importanza dell’arte e della scrittura, in questo caso, quale testimonianza di sofferenza di un popolo e al tempo stesso, ancora di salvezza, spazio in cui esprimere le contraddizioni storiche per le quali si fa urgente una nuova indagine metafisica, una dialettica atta a comprendere il mondo.


Dareen Tatour
 
Nel componimento dello scrittore Marwan Makhoul, New Gaza, ritorna, invece, il tema del sacrificio materno ma, questa volta, si fa intenso il senso di colpa che divora la madre partoriente, la quale invoca perdono al nascituro: “quindi perdonami, sono come una gazzella quando partorisce, che teme la iena appostata dietro la fossa quindi vieni in fretta, poi corri il più lontano possibile affinché il rimpianto non mi divoriE Dio sa che tu e chi è come te siete ancora feti ingenui e non lo sapete”. Ma è nella sua poesia Versi senza casa che la scrittura, quale atto di resistenza, si fa potente; così leggiamo nei versi finali: “potremmo non cambiare questo mondo con ciò che scriviamo, ma potremmo graffiare la sua vergogna.

 
Marwan Makhoul

In esilio negli Stati Uniti dal 2023, Yahya Ashour è Honorary Fellow presso l’Università dell’Iowa. Una delle poesie, proposte dalla raccolta e intitolata Porgi l’altra guancia, è una vera e propria denuncia del Cristianesimo, di chi non crede più in Cristo: “questo mondo bianco, che non crede più in Cristo, ti implora, Gaza, con le sue parole: Porgi l’altra guancia”, per cui la pace, agli occhi del poeta, sembra quasi un atto riduttivo, ma necessario, che mai però potrà riscattare “la morte dalla tua fronte, o Gaza”, eppure, il poeta, rivolgendosi a Gaza, in sembianze umane, la esorta a resistere, a gioire, a continuare a vivere nel sentimento di “Sumud”.
 
Yahya Hashour

Il 20 ottobre 2023, in seguito ad un ulteriore bombardamento aereo israeliano, muore la poetessa e biochimica Hiba Abu Nada. Di lei, sento di volere condividere, in particolare, alcuni versi scritti pochi giorni prima della sua scomparsa e che fanno della poesia, uno spazio immaginario di desiderio di luoghi senza assedio, di posto paradisiaco senza dolore, ove regna l’amore eterno: “noi lassù costruiamo una seconda città… nuove famiglie senza dolore né tristezza, giornalisti che fotografano il paradiso e poeti che scrivono sull’amore eterno: nel Paradiso c’è una nuova Gaza che si sta formando ora senza assedio.


Hiba Abu Nada
 
Soffermandoci sul titolo della raccolta Il loro grido è la mia voce, esso è tratto dalla poesia del giovane scrittore Haidar al Ghazali, “un essere umano normale, un palestinese normale, un abitante di Gaza normale che vive un genocidio da un anno”, questa la sua presentazione al pubblico lettore. Composta il 25 aprile 2024, riporto di seguito, alcuni versi della poesia, in cui si pone un quesito universale semplice, un invito all’umanità ormai smarrita: “Perché non diventiamo un solo mondo, perché non cresciamo insieme?... Insegnate ai vostri figli che il corpo della terra è uno e che i confini della terra sono un’invenzione”; esattamente un anno prima, al Ghazali aveva esortato l’umanità, rivolgendosi ad un Tu generico, nella poesia L’alfabeto degli Universi: “Vieni che sistemiamo l’alfabeto degli universi, io sono la fenice stanca delle storie di cenere…”.


Haidar al Ghazali
 
Non ultima per importanza, ma per impianto grafico voluto dai curatori stessi, è la voce del poeta e docente gazawi di Letteratura inglese Refaat Alareer. Anch’egli vittima il 6 dicembre 2023 di un bombardamento israeliano, compone la poesia If I must die (Se devo morire), pubblicata in rete pochi giorni prima della sua scomparsa. Essa è stata tradotta in tutto il mondo e costituisce l’idea fondamentale della raccolta di poesia da Gaza in oggetto: “se devo morire, che porti speranza, che sia una storia”.


Refaat Alareer

Ed è in nome della Poesia e della sua funzione dialettica di apertura verso l’altro che il loro grido è la mia voce!

 

 

 

A MONTICHIARI “LIBRAMENTE”





Marzia Borzi intervista Federico Migliorati sul volume collettivo Città e scrittori. Al Museo Lechi di Corso Martiri della Libertà n. 33 alle ore 16,30 di sabato 8 novembre 2025.

LA POESIA
di Laura Margherita Volante 



 


Insonne... non muore   
 
Insonne è il dolore
nella solitudine
dell’uomo 
dei nostri giorni.
A fatica cammina
ansimante come un
vecchio soldato 
con la morte negli 
occhi di chi ha
visto l’orrore.
Lo spirito di un vecchio 
bambino in letargo
sul giaciglio della Storia 
fra ceneri e sassi 
insonne... non muore.

 

 

 

IL PENSIERO DEL GIORNO
di Giorgio Martino


Giorgio Martino

 
Io non posso vivere senza musica. Faccio l’architetto e designer. Ogni azione ed impegno della giornata deve avere una apposita colonna sonora. la musica, a casa mia, è accesa anche senza di me perché ne deve godere lo spazio, che, anche lui, è vivo”.

ANGELO BASILE A CORBETTA




sabato 1 novembre 2025

IL DELITTO PASOLINI  
di Guido Salvini - già magistrato


Pasolini sul Set (foto: Roberto Villa)

2 novembre 1975. La verità monca dell’Idroscalo.  
 
Sono passati cinquant’anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Il 2novembre 1975 è un giorno rimasto impresso nella memoria. Mi permetto un ricordo personale. Quando quella mattina dal Telegiornale arrivò la notizia che il suo corpo era stato ritrovato in un campetto dell’Idroscalo di Ostia, ero in montagna con amici per trascorrere i giorni dell’estate di San Martino. Parlammo di cosa era accaduto e di politica sino a notte fonda. Allora non si parlava ancora degli influencer e di banalità simili. Era anche appena avvenuto il massacro del Circeo.
Poi ci sono stati processi. Nella sentenza di primo grado, scritta da Alfredo Carlo Moro, fratello dello statista, Pino Pelosi era stato condannato per aveva ucciso Pasolini “in concorso con ignoti”. Gli “ignoti” sono poi scomparsi nelle sentenze successive. Ma anni di ricerche di giornalisti d’inchiesta e nuove testimonianze hanno sgretolato la ricostruzione ufficiale secondo cui Pelosi avrebbe fatto tutto da solo.


 
Non è possibile che Pelosi, detto non a caso “Pino la Rana”, abbia da solo sopraffatto e ucciso in quel modo Pierpaolo Pasolini, un uomo più forte e robusto di lui. Troppo gravi le lesioni sul corpo, quasi massacrato, del poeta. Un corpo su cui era passata più volte una autovettura, forse l’Alfa GT di Pasolini, forse anche un’altra vettura, in modo incompatibile con la semplice fuga di Pelosi, alla guida, dal luogo del delitto. E poi rumori e grida di più persone e di più vetture sentite a lungo quella notte dagli abitanti delle “baracche” intorno e non ascoltati, per incapacità e approssimazione investigativa dalle autorità di Polizia, ma solo dai giornalisti che avevano avvicinato e sentito quei testimoni.
Alla fine, nel 2005, Pino Pelosi, ha ammesso di avere avuto solo il ruolo di esca e che lo scrittore era stato aggredito da un gruppo che li attendeva a Ostia, sulla cui identità è stato molto “cauto” parlando solo di due malavitosi siciliani ormai morti. Pasolini era stato attirato all’Idroscalo con la promessa di riscattare, Pasolini aveva con sé i soldi, le bobine di “Salò”, il suo ultimo film, rubate nell’agosto 1975 negli stabilimenti della Technicolor.
Poi, purtroppo quasi in punto di morte, Sergio Citti ha confermato che Pasolini intendeva riavere le bobine a tutti i costi, anche a suo rischio personale. E la Commissione Antimafia della scorsa legislatura ha accertato con nuove testimonianze che in seguito, qualche mese dopo, proprio quelle bobine erano state fatte ritrovare da elementi della criminalità, per allentare la pressione e ottenere qualche vantaggio, ad un agente dei Servizi e rimesse al loro posto. Una trappola quindi, non un incontro finito male, ma ad opera di chi?


 
All’inizio degli anni ’70 Pasolini stava ponendo mano ad un progetto di “processo”, culturale non giudiziario ovviamente, al potere identificato nella Democrazia Cristiana, o meglio nella sua degenerazione, che aveva anche consentito e beneficiato degli effetti delle stragi e delle altre manovre eversive di quell’epoca. Insieme a questo progetto con il colossale romanzo Petrolio, rimasto incompiuto, lo scrittore intendeva denunciare il potere economico, raffigurato nel padrone dell’ENI Eugenio Cefis che stava teorizzando la prevalenza dei grandi potentati economici e delle multinazionali sulla politica svuotata e ridotta ad un ruolo servente. Non voglio con questo dire che l’omicidio Pasolini sia stato un delitto direttamente politico, cioè commissionato da coloro che erano gli obiettivi del suo lavoro culturale. Non ve ne sono le prove e se così fosse, ad esempio, forse Pino Pelosi non sarebbe rimasto vivo a lungo.
Ma certamente è stato un delitto politicamente orientato e sfruttato. È stato un delitto di “influenza” per poter descrivere Pasolini che ne è stato vittima come una persona negativa e pericolosa in grado di sviare la gioventù non solo per le sue tendenze ma anche per le sue idee in qualche modo corrispondenti ad esse. Il delitto è stato ricostruito e commentato esclusivamente nella cornice dell’uomo “malato”. Solo quella poteva essere la sua fine e così era stato. Ed è stato così realizzato l’intento di svilire solo come un anormale chi criticava il sistema di potere.



Allora era facile. La violenza pura e gratuita contro gli omosessuali esisteva in modo molto violento più di oggi e senza possibilità di appellarsi alla giustizia e alla pubblica opinione che erano sordi. Oggi non è più così, anche a destra ci sono esponenti politici omosessuali e nessuno farebbe la campagna politica contro l’omosessualità equiparandola magari alla droga o alla sovversione.  Allora invece era un marchio sull’intera persona. Non è difficile immaginare chi siano stati gli autori materiali di quell’omicidio tribale: elementi della malavita più violenta e agguerrita che stava prendendo il potere a Roma, stava nascendo la Magliana, o elementi dell’estrema destra che già avevano disturbato le prime dei suoi film, come “Mamma Roma” e consideravano il film “Salò” uno sfregio. Non credo che sulla morte di Pasolini, dopo ripetute e svogliate archiviazioni, vi siano molti spazi per una soluzione giudiziaria.
Tuttavia può essere costituita, come chiesto inutilmente in passato, una Commissione Parlamentare d’Inchiesta che, seppur con obiettivi limitati e anche senza la presunzione di raggiungere la verità, possa ascoltare chi, a conoscenza di quella vicenda, è ancora vivente e alla fine condensare, almeno sul piano storico, in una sua relazione quanto ormai si sa sulla morte dello scrittore.
Sarebbero un omaggio dovuto ad uno dei grandi protagonisti della cultura e anche della storia del nostro paese.
Un’ultima riflessione. Nel 1974 Pasolini aveva scritto che “l’Italia è un paese che diventa sempre più stupido ignorante” dove regna il consumismo e dove il conformismo di sinistra si accompagna ormai a quello di destra. Chissà cosa avrebbe scritto oggi dei giovani accalcati in fila davanti ai negozi in cui è in vendita l’ultimo modello di smartphone. Più che una critica la sua è stata una profezia.

 

PASOLINI E IL CALCIO   
 

Pier Paolo Pasolini

Il fisico ce l’aveva, e anche lo stile. Correre dietro un pallone gli veniva bene: che fosse un campo vero o un brullo spiazzo di periferia romana, a misurarsi con ragazzi di vita e piccoli teppisti divorati dal male e dalla fame. Gli veniva bene come comporre versi sulla carta, e forse erano i suoi momenti più felici. Per lui un rito, tanto che si era lasciato andare fino a definirlo “L’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. O no, caro Pier Paolo, il calcio rappresentazione sacra non lo è più – ammesso che lo sia mai stato. È guerra dentro e fuori e spettacolo di ferocia e di dolore. Oppio è divenuto, Pier Paolo: oppio dei diseredati ed empietà per i nuovi mercanti del tempio.
Angelo Gaccione 

SCIOPERO UNITARIO
Appello per uno sciopero unitario di tutti i sindacati


 
firma quihttps://forms.gle/AwHM1yvyNrEHPd2V8

Come lavoratori e lavoratrici, Rsu e delegati sindacali, esprimiamo una fortissima preoccupazione per i contenuti sociali presenti nella Legge finanziaria presentata dal Governo Meloni e dal progetto di riarmo che il governo, in piena sintonia con una parte consistente dei governi europei, sta sistematicamente portando avanti con effetti presenti e futuri veramente devastanti. Le lotte sulla Palestina, caratterizzate da un forte processo di aggregazione popolare e sociale, ci hanno insegnato quanto sia importante e desiderata l’unità dal basso di tutti i sindacati siano essi di base che confederali, come nel caso dello sciopero generale del 3 Ottobre.
Non abbiamo mai condiviso le forzature, le fughe in avanti, la corsa a chi decide le date di sciopero in solitaria, né tanto meno l’attendismo di chi aspetta tempi troppo lunghi per la proclamazione degli scioperi.
Separarsi nelle lotte e negli scioperi per ragioni di sigla sindacale è davvero deleterio, si tratta di comportamenti che non aiutano l’unità dei lavoratori nei luoghi di lavoro; inoltre se consideriamo la legge sugli scioperi non abbiamo alcuna possibilità di scioperare e manifestare se non nella data del 28 Novembre, data nella quale prima la Cub e poi altri sindacati di base come Usb e Cobas hanno indetto uno sciopero.
Farlo prima determinerebbe una difficoltà a preparare i lavoratori alla giornata di sciopero, farlo dopo rischierebbe di sviluppare una mobilitazione quando la finanziaria, magari, è già stata approvata. 
Non ci interessa chi ha indetto lo sciopero prima, quello che ci interessa è unire le forze dei lavoratori e non disperderle.
È necessario infatti concentrare le forze per preparare uno sciopero generale sui temi cruciali quali:
1. opposizione al piano riarmo e ai tagli al salario sociale
2. attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori 
3. aumento dell’età pensionabile 
4. mancanza di rinnovo dei contratti. 
Proviamo a fare un passo in avanti, siamo tutti consapevoli che l’ipotetica separazione degli scioperi, o la mancata indizione degli scioperi da parte del principale sindacato italiano, la CGIl, indebolirebbe la forza dello sciopero, favorendo, nei fatti, la tenuta ed il rafforzamento del governo Meloni. 
Se c’è una convergenza di fondo nella critica alla finanziaria del governo Meloni e alla politica di riarmo, dobbiamo provare ad andare oltre gli steccati, tentare di unirci nell’unica data possibile per esprimere, attraverso lo strumento dello sciopero, la nostra netta e decisa contrarietà alle politiche antisociali e di riarmo portate avanti dal governo Meloni.



I Firmatari
Francesco Cori RSU FLC CGIL
Roberto Villani RSU FLC CGIL
Renato Caputo RSU FLC CGIL
Pasquale Vecchiarelli RSU FP CGIL CDL Roma EST
Marco Beccari direttivo FLC CGIL
Francesco Paolo Caputo FLC CGIL
Selena Di Francescantonio RSU FP CGIL
Beniamino Caputo CGIL università
Marco Morosini RSA FLM Uniti CUB
Romolo Calcagno RSU FLC CGIL Bologna
Emanuela Chiappini Cgil
Francesco Locantore Rsu Flc Cgil
Luigi Cerini SPI-CGIL
Marialisa Bruzzaniti CGIL
Augustin Breda CGIL
Luisa Barba FLC-CGIL
Antonio Pisa Spi Cgil
Giovanni Chiappetta Rsu Flc-Cgil    
Maurizio Aversa Cgil
Andrea Sonaglioni    
Giovanni Lucidi Cgil
Giuseppe Palmieri    
Franco Panzarella Assemblea generale CdL
di Prato Pistoia delegato Rsu ITST. Buzzi Prato
Silvio Izzo    
Alessandro Modolo  
Maria Mazzei Rsu flc-Cgil
Marta Malaguti Usb
Francesca Sapucci Cgil
Chiara Fallavollita    
Diego Chiaraluce FLC Cgil
Giuseppe Lingetti FIOM-CGIL Roma, RSA Neat srl
Matteo Pagano Fiom Roma est  
Stefano Paterna    
Christian Pescara    
Mario Eustachio De Bellis USB pensionati
Rosario Marra Iscritto USB Napoli
Vincenzo Spagnolo FLC CGIL
Alberto Mammollino RSU FLC CGIL
Daisy Rapanelli    
Simone Antonioli USB Fed Cremona-Mantova
Riccardo Gandini    
Diego Polidori C.G.I.L
Alessandra De Rossi    
Pamela Nazzaro Filt Cgil
Maria Andreina Parogni Cobas
Tatiana Bertini CGIL
Luciana Puccinni    
Veronica Morea RSU FLC-CGIL
Elena Felicetti FLC CGIL
Nikita Pilò Wenzel    
Fulvia Spatafora FLC CGIL
Irene Rui    
Stefano Cossu    
Velia Minicozzi    
Roberto Giacomelli RSU FLC-CGIL
Grazia Francescatti USB
Umberto Spallotta Flc Cgil
Vania Latini CGIL
Ruggero Orilia    
Nicolae Daniel Socaciu RSU FIOM CGIL Forlì-Cesena
Giovanni Bruno EN Cobas
Susanna Ardito RSU FLC-CGIL
Luca USB PI e RSU Università degli Studi di Cagliari
Lisa Marras    
Fannì Sacconi RSU FLC CGIL
Riccardo Federici CIGL
Vilma Gidaro SPI Cgil (Roma Sud-Pomezia-Castelli)
Luca Pusceddu USB PI - RSU Università degli Studi di Cagliari
Daniela Alessandri  Spi CGIL
Sarah Morteza Usb
Nicolò Martinelli    
Carmelo Cipriano    
Silvia Giuntini iscritta Cobas
Claudia Troilo SLC CGIL
Daniele Zollo    
Carlo Iozzi RSU Valmet Tissue Converting - Lucca
Simone Di Giulio RSU Valmet Converting Fiom Lucca
Cristina Cirillo    
Fabrizio Baggi CGIL
Deborah Di Tommaso RSU FP- CGIL Roma
Bruno Barbona    
Simone Rossi    
Riccardo Filesi RSU CGIL FLC
Giorgia D’Amico Rsu fp Cgil
Francesco Mattogno    
Gabriele Germani divulgatore e saggista
Chiara Piliego    
Mohamed Taha    
Francesco De Simone RSA FISAC CGIL
Ikram Gtite    
Ezio Locatelli ex deputato
Matteo Masum FIOM CGIL
Gustavo Filippucci    
Ela Gerevini    
Elisa Pungetti UIL
Enrico Diez    
Alessio Ansini    
Adriano Morgia    
Federica Molinari Slc Cgil
Francesco Visco    
Claudia Di Cioccio    
Sonia Ferrin    
Stefania Zurlo CGIL
Francesca Ettari    
Maura Zacchi CGIL
Johannes Kurzeder CGIL/FLC Bologna
Osvaldo Bossi CGIL
Giuseppe Postacchini RSU flc
Marta Scaccia Rsu - FLC Cgil
Amalia Masullo    
Barbara Pulcini    
Carlo Tempestini SPI CGIL
Federico Pellocano  A.d.l. Cobas (Treviso)
Fausto Cristofari Iscritto SPI CGIL Torino
Tiziana Moreschi    
Marinella Manfrotto    
Teresina Bellu CGIL
Marta Latini    
Maria Teresa CIZZA CGIL
Aristide Cacioni Spi CGIL
Annalisa Anzivino SPI Cgil
Claudio Fiorellalno  Novara
Filippo Domenicucci    
Lucietta Bellomo SPI CGIL
Luca Corvitto    
Francesca Ettari Flc Cgil
Sonia Fontana CGIL
Angelo Calemme RSU CISL Scuola
Alfredo Camozzi Cobas Scuola
Antonietta Ponticelli    
Sandy Alessandra Da Fre FLC CGIL
Myriam Tiddia SLC - CGIL
Serafino Puccio RSU IIS Settimo Torinese FLC Cgil
Stefano Caroselli Filt Cgil
Claudio Giannini SPI CGIL - AUSER (Volontariato)
Antonio Mannatzu    
Greta Franco    
Jones Mannino Funzione Pubblica - CGIL
Roberto Caiani delegato Cgil
Maurizio Afeltra    
Anna Maria Bregoli    
Raffaele Viglianti RSU FILT CGIL Roma
Angelica Bergamini    
Gianfranco Angioni RSU USB-
ARNAS BROTZU CAGLIARI
Fernando Volponi Iscritto Cgil sanità Policlinico Gemelli
Giulia Chia    
Bruno Palumbo    
Vito Meloni ex dirigente FLC-Cgil
Roberta Severino Cub Sallca
Virginio Pilò FLC CGIL
Giorgio Riccobaldi SPI Cgil  La Spezia
Roberta Cabua libera professionista
Giorgio Riccobaldi SPI Cgil La Spezia
Massimo Dalla Giovanna Rsu Slc-Cgil
Paolo Virgili FLC CGIL
Fiorenza Arisio iscritta CUB
Ennio Macrì Cisal
Maria Antonietta Vannisanti pensionata CGIL
Concetta Morelli  pensionata
Luca Massimo Climati pensionato
“Odissea” giornale di cultura - Milano

POETI E GUERRA
di Laura Margherita Volante 



 
Ecatombe
 
Le parole sono croci 
nei cimiteri del
deserto.
La firma della morte invece 
è sempre chiara
Perché? 
Grida un bambino 
affamato 
di cibo e d’amore.
Non ha più la mamma 
di cibo e d’amore
Perché...? 
Non risponde all’appello
L’infame!
Accarezza i suoi figli 
che gli chiederanno 
“Perché?” 
“Sono fratelli nati da 
un grembo come noi”.
Implorante la Madre 
chiude gli occhi del bimbo. 
“Era mio fratello...” 
fa eco l’Universo.