Verrebbe
voglia di gridare: “Viva New York socialista!” anche se, insomma, un urlo del
genere suonerebbe un po’ strano. Mettendo da parte per un attimo la necessaria
complessità dell’analisi del voto e nascondendo (sempre per un attimo) l’enorme
montagna che Mamdami si troverà a dover scalare, questo è il momento di
respirare: qualcuno ha scritto: “Ha vinto la generazione Z contro i miliardari”.
Si apre uno squarcio nella cupa e guerrafondaia ‘america’ (scritta volutamente
con la minuscola) di Trump, anche guardando ai risultati del New Yersey e della
Virginia: forse la lunga traversata nel deserto di Sanders e Ocasio Martinez ha
dato qualche frutto. New York però è diversa dalle altre vittorie dei
democratici: non solo perché si tratta della metropoli più importante del mondo,
ma soprattutto in ragione del fatto che la vittoria di oggi è una vittoria
socialista.
Una vittoria socialista attraverso la quale si dovrà tentare di
coltivare l’intreccio tra l’idea del vecchio welfare, del socialismo nella
libertà e quella della modernità delle grandi contraddizioni in un vortice di
cosmopolitismo, di mescolanza di culture e di necessità sociali ed anche
generazionali. Una vittoria che, adesso nel momento in cui si verifica, apre
davvero uno spazio nel cielo dell’umanità. Esagerazioni? Eccesso d’enfasi?
Forse: ma come non pensare a una prospettiva diversa adesso in quella che
usando un linguaggio antico potremmo definire “una civiltà affluente”, molto
complicata ma sicuramente avanzata. Certo che si verifica in una
democrazia limitata, ma comunque una vittoria netta e convincente, che si
colloca al di là della sconfitta di Trump e che, in ogni caso, non è cosa da
poco.