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mercoledì 12 novembre 2025

PROCURE IN CONFLITTO
di Luigi Mazzella


 
                
È quasi fare il verso a Monsieur Jacques De Chabannes De La Palice dire che la corruzione di un impiegato (pubblico) “indipendente” risulta molto più agevole di quella di un suo collega gerarchicamente inquadrato. Il primo non è, per così dire, “sorvegliato” da nessuno: il secondo lo è. Il primo sceglie l’operato che ritiene più opportuno, a sua unica discrezione; il secondo qualche obbligo di motivazione ce l’ha! Che si tratti di un’affermazione scontata lo ha dimostrato un recente fatto di cronaca relativoalla neverending story del cosiddetto “delitto di Garlasco”, il cui unico punto fermo è la condanna definitiva di Alberto Stasi, un giovane che ha scontato sedici anni di carcere per l’assassinio (non provato) della sua fidanzata Chiara Poggi. A distanza di vent’anni dall’omicidio ben due procure, quella di Pavia e quella di Brescia, stanno ancora indagando su quei fatti caratterizzati da punti molto oscuri. E altri “attori” sono comparsi sulla scena: Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi (con genitori e zii), le due gemelle Paola e Stefania Cappa (cugine dell’assassinata) e soprattutto (ai fini illustrativi della mia nota) il Procuratore di Pavia, il magistrato Mario Venditti. Tale Pubblico Ministero è indagato col sospetto di avere ricevuto una somma indebita di denaro dell’ordine di 20-30 mila euro dal padre di Andrea Sempio per disporre l’archiviazione degli atti a carico del figlio. (Indagando, indagando, a Brescia è venuta fuori, a carico di Venditti, anche un’altra inchiesta per “mala gestione” dei fondi della Procura di Pavia che non riguarda il caso Garlasco ma non manca di gettare altre ombre pesanti sull’operato di quel pubblico Accusatore). In un tale contesto e nella consapevolezza delle molte iniziative avviate e finite male (per loro) dei Pubblici Ministeri non credo che ci sia da esultare per le parole di Carlo Nordio secondo cui la sua riforma “non apre per niente la strada alla sottoposizione della pubblica accusa al potere esecutivo, perché nel provvedimento v’è una chiara affermazione della autonomia e indipendenza della magistratura giudicante e requirente”. A mio avviso, invece, è proprio ciò che dovrebbe preoccupare. Gli italiani, pur dopo la riforma, dovrebbero ancora temere che gli emuli del magistrato Venditti continuino a non rispondere di niente e a nessuno per le loro malefatte: a meno che non incappino in disavventure esclusivamente di tipo giudiziario. 
Il Parlamento, l’organo sovrano di ogni democrazia, continuerà a restare all’oscuro di tutto, perché anche i magistrati requirenti continueranno a godere lo stesso autoritarismo di chi giudica, non avendo autorità ad essi superiori. Ora che un Ministro della Giustizia non abbia nessun potere per evitare transiti di denaro in uffici da lui dipendenti (e dai contribuenti pagati) tra indagati e indagatori è cosa accettabile solo in una Repubblica delle banane (con tutto il rispetto per questo frutto delizioso).