Pagine

lunedì 1 dicembre 2025

L’ASSASSINIO DI KENNEDY
di Harrison Berger  


 
Chi considera Trump un’anomalia della democrazia americana ha buoni motivi, ma il problema è che la democrazia americana è da molto tempo in fase di regressione, e se si volesse identificare il momento in cui la retromarcia è stata innestata, il pensiero corre immediatamente all’assassino di Kennedy, un vero assassinio di stato che ha visto da allora apparati statali e media attivamente impegnati ad occultare le prove del complotto. Ora arrivano i primi documenti ufficiali, ma nessuno li legge, anzi lo sforzo della propaganda è di scoraggiare la lettura con l’asserzione che tali documenti non dicano niente di nuovo. Harrison Berger dell’American Conservative non è però dello stesso parere, e vede in essi non solo la prova del complotto, ma anche di un complotto in cui ha un ruolo centrale Israele. Non si tratta di una rivelazione: gli indizi in proposito esistono da tempo per chi voglia vedere. Tra questi c’è Ron Unz che ha raccolto in più riprese la documentazione resa pubblica da valorosi ricercatori, giungendo alla conclusione che il complotto ha visto l’attiva partecipazione dell’allora vice-presidente Johnson, un autentico criminale dunque, che in più occasioni ha dimostrato la propria vocazione, e la propria devozione a Israele. Ricordo come un esempio in proposito l’insabbiamento dell’attacco israeliano alla nave da ricognizione americana Liberty avvenuto al largo di Gaza l’8 giugno 1967, e costato la vita di decine di marinai americani - un insabbiamento che equivale ad alto tradimento. Potremmo dire che da allora il partito Democratico è il partito del “deep state”, e la conferma l’abbiamo da Berger che osserva come la propaganda volta a distrarre l'attenzione dai documenti resi pubblici da Trump sia orchestrata dai Democratici e dal NYT.              

[Franco Continolo]



Oscurato dalle recenti rivelazioni contenute nei file di Epstein, il 62° anniversario dell'assassinio del presidente John F. Kennedy è passato inosservato. Eppure, i nuovi documenti relativi a quell'omicidio ancora irrisolto - pubblicati solo di recente dall'amministrazione Trump - meritano un'attenzione ben maggiore di quella ricevuta dai media istituzionali. Dal momento in cui l'ultima serie di rivelazioni è emersa lo scorso marzo, il Partito Democratico e i suoi alleati nei media istituzionali hanno assunto il consueto ruolo di stenografi della CIA, ignorando - o addirittura rifiutandosi di esaminare - ciò che oltre 60.000 documenti rivelavano. Durante un'udienza alla Camera del 1° aprile, la deputata Jasmine Crockett (D-TX) - a dimostrazione della lealtà del Partito Democratico al “security state” degli Stati Uniti - ha insistito con sicurezza sul fatto che i file di JFK "non mostrano alcuna prova di una cospirazione della CIA" e si è lamentata del fatto che persino ascoltare le testimonianze di Oliver Stone, Jefferson Morley e Jim Di Eugenio equivalesse a "dare voce a teorie del complotto". Julian Barnes del New York Times ha fatto eco alla deputata democratica quasi parola per parola, annunciando in modo definitivo che "la CIA non ha ucciso JFK... Oswald ha agito da solo", nonostante l'enorme mole di documenti che nessun giornalista avrebbe potuto esaminare seriamente in così poco tempo. Le lettrici veloci Lalee Ibssa e Diana Paulsen di ABC News hanno parimenti affermato che, chiedendo al Congresso di riaprire le indagini sull'assassinio di Kennedy, il regista Oliver Stone stava "rilanciando teorie del complotto infondate". Ma nonostante l'insistenza dei Democratici e dei loro alleati mediatici, le rivelazioni dell'amministrazione Trump su JFK, insieme a una serie di documenti precedentemente pubblicati, suggeriscono in effetti una cospirazione della CIA. Disponiamo di un'ampia documentazione, tratta da documenti del Congresso non sigillati, che mostra chi ha lavorato duramente per insabbiare il fatto, tra cui un consorzio di funzionari della CIA che ha sistematicamente mentito alla Commissione Warren, fuorviando l'indagine pubblica sul principale sospettato dell'omicidio del presidente, Lee Harvey Oswald. Forse il principale artefice di quella copertura fu il capo delle spie della CIA, James Jesus Angleton, che, pur essendo il capo del controspionaggio che presiedeva a quello che si supponeva fosse il peggior fallimento dell'intelligence dai tempi di Pearl Harbor, finì per essere profondamente coinvolto nell'indagine ufficiale della CIA sull'assassinio.


 
Sebbene Angleton insistesse sul fatto che l'agenzia fosse disattenta a Oswald e ignara dello scopo delle sue attività prima di Dallas, da allora è stato rivelato, attraverso documenti non classificati sull'assassinio di JFK, che Angleton aveva personalmente tenuto un fascicolo classificato di intelligence/sorveglianza di tipo 201 su Oswald per i quattro anni precedenti l'assassinio di Kennedy, controllando rigorosamente quali funzionari all'interno della CIA fossero autorizzati a visionarlo attraverso la compartimentazione. 
Gli inganni di Angleton agli investigatori sono così numerosi che, a 60 anni di distanza, vengono ancora scoperti; in un caso degno di nota, rivelato solo quest'anno, Angleton ha commesso spergiuro davanti alla Commissione Speciale della Camera sugli Assassini, affermando di non sapere quasi nulla di Lee Harvey Oswald prima della sparatoria. In un altro, Angleton ha nascosto il fatto che Oswald avesse visitato l'ambasciata cubana a Città del Messico, una visita che la CIA ha pubblicamente affermato di aver scoperto solo dopo l'assassinio. Come ha spiegato Jefferson Morley, autore di The Ghost: The Secret Life of CIA Spymaster James Jesus Angleton, il capo del controspionaggio "preferì aspettare la fine della Commissione Warren piuttosto che spiegare la conoscenza e l'interesse della CIA per la visita di Oswald al consolato cubano" in Messico. 
Sebbene Angleton abbia lasciato la CIA in disgrazia, liquidato da molti colleghi come un paranoico ossessivo, la sua eredità è stata costantemente venerata dai servizi segreti israeliani. Nelle sue memorie, l'ex direttore del Mossad, Meir Amit, descrisse James Angleton come "il più grande sionista del gruppo", aggiungendo che "la sua totale identificazione con Israele è stata una risorsa straordinaria per noi". Come scrive Morley, "la lealtà di Angleton verso Israele ha tradito la politica statunitense su scala epica", probabilmente consentendo agli israeliani di costruire una bomba nucleare utilizzando materiali rubati dall’impianto statunitense della Nuclear Materials and Equipment Corporation (NUMEC), in un momento in cui la politica dichiarata del governo statunitense era quella di impedire a Israele di acquisirne una.
Angleton aveva contatti professionali e personali regolari con almeno sei uomini a conoscenza del piano segreto di Israele per costruire una bomba. Da Asher Ben Natan ad Amos de Shalit, da Isser Harel a Meir Amit, da Moshe Dayan a Yval Ne'eman, i suoi amici erano coinvolti nella costruzione dell'arsenale nucleare israeliano. Se venne a conoscenza di qualcosa del programma segreto di Dimona, ne riferì ben poco. Se non fece domande sulle azioni di Israele, non stava facendo il suo lavoro. Invece di sostenere la politica di sicurezza nucleare degli Stati Uniti, la ignorò.


 
Tra le questioni più delicate sollevate dalle dichiarazioni dell'amministrazione Trump c'è se Israele possa aver avuto un ruolo o fosse a conoscenza del complotto contro Kennedy, che ha trascorso i suoi ultimi mesi a combattere contro il governo israeliano per il suo programma nucleare, il suo potere di lobbying negli Stati Uniti e il reinsediamento dei palestinesi dalla terra da cui gli israeliani li avevano espulsi. 
Il solo suggerimento che Israele possa essere stato coinvolto nell'assassinio di Kennedy, molto più delle accuse contro la CIA, provoca le più rapide denunce da parte di tutto l'establishment. Quando il podcaster Theo Von ha mosso l'accusa contro Israele in una recente puntata di The Joe Rogan Experience, ad esempio, fedelissimi di Israele come Amit Segal hanno rapidamente denunciato l'affermazione come una "calunnia del sangue" e "antisemita". Anche Cyber Well, un'organizzazione di censura guidata da Israele e composta da ex funzionari dell'intelligence israeliana che collabora con tutte le principali piattaforme di social media, ha etichettato l'accusa come una teoria del complotto antisemita e ha collaborato con queste piattaforme per censurarla da Internet. 
L'intensità con cui i critici denunciano chiunque sollevi la questione rispecchia il vigore con cui il governo ha trascorso decenni a cancellare ogni traccia del collegamento dai propri archivi. Per decenni, decine di riferimenti a "Israele", "Tel Aviv" e persino le identità degli agenti israeliani di Angleton sono stati oscurati dalle testimonianze del Congresso, compresi i verbali del Comitato Church.


 
Nella sua testimonianza del 1975 al Comitato Church, ora disponibile con molte delle vecchie redazioni rimosse, Angleton conferma che durante gli "affari cubani" della CIA - la campagna segreta di sabotaggio e attentati contro Castro condotta da Bill Harvey e dalla Task Force W - fece in modo che un agente dell'intelligence israeliana all'Avana fungesse da canale segreto di Harvey. Secondo Angleton, questo "israeliano" inviava rapporti dall'Avana a Tel Aviv, da dove venivano trasmessi direttamente ad Angleton e poi ad Harvey. Questa configurazione teneva alcune delle operazioni più delicate dell'agenzia al di fuori della normale catena di comando della CIA. Una pagina ora mancante di quella stessa testimonianza, scoperta da Aaron Good, mostra Angleton minimizzare la necessità di informare il direttore della CIA John McCone sul suo collegamento con Israele, pur ammettendo che "quello che stavano facendo era enorme". 
Good sottolinea anche come il canale israeliano di Angleton si intersecasse con Lee Harvey Oswald. L'ufficiale dello Stato Maggiore del Controspionaggio incaricato di leggere la posta di Oswald e di raccoglierla per il fascicolo di sorveglianza 201 che Angleton manteneva prima dell'assassinio era Reuben Efron, un sionista convinto che aveva vissuto in Israele, pubblicato articoli di spionaggio su una rivista affiliata all'Organizzazione Sionista Mondiale e, come nota Jefferson Morley, aveva assistito all'intervista della Commissione Warren di Marina Oswald senza alcun ruolo ufficiale.
Nel momento stesso in cui un presidente degli Stati Uniti cercava di limitare le ambizioni nucleari di Israele e il potere politico della sua lobby a Washington, il funzionario della CIA che controllava il fascicolo Oswald condivideva segretamente canali di intelligence, comunicazioni sull'assassinio e agenti segreti con Israele, mentendo sia al Congresso che potenzialmente ad alcuni dei suoi colleghi della CIA. Il governo ha trascorso 60 anni a censurare quei fatti e gli americani hanno il diritto di sapere perché.

 

CARNE FRESCA PER LA GUERRA
di Luigi Mazzella


 
Nascite in Italia: l’anno nero e gli altisonanti appelli delle Autorità.
 
I dati forniti dall’ISTAT per il 2024 e le previsioni per il 2025 confermano, rispettivamente, il declino demografico che l’Italia ha subìto lo scorso anno (toccando il suo minimo storico) e la mancanza di segnali incoraggianti per quello in corso (che lascia pensare a un record ancora più negativo). È indiscutibile, quindi, l’utilità di convocare, annualmente, “Stati Generali della Natalità per (come si dice con brutto neologismo) “monitorare” la decrescita ed è ugualmente indispensabile che pubbliche Autorità e Istituzioni deputate alla soluzione del problema studino i provvedimenti necessari per arginare il fenomeno, di cui si coglie (per alcuni, a ragione e, per altri, a torto) una dose preoccupante di negatività. Per dirla tutta, però, accertamento dei dati e diagnosi del male sono necessari ma non sufficienti; non bastano: è la terapia che dev’essere adeguata. Essa, avendo gli esseri umani, tra quelli viventi, uso di ragione, non può prescindere da valutazioni logiche, impossibili nel mondo animale e in quello vegetale. È qui, infatti che, come suole dirsi, casca l’asino. Le considerazioni e le valutazioni del fenomeno della procreazione non rispondono a principi di corretta logica, sono avulse, in altre parole, da premesse e conseguenze di necessaria razionalità. È cervellotica la premessa: il perseguimento di un aumento abnorme della popolazione non risponde ad un ragionevole desiderio di prole e di amore per l’umanità ma soprattutto a un’esigenza di potere e di dominio. È del tutto verosimile che per avere la meglio su chi la pensa diversamente e più spesso “contro” di noi (soprattutto in campo religioso) si avverta la necessità di essere in numero maggiore degli avversari (in religione, essi sono definiti “infedeli” e, spesso, ritenuti “da sterminare”). Il vecchio precetto (di oltre venti secoli) detto del “crescete e moltiplicatevi” attribuito a Gesù Cristo ma comune almeno a tutti i profeti del monoteismo mediorientale ha creato i presupposti per un sovraffollamento eccessivo che ha reso invivibile il Pianeta (e ciò non per una questione di approvvigionamento di cibo e/o di altro ma di cosiddetto “spazio vitale”). 
All’irrazionalità della regola religiosa si è aggiunta l’analoga sconsideratezza dettata della politica con le aspirazioni nazi-fasciste all’imperialismo egemone sul mondo.
Nell’uno e nell’altro caso, l’uso del raziocinio è stato messo da parte. 
E ciò anche in tempi recenti, quando esperimenti scientifici, condotti sui ratti, hanno dimostrato che se in un luogo circoscritto viene immesso un numero eccessivo di topi, questi si dilaniano e si ammazzano l’un l’altro fino a far ritornare alla misura adeguata lo spazio sentito come “vitale” per i superstiti.
Ovviamente, i “pauperisti” certamente più numerosi nella sinistra occidentale (costituita dai Democratici ormai transnazionali) ma cresciuti recentemente di numero, almeno in Italia, a causa della piaggeria dei neo fascisti nostrani nei confronti di Biden e dei suoi seguaci Democratici, pensano, del tutto irrazionalmente (e quindi erratamente) che misure economiche (retribuzioni, servizi sociali) possano essere utili per risolvere il problema. 



Non è così. Come il governo fascista, con le sue elargizioni di benefici, non riuscì ad invertire la rotta demografica del “Bel Paese”, così rischia di franare quella dei suoi epigoni neofascisti (divenuti sostanzialmente: "simili-democratici") che oggi, sono al governo del Paese. Essi sono caduti nella trappola dei pauperisti. D’altro canto, c’è l’impressione che, come a proposito dei milioni dice Eduardo De Filippo (in “Napoli milionaria”), gli irrazionalismi si chiamino l’un altro per riunirsi, riconoscersi, raggrupparsi e fare squadra, così a gran voce sembrano chiamarsi oggi, a proposito della denatalità, gli irrazionalismi Occidentali. Il quadro composito che ne viene fuori è allucinante. Al danno, immaginario o reale, della denatalità si aggiunge quello immancabile e certo dell’immigrazione clandestina, pacificamente accettata e tollerata da una popolazione di beoti contenti! 
In altre parole, con l’immissione selvaggia e incontrollata di individui con usi e costumi diversi dai nostri, il finto buonismo italico ed europeo ha provocato e provoca, per squallidi motivi di interesse economico (id est: ricerca di manodopera a basso costo) il fenomeno, ancora più dannoso dello stesso sovraffollamento, della paura, divenuta endemica, nella vita sociale. A ciò si deve aggiungere, almeno per ciò che riguarda l’Italia, che agli stupri, alle aggressioni in strada e alle violenze sessuali, ai femminicidi a gogò, ai commerci di droghe in trivi e quadrivi cittadini si sommano le cosiddette “manifestazioni di protesta civile” soprattutto di giovani in un clima di odi reciproci e di rancori ideologici che si innestano in strutture psico-fisiche “gemelle”. I governanti che possono alternarsi alla guida del Paese, essendo tutti, quasi ugualmente impregnati di irrazionalismi di varia natura (religiosa o politica), non hanno le caratteristiche adeguate per riportare la convivenza sociale a livelli civili. Oggi, la scelta necessaria e impellente di aumentare le forze di polizia per il mantenimento dell’ordine interno, è impedita dalle cervellotiche scelte e simpatie  internazionali del Ministro cuneese Crosetto, che appare  in preda alla follia di voler ricostituire la leva militare per impaurire ulteriormente, con il pericolo paventato di un’imminente  invasione, gli Italiani (e vi sono, tra quelli anziani, quelli che ricordano ancora  la frase del “camerata” d’antan, Mario Appelius, che alla radio raccontava l’abitudine dei Russi di “mangiare i bambini dopo averli sbucciati come caramelle”). Il ripristino della leva costerà agli italici contribuenti, già sufficientemente indignati dalle armi e dai quattrini inviati al corrotto Zelensky che ogni giorno è costretto a licenziare qualche collaboratore di governo scoperto con le mani nel sacco.
Domanda: Con tante incongruenze è così difficile comprendere che il desiderio delle coppie italiane meno “beote” di mettere al mondo figli/e si contragga progressivamente sempre di più?

PALESTINA E MUSICISTI
di Filippo Senatore


 
La ragazza dal giubbino rosso
 
Ormai la vedevo da mesi ogni sabato pomeriggio infagottata nel suo giubbino rosso e un berretto nero che le copriva capelli e gran parte del viso. Un signore alto con barba, capelli lunghi e bandiera palestinese sulle spalle la spingeva sulla sedia a rotelle. Lei affossata e ripiegata di lato senza forze sembrava assente nel frastuono della manifestazione. Eppure una piccola banda di ottoni ruotava intorno a lei. Musiciste e musicisti di mezza età imboccavano trombe, tromboni, clarinetti, sax e tuba partendo all'unisono e intonando canzoni resistenziali. E poi i canti spontanei di noi vicini del corteo attoniti e divertiti e danzanti di una musica viva e piena di speranze. Non riuscivo a capire l’intesa dei quindici fino a quando non ho visto uno dei suonatori di sax inginocchiato davanti a lei. Confabulavano amichevolmente e ho capito che lei riusciva a dare un segnale direttoriale con la minuscola mano da bambina. Era una musicista anche lei? Sembrava contenta per l’incoraggiamento dell’amico ed alzando la testa si era intravisto il viso e i capelli neri. Non appena la banda ripose gli strumenti nella custodia la donna dal giubbino rosso chiuse gli occhi nel silenzio interrotto dal suono di una lacrima. 

LA LOTTA NON SI FA CON LA VOLUTTÀ
di Pierpaolo Calonaci



Apprendo con sanguigno e sommo sdegno che i cosiddetti proPal (una delle tante etichette create ad hoc) hanno devastato la sede de “La Stampa”. Se essere di sinistra e lottare significa solo coazione a ripetere la rabbia, con il suo sostrato di voluttà, allora non appartengo a questo modo di lottare! Non è troppo difficile né moralista vederci in questo attacco, la medesima volontà squadrista che colpì, alcuni fa, la sede della Cgil a Roma. La giornata del 29 novembre, in memoria della dignità del popolo palestinese e della sua interminabile sofferenza, è stata segnata da una piazza pressoché vuota. Ma ciò passa in secondo piano, quando va bene, rispetto alla notizia di questa devastazione. Devastazione che diventa, grazie all’indissolubile connubio informazione-potere, un pericolo pubblico e come tale viene divulgato e rappresentato. Davanti agli effetti perniciosi e destabilizzanti, questo ordine delle cose deve accompagnarsi al sentimento diffuso della minaccia. È l’invenzione ad hoc del primo morto, ossia il nemico da combattere a prescindere che abbia forma fisica o simbolica, quale elemento fondativo, ricorda Elias Canetti in Massa e potere, per dare avvio ad una guerra da parte del despota di turno. Nel nostro caso, il despota del governo fascista in carica con il suo braccio repressivo. Il primo morto di cui l’attuale DDL “sicurezza” non aspettava altro per legittimarsi e funzionare. L’indignazione è una parola ambigua; bisogna usarla con parsimonia. Perché se è composta esclusivamente dalla rabbia, allora non produce altro che caos. Ogni atto politico di repressione abbisogna di essere corroborato da un tipo di risposta sociale che confermi la sua natura repressiva. Ma è così difficile capire oggi questo? Perciò occorrerebbe ora come mai studiare i movimenti di liberazione! Studiarne la loro intima essenza quanto le forme di opposizione al dominio; studiarne le pedagogie con le quali avvicinavano il popolo per istruirlo a emanciparsi; studiarne con lena duratura i mezzi culturali, linguistici, comunicativi, le strategie quanto le teorie politiche in consonanza delle quali stabilire precisi fini. Studiarne la storia che li accomuna e li differenzia! Studiare i modi grazie ai quali essi abbandonarono la propria comoda sicumera borghese e intrapresero la via stretta, anzi strettissima, della Resistenza! Insomma, studiare e sperare così di essere in grado di osservare e analizzare, ché la testa funziona a patto che la si tenga sulle spalle e non sulle palle! Studiare e diventare capaci di meta-riflessione, a meno che non vogliamo, come pare, rimanere alla mercé di una “massa e potere”.