DISAGIO DELLA SCONFITTA
E SCIOPERO GENERALE di Franco Astengo
Un primo rapido commento all’esito
dello sciopero generale organizzato dalla CGIL nella giornata di ieri 12
dicembre 2025, anniversario della strage fascista di piazza Fontana. La sinistra
italiana, il movimento dei lavoratori, soffre da tempo di un “disagio della
sconfitta” che rischia di farla cadere sempre di più in quella forma di falsa
coscienza (probabilmente consolatoria) che imputa all’ideologia degli altri le
cause dell’attuale stato di cose. La CGIL proclamando da sola lo sciopero
generale (presumo senza alcun intento soreliano) ha inteso rispondere a questo
evidente disagio partendo da sé, senza alcuna pretesa sostitutiva ma quale
indicazione di una vera e propria “resistenza” quale presupposto basilare del
ritorno ad una identificazione di classe. Questa affermazione riguardante la
resistenza e l’identificazione di classe, della quale vi assumiamo per intero
la responsabilità, prescinde dall’analisi dei risultati concreti che lo sciopero
ha avuto, dall’andamento delle manifestazioni, dai numeri dell'astensione dal
lavoro nelle diverse categorie. Egualmente definire una riconoscibilità di
classe non può ignorare l’articolazione sociale (al limite della scomposizione)
che si sta affermando nella modernità e la sovrapposizione esistente tra una
prevalenza dell’individualismo competitivo e la necessità di iniziativa
collettiva resa urgente dall’asprezza delle contraddizioni in atto. Iniziativa
collettiva che appare ancora minoritaria (ma non marginale) per un insieme di
ragioni, prima fra le quali il deficit democratico ormai evidente nel sistema
politico italiano. Viviamo un momento storico nel quale la conflittualità
prodotta dalle “fratture” materialiste e post-materialiste sta provocando un
rimescolamento tra gli antichi concetti di struttura e sovrastruttura (una
dicotomia “assalita” dalla forme diverse di innovazione tecnologica) e agitando
i contesti sociali senza trovare corrispondenza politica: questo punto di
analisi va ben oltre il perimetro del “caso italiano”, oggi di retroguardia
dopo un lungo periodo nel corso del quale ha rappresentato un vero e proprio
fenomeno d’avanguardia.
Per ricordarcene
I livelli di sfruttamento, l’acuirsi
delle diseguaglianze, lo spostamento materiale dei luoghi di lotta, ci fanno
ritenere in corso un ampliamento e una diversificazione dal punto di vista
sociale della categoria della classe (ad esempio: come si misura sull’intreccio
tra super sfruttamento e necessità di integrazione dei migranti): anche se le
vicende genovesi della settimana scorsa ci hanno ancora una volta indicato la
classe operaia come luogo “centrale” di una possibile iniziativa di reazione. Emergerebbero
tanti altri spunti di riflessione: alcuni non secondari relativi alla struttura
del sindacato in Italia tra i quali l'estinzione della antica prospettiva
unitaria tra i sindacati confederali e la crescita dei sindacati di base
fondati sulla “resistenza della classe”, in una prospettiva di diverso assetto
complessivo del sindacato: ma sviluppare un’analisi compiuta in questo senso ci
porterebbe troppo lontano adesso come adesso e ci costringe a limitarci a
queste prime sommarie osservazioni.