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lunedì 15 dicembre 2025

DISAGIO DELLA SCONFITTA E SCIOPERO GENERALE
di Franco Astengo


 
Un primo rapido commento all’esito dello sciopero generale organizzato dalla CGIL nella giornata di ieri 12 dicembre 2025, anniversario della strage fascista di piazza Fontana.
 
La sinistra italiana, il movimento dei lavoratori, soffre da tempo di un “disagio della sconfitta” che rischia di farla cadere sempre di più in quella forma di falsa coscienza (probabilmente consolatoria) che imputa all’ideologia degli altri le cause dell’attuale stato di cose. La CGIL proclamando da sola lo sciopero generale (presumo senza alcun intento soreliano) ha inteso rispondere a questo evidente disagio partendo da sé, senza alcuna pretesa sostitutiva ma quale indicazione di una vera e propria “resistenza” quale presupposto basilare del ritorno ad una identificazione di classe. Questa affermazione riguardante la resistenza e l’identificazione di classe, della quale vi assumiamo per intero la responsabilità, prescinde dall’analisi dei risultati concreti che lo sciopero ha avuto, dall’andamento delle manifestazioni, dai numeri dell'astensione dal lavoro nelle diverse categorie. Egualmente definire una riconoscibilità di classe non può ignorare l’articolazione sociale (al limite della scomposizione) che si sta affermando nella modernità e la sovrapposizione esistente tra una prevalenza dell’individualismo competitivo e la necessità di iniziativa collettiva resa urgente dall’asprezza delle contraddizioni in atto. Iniziativa collettiva che appare ancora minoritaria (ma non marginale) per un insieme di ragioni, prima fra le quali il deficit democratico ormai evidente nel sistema politico italiano. Viviamo un momento storico nel quale la conflittualità prodotta dalle “fratture” materialiste e post-materialiste sta provocando un rimescolamento tra gli antichi concetti di struttura e sovrastruttura (una dicotomia “assalita” dalla forme diverse di innovazione tecnologica) e agitando i contesti sociali senza trovare corrispondenza politica: questo punto di analisi va ben oltre il perimetro del “caso italiano”, oggi di retroguardia dopo un lungo periodo nel corso del quale ha rappresentato un vero e proprio fenomeno d’avanguardia.


Per ricordarcene

I livelli di sfruttamento, l’acuirsi delle diseguaglianze, lo spostamento materiale dei luoghi di lotta, ci fanno ritenere in corso un ampliamento e una diversificazione dal punto di vista sociale della categoria della classe (ad esempio: come si misura sull’intreccio tra super sfruttamento e necessità di integrazione dei migranti): anche se le vicende genovesi della settimana scorsa ci hanno ancora una volta indicato la classe operaia come luogo “centrale” di una possibile iniziativa di reazione. Emergerebbero tanti altri spunti di riflessione: alcuni non secondari relativi alla struttura del sindacato in Italia tra i quali l'estinzione della antica prospettiva unitaria tra i sindacati confederali e la crescita dei sindacati di base fondati sulla “resistenza della classe”, in una prospettiva di diverso assetto complessivo del sindacato: ma sviluppare un’analisi compiuta in questo senso ci porterebbe troppo lontano adesso come adesso e ci costringe a limitarci a queste prime sommarie osservazioni.