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FORO

MAX HAMLET SAUVAGE:
Il nostro Lichtenstein europeo
di Laura Serri
Max Hamlet

Le sue visioni e le sue metafore

Interno/esterno, dentro/fuori sono i poli dialettici che da sempre si sono alternati nel corso della tradizione pittorica determinando il tipo di contenuto: l’uno esprimendo il mondo interiore dell’uomo artista, il secondo ancorandosi alla realtà esterna per denunciare o solo registrare alcuni fatti emergenti della società. Il surrealista concettuale Max Sauvage è un artista simbolico, metafisico, mistico, con il suo realismo fantastico che guarda agli stati emotivi ed esprime uno stretto legame con l’ambiante e la vita urbana con il suo realismo fantastico, metaforizzandola, non come ha fatto Roy Lichtenstein, con le sue manipolazioni d’immagini prefabbricate delle superfici patinate dei “Comis” della multiforme vita americana per uno scopo parodistico delle tecniche delle immagini d’illustrazione e della pubblicità commerciale della cultura di massa.
L’approccio dell’artista in questione con la realtà, per Max Sauvage, è tipicamente più di matrice concettuale e onirica, e qui nelle sue opere il concetto è diverso dai fumetti di Roy Lichtenstein e la pittura di Max Sauvage è più vicina al mondo di Max Ernst, Magritte, che sono i suoi idoli prediletti, e quindi è lontano dalla “Pop-Art”. Il suo segno grafico, ironico e graffiante, di straniamento metafisico-surreale, è il suo universo interno, non come Roy Lichtenstein, con il suo intellettualistico gioco reticolato della carta stampata delle merci e la loro mercificazione dei “Cartoons” ingigantendo strips, come gioco banale assunto ad archetipo.

"Autoritratto con modella" 2008

La sua opera è già stata consolidata dalla critica di alcuni storici più autorevoli del dibattito contemporaneo. Artista dissacrante, ironico, travolgente, determinato e coerente nel suo lungo viaggio artistico, con 52 anni di militanza nel panorama dell’arte italiana, che è andato sempre controcorrente, fuori dalle mode effimere.
Artista complesso e multiforme, in questo nuovo ciclo, come omaggio all’artista pop-americano Roy Lichtenstein, a cui dedica 40 opere di grande formato, tanto da essere un avvenimento più glamour del panorama culturale di Summer Eventi 2020 nella sua città di origine, Gallipoli.
Questa nuova mostra dell’artista salentino, ma di adozione milanese, fa emergere il substrato colto dell’opera pop di Roy Lichtenstein reinventandola con queste sue forme rielaborate con un metodo linguistico che gli appartiene. Non si tratta per lui di copiare, di citare, ma di rielaborare il suo stile con il retino di puntini; qui, Max Sauvage nelle sue opere è più sociologico, rispetto alle immagini banali prese dal fumetto e dalla pubblicità come ha fatto l’artista americano.
"Interno domestico" 2020

Max Sauvage, ispirandosi e prendendo i d’apres di Roy Lichtenstein con i suoi “Interiors” e decori, li stravolge con i suoi personaggi satirici ed emblematici che gli appartengono, con i colori shock e con la forza espressiva della pop-art, ma con le sue icone del suo universo zoomorfico.
Le opere di Hamlet Sauvage meritano di essere esposte in prestigiose sedi museali di Amsterdam, Londra, Parigi, Berlino, ecc.
Come ha affermato Angelo Gaccione, “Hamlet è il più noto e costante artista surrealista italiano. I suoi personaggi zoomorfi e i suoi uccelli hanno nidificato al di là di molte frontiere italiane. Egli non teme confronti con la pop-art d’oltre Oceano, quanto a forza e a visionarietà”.   

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Roman Opalka, uguale-diverso

Opalka dipinge

Due Gallerie d’arte, Building, via Monte di Pietà, Milano, e la Fondazione Querini Stampalia, Castello 5252, Venezia, presentano il lavoro di un artista introspettivo, Roman Opalka, nato in Francia nel 1931, da una famiglia di origini polacche, morto a Chieti nel 2011. Dopo vari esperimenti di forme, di scritture in ‘nero’, Opalka cerca uno schema che possa contenere un andamento fisso, un motore dagli ingranaggi precostituiti. Anche le misure sono fisse: per la sua prima tela, o “dettaglio” come lo chiamava, decide per uno sfondo nero di 195 x 135 centimetri, con l’altezza corrispondente alla sua altezza fisica e la larghezza presa a prestito dalla porta. Pochi elementi cambiano nel tempo, ma il 1965 segna un programma che non dovrà modificarsi più. Un lavoro giornaliero nel proprio atelier, sempre ordinato nello stesso modo, concentrato su pochi temi spinti all’estremo della ripetizione-differente: il lento passare del tempo, il segno scuro (numeri, lettere) ripetuto su fondo chiaro sino a sparire poco per volta schiarendosi con lo stesso chiarore del fondo, oppure, al contrario, il fondo scuro e il segno chiaro che si scurisce. La seconda ripetizione non riguarda più un segno astratto, ma l’agente, il proprio viso, nella sua mutazione fisiologica, da giovane ad anziano a vecchio. Il numero acquista vitalità e la vitalità valore di segno.   
     
C’è un segno che indica l’operazione: OPALKA 1965 / 1 –(infinito). 
Il simbolo dell'infinito


Inizio dell’operazione e segno dell’indefinito, del futuro indeterminato, il primo e l’ultimo ‘Détail’. Alla vigilia della propria morte dipinge l’ultimo numero: 5.007.249.


Essere lui stesso, i suoi visi diversi nel tempo, il  piccolo pennello, la misura delle tele, il suo studio, gli elementi della operazione, insieme ripetitiva e mai uguale, una operazione freddamente concettuale ma pure intimamente personale. L’artista ripete ad alta voce i numeri che sta dipingendo, quasi a volerli coniugare con i battiti del cuore. Il piccolo pennello è caduto.  La fine della numerazione segna la fine della vita.
[Giorgio Colombo]