SCRITTI
IN RICORDO DI LUCIANA FORTINA
pagnini editore –
firenze 2013
QUATTRO INTERVENTI ALLA PRESENTAZIONE DEL
LIBRO
aula delle colonne –
università di siena a grosseto – 5 luglio 2013
Gianni Bernardini, Le città del silenzio e il
florilegio
Gioia Buoninconti, Cuius commoda eius et incommoda. Appunti
per una revisione del sistema in materia ambientale – profili di responsabilità
penale
Stefania Pietrini, L’Università di Siena: un libro
per Luciana
Gioi Pinna, Introduzione alla figura di Luciana Fortina
febbraio
2014
Domani, poi già un altro, e ancora un altro domani
si insinua a passi impercettibili, di giorno in
giorno,
fino all’ultima lettera del nome
del giorno estremo previsto; e tutti nostri ieri
hanno illuminato, follemente, la strada
alla definitiva polvere. Spegniti, presto,
candela (sempre più) corta! La vita non è che un’ombra
che cammina; un povero attore che si esibisce
compiaciuto, consumando il tempo programmato
per la sua presenza sul palco: e poi si smette di
sentirlo;
è un racconto affannato e roboante, declamato da un
idiota:
e non ha significato.
William
Shakespeare, Macbeth, Atto V, Scena V
traduzione
di G. B.
Aula
delle Colonne, Università di Siena a Grosseto
5
luglio 2013
Presentazione
di: AA. VV., a cura di Gianni
Bernardini, Alessandra Borghi, Veronica Fanciulli, Giovanna Luzzetti, Scritti
in ricordo di Luciana Fortina, Pagnini,
Firenze 2013[1]
Gianni
Bernardini
LE
CITTA’ DEL SILENZIO E IL FLORILEGIO[2]
Non
avremmo mai voluto fare questa presentazione. L’evento che ha motivato il libro che ne è oggetto, è stato la perdita
imprevista di una persona ancora giovane; un’amica la cui presenza poliedrica
colmava vari spazi di iniziative felici.
Avremmo voluto Luciana tra noi, non un libro.
Avremmo voluto Luciana e il libro:
non un libro “in memoria”, ma un libro “in onore”.
Credo infatti che vadano onorati i vivi, non i morti. Con i
“grandi” accade anche questo - p. es., tipicamente, in università[3] -.
Invece, tra la “gente”, è diffusa la strana attitudine a onorare i morti, piuttosto
che i vivi: anche solo andando a trovarli al cimitero; come se ce ne fosse
bisogno, per ricordarli, e non fossero, comunque, sempre in noi. Naturalmente
deve essere, tuttavia, riconosciuto con pietas,
e perfino immedesimazione l’atteggiamento di chi ci va con la spinta sincera di
una fede, del desiderio (o illusione[4])
della continuazione di un amore la
cui assenza cresce ogni giorno, disperatamente; in un senso estremo di
vicinanza - quasi fisico -. Ma in queste circostanze, certo coloro che sono
scomparsi sono stati “onorati”, e amati in molti modi anche da vivi; situazioni
alle quali sono tremendamente estranei i casi in cui si va nei luoghi, nelle
città dei defunti, si partecipa ai loro riti soprattutto per sentirsi la
coscienza a posto; e/o solo in ricorrenze ufficiali: come, nel cattolicesimo,
la commemorazione del 2 novembre.
D’altra parte, devo dichiarare con
franchezza che non ho il culto dei morti; specialmente, quasi animisticamente
caratterizzato da oggetti appartenuti alle persone scomparse, o petits cadeaux postumi, deposti a
incorniciare la lapide - giocattoli di bambini, maschere da sub, peluches -; o da armadietti, ciascuno
corrispondente a una tomba, contenenti strumenti vari: soprattutto per tenerla
pulita, e almeno curarne l’estetica (cose peraltro, queste ultime, dato che
esistono i cimiteri, necessarie).
Ritengo, precisamente, che i cimiteri
potrebbero anche non esistere, essere
aboliti[5]; i
morti rapidamente cremati, previo espianto, obbligatorio per légge, degli
organi utilizzabili, e le ceneri disperse dovunque sia consentito; o (forse)
meno dolorosamente, affidate al
personale dei crematòri, senza saperne più niente: perché - da quanto ho visto,
e provato - è una tortura anche l’attesa della consegna dell’urna, per dare
tempo al calore di dissiparsi; quindi ritirarla, e facilmente sentirne le
pareti ancora calde[6].
Le persone “normali” di solito non si onorano quando sono in vita. Spesso, se
è scomodo - per egoismo, pigrizia -, si smette inoltre di cercare occasioni
d’incontro con amici, persone anziane,
che per noi sono (state) importanti, o a cui si deve gratitudine.
Diversamente, all’interno di molte
famiglie, certi affetti sono esasperati e possono diventare patologici. Così,
se i figli hanno qualche merito,
questo viene eccessivamente lodato, esaltato; altrimenti inventato, anche in
buona fede; in ogni caso, manifestato anche pubblicamente, sbandierato: creando
(almeno) imbarazzo all’esterno della famiglia. I figli, i nipoti iperprotetti
possono, tra l’altro, diventare fragili, frustrati[7].
Naturalmente, molto dipende dalla cultura del contesto familiare e amicale,
dalla tendenza al realismo da parte dei genitori: che possono avere, al
contrario, con i figli rapporti non in senso deteriore e potenzialmente
dannoso, ma anzi, tali da metterli in grado di socializzare e sfruttare al
meglio le loro capacità - sia pure nelle drammaticità dell’attuale crisi
mondiale -.
Luciana
Fortina è stata una grande figura di donna; che in vita avrebbe meritato un
libro in onore. Ma non ci abbiamo mai pensato con una premura specifica; e può
apparire comprensibile per più motivi: a partire da quello per cui lei, la
morte in conseguenza della sua patologia, sembrava averla sconfitta; e a molti
di noi amici - nonostante le sofferenze degli ultimi tempi; e le difficoltà
delle varie fasi: ma anche la considerazione che le aveva sempre superate, in
un lungo arco di anni - è giunta inaspettata. Luciana stessa, forse, ne è stata
còlta di sorpresa: se è vero che alla fine della scorsa estate - cioè poco
prima della sua scomparsa -, progettava di affittare per la successiva un
ombrellone, e avere con sé, nella sua casa di Principina a Mare, la nipotina
francese Dora per un periodo soddisfacentemente lungo - e per questo -
consapevole comunque dei propri problemi - aveva inoltre “precettato” Grazia (andata
in pensione) a collaborare come vice-nonna -. Diceva Alberto Moravia che se non
ci si distrae, non si muore; ma non credo che Luciana si sia mai distratta da
niente che valesse la pena prendere in considerazione.
Luciana meritava di essere celebrata, e
lo è stata; anche in vita ha avuto i suoi riconoscimenti, l’apprezzamento per
le sue qualità e attività.
Amava intensamente lèggere, e un libro
come questo le sarebbe piaciuto moltissimo: come ha dichiarato in più
occasioni, con convinzione, anche una delle sue allieve predilette, Alessandra
Borghi.
Riferimenti espliciti a Luciana si trovano, oltreché - come è logico,
ampiamente - nella mia Premessa[8] e nella Nota biografica[9],
anche in seguito nel volume collettaneo a lei dedicato. Se avesse potuto
vederlo, Luciana, soffermandosi, p. es., sul saggio di Valerio Fusi, come lui
stesso enuncia in nota,
non sarebbe stata daccordo su
niente di quello che ho scritto qui dentro. Ma certo si sarebbe divertita molto
a discuterne[10].
O
avrebbe potuto, per dire così, “verificare”, questa volta a proposito del
saggio di Flavio Fusi, quanto asserito dall’autore, sempre in nota:
(s)appiamo, tutti noi suoi amici,
che Luciana era generosamente sensibile ai temi della mancanza di libertà e
dell’oppressione (anche culturale), e amo pensare che le sarebbe piaciuto
leggere questo scritto[11].
Gli
studi raccolti in questo reading -
anche prescindendo, astrattamente, da Luciana Fortina - tendono, in ultima
analisi, a corrispondere a componenti di una cultura in senso forte, o in altri termini una cultura “presa sul serio”:
come si potrebbe anche dire parafrasando il titolo italiano di un libro assai
noto del filosofo statunitense Ronald Dworkin[12].
E’ questa una possibile motivazione - se non la principale - del loro
assemblaggio in questa sede. I vari saggi possono insomma essere, per dire
così, altrettante “specializzazioni” di interessi, degli aspetti, appunto,
della “cultura” di colei/colui che
ne è un professionista, che la usa come strumento di interpretazione del
“mondo”, e anche per agirvi, apportarvi, per quanto in grado, cambiamenti
ritenuti migliorativi; operarvi insomma “rivoluzioni” a vari livelli[13].
D’altra
parte,
(a)nche in un contesto “in
partenza” più unitario della sorta di antologia scientifica in cui consiste il
presente volume, come p. es. quello giuridico, e in questo una materia
particolare, si possono dare (…) molteplici “variazioni” su un tema; e
contributi anche assai lontani e diversi dallo spunto iniziale; senza che
nessuno si scandalizzi[14].
Così,
nel volume dedicato dall’Università di Milano Bicocca a Aristide Tanzi - nella
quale era stato ordinario di Filosofia del diritto -,
si trovano (anche) scritti che
naturalmente hanno poco o niente a che fare con la filosofia del diritto,
volendo appunto il volume “essere un omaggio di amici e colleghi alla figura di
studioso e alla persona di Aristide Tanzi”[15].
Rapsodicamente
e in modo sommario, tra (i titoli de)gli argomenti trattati si trova: Matrimoni acattolici e interconfessionali,
L’opera dei giuristi compilatori del
Digesto, Riconoscimento del figlio
naturale da parte dell’altro genitore dopo la morte del genitore che per primo
ha riconosciuto, L’interpretazione
del regolamento di condominio[16].
Il presente volume, per e non su Luciana Fortina, vuole essere quindi “rigoroso”, invece che
“colorato”. Questo futuribile (ma da mie informazioni “riservate” non
improbabile) secondo tipo di testo - appunto su Luciana; con sue riflessioni, spunti “esistenziali”, lezioni[17],
commenti, (last but not least)
ricette di cucina, ecc. -, potrebbe peraltro formare con il primo un po’ uno
stesso volume composto di due parti reciprocamente strumentali.
Luciana figura comunque, attraverso i
contributi che le sono stati dedicati, anche in questo libro; che resta
tendenzialmente “a suo modo unitario,
[anche, appunto] nella varietà dei temi toccati dagli autori”. E costituisce,
“tuttavia, anche un libro ‘interdisciplinare’ ”[18].
I contributi compresi nel volume,
appunto, si propongono quindi ognuno come “un dono affettuoso da parte degli
autori”, un “omaggio” a Luciana: che rappresenta tuttavia “il ‘filo rosso’ che
[li] unisce e spiega”[19];
che li ha “ispirati”, purtroppo con la sua scomparsa; li ha anche resi “universalizzabili”[20]:
a partire da una loro possibile discendenza “privata”[21],
come ho adombrato, legata a “argomenti di suoi interessi ‘scientifici’ e
‘artistici’, che potevano benissimo richiamarsi se non legarsi”. E anche nel
caso di questo libro, appare, così, “verosimile che tout se tient ”[22].
Il
saggio iniziale - Stefano Berni e Jacopo Berti, Origini, genealogia e antropologia della cultura familistica italiana
-[23],
in breve, individua in sistematiche e quotidiane violazioni di obblighi
giuridici, di portata anche non gravissima, quelli che sono i “vizi” attuali
degli italiani, fomentati dal familismo -
forse si potrebbe parlare anche di esempi di “maleducazione”, ripetuti fino a
diventare abituali -. E si potrebbe affermare che appare proprio questa consuetudine di microcomportamenti
illegali la “vera” infrazione. Ne sono dimostrazioni il mancato rispetto di una
fila - p. es. al check-in -, lo scuotere tovaglie sui passanti, parcheggiare
l’auto in spazi vietati del cortile condominiale, e lavarla con l’acqua
pubblica, guidare senza allacciare la cintura, e rispondendo al telefonino,
ecc. Per gli autori, peraltro, questo arrogarsi (pseudo)diritti non si
manifesta improvvisamente in un vuoto, ma si spiega attraverso (l’esposizione
di) un lungo percorso storico, approfondito alla luce dell’antropologia
culturale: che evidenzia il sostanziale melting
pot, variamente configurato, in
cui è consistita a lungo - e anche attualmente - l’Italia, e motiva questa
sorta, eufemisticamente, di individualismo che ne caratterizza gli abitanti.
Anche lo studio di Valerio Fusi - Il flogisto dei diritti umani. Culture,
pratiche, ideologie, mitologie e wishful thinking -[24]
in qualche modo si occupa di diritti. Se nel saggio ora presentato ci si
sofferma, per dire così, su “diritti” agevolati dal favorire l’infrazione[25],
in quello di Fusi appare non accedersi alla plausibilità di pressoché nessun
tipo di diritto, se non in un senso “ipocrita”:
quando si discute di diritti
umani,
è delle nostre
precondizioni etiche, dei nostri princìpi (léggi, pregiudizi, imperativi)
etici, dei nostri valori che discutiamo, e si sa che l’etica è un conversatore
assai poco amabile e democratico, che non tollera di essere messo in
discussione se non alle sue proprie condizioni.
D’altra
parte, “(d)iscutere di diritti umani senza etica produce (…) uno scandalo
intollerabile. Viceversa introdurre esplicitamente una discriminante etica
rende inutile la discussione”. In ultima analisi, “ogni cultura definisce se
stessa e le sue caratteristiche. (…) Si
tratta ovviamente di una scelta arbitraria (i confini non fanno parte della
realtà -qualunque cosa essa sia - (…) )”.
In conclusione,
(c)ome nel detto di S. Agostino
sul tempo, ognuno di noi è convinto (…) di sapere perfettamente bene che cosa
siano i diritti umani, ma quando tentiamo di sottoporre le nostre convinzioni a
un esame più approfondito, ci rendiamo conto di quanto poco ne sappiamo veramente.
E
se “i diritti umani non possono fondarsi su una legge universale”, allora “(i)l
massimo a cui possiamo ambire è qualcosa di simile alla teoria del flogisto,
una spiegazione convenzionale e irrimediabilmente falsa che ci consenta
tuttavia di camminare sul vuoto finché sia possibile”.
Riguardo
ai contributi di Alberto Conforti e di Cristina Ferrero - rispettivamente Una introduzione alla patologia generale,
e Patologia comportamentale del cane -[26],
mi limito essenzialmente, in questa sede, a riportare, come le ho esposte nella
Premessa[27], alcune
osservazioni che mi sono state provocate da un loro accostamento. Precisamente,
assumo che un avvicinamento di medicina “umana” e medicina veterinaria, e
quindi di animali umani e animali non-umani,
non appaia, oggi, sacrilego a
nessuno (…). Si potrebbe anche dire che non stiamo parlando di due specie diverse, quanto di una sola, se non altro, anzitutto, da un
punto di vista etimologico (…)[28].
Infatti l’attributo ‘umano’ che compone i due termini deriva, in ultima
analisi, da humus, terra: sia come
avente a che fare con ‘terrestre’ come contrapposto a ‘celeste’, sia (qui
soprattutto) in quanto predicabile di ciò che è stato generato dalla terra, e si potrebbe dire, penso, fatto di terra, plasmato con essa[29]. Inoltre,
‘animale’ deriva da ‘anima’, greco (…) anemos,
sanscrito (…) ātman: termini aventi
entrambi lo stesso significato di ‘vento’, ‘soffio vitale’, aggiungo ‘respiro’,
(l’atto di) ‘respirare’. Per cui, gli animali umani - gli uomini - e i
non-umani hanno la stessa origine (terrestre), e la stessa “anima”; se si
volesse intendere quest’ultima (anche) in senso trascendente, o metafisico,
questo significherebbe che in caso di esistenza di un’altra dimensione, vi
approderebbero sia gli esseri umani che le creature comunemente dette animali[30].
Alberto
Conforti specifica sùbito il ruolo e il campo dell’oggetto del suo contributo:
“(l)a patologia generale si propone lo studio dei fenomeni patologici
elementari, cioè delle alterazioni degli stati di equilibrio normali del
vivente”; riaffermando appunto successivamente l’autonomia e indipendenza della
materia rispetto a altre “in cui alcuni pretenderebbero di scinderla”. Avverte
che “qualunque tentativo di semplificare[31]
lo studio della condizione patologica” può rivelarsi come “mistico o
dogmatico”, in modo da non fare comprendere la stessa “essenza (…) patologica”.
Cristina Ferrero - e direi pour cause -
si esprime in modo simile a Conforti quando si occupa degli “stati patologici elementari[32]” a
proposito dello “sviluppo comportamentale del cane”. Questo saggio “parte dalle
prime tracce attendibili della presenza del cane sulla terra”[33],
per approdare alle analisi dei “ ‘padri fondatori’ dello studio del
comportamento, gli etologi Konrad Lorenz e Nicolaas Tinbergen”; e soffermarsi,
infine, sulle terapie cognitive - tese tra l’altro, sostanzialmente,
“modificando il contesto sociale e affettivo”, a diminuire la “frequenza” dei
“comportamenti indesiderati” del cane -, e quelle sistemiche - che “mirano, con
l’utilizzo del farmaco, a indurre modificazioni relazionali che consentiranno
all’animale riequilibrato di percorrere una nuova direzione” -.
Contributi giuridici, e “nati” in
Facoltà/Dipartimenti di Giurisprudenza, sono i due di diritto positivo di Gioia
Buoninconti e Antonello Cincotta - Cuius commoda eius et incommoda. Appunti per una revisione del sistema in
materia ambientale – profili di responsabilità penale -, e di Gianluca
Navone - Amministrazione di sostegno e
consenso ai trattamenti sanitari - nell’ottica del diritto penale il primo,
in quella invece del diritto civile il secondo -; nonché lo studio di Paolo
Passaniti - Tra repressione e tolleranza:
diritto di associazione e dissenso politico tra Otto e Novecento - non di
diritto positivo ma di storia del diritto italiano -[34].
Il lavoro di Buoninconti e Cincotta è teso alla ricerca di nuove prospettive
per la difesa penale dell’ambiente. In esso, tra l’altro, ci si sofferma su
ipotesi di rivisitazione di misure e sanzioni specificamente previste; fino
alla proposta di “ampliare decisamente la ‘categoria dei crimini contro l’umanità con talune ipotesi di crimini ambientali,
(…) inserite quali fattispecie ulteriori di genocidio,
non necessariamente correlate a fenomeni bellici’ ”[35].
Gli autori, nell’orizzonte di un’etica
delle popolazioni, cominciano con l’esaminare le ”tendenze di un mercato
dagli effetti globali sull’ambiente”[36];
inteso, quest’ultimo, quale “insieme di condizioni necessarie e presupposte non
solo - o non tanto - (…) per garantire la qualità
della vita, quanto piuttosto (…) per potersi
vivere [e trasmettersi] la vita”. E “in una sorta di ‘ecosistema
artificiale’ l’attività produttiva (…) dovrà farsi carico dell’intero ciclo e
cioè tanto del prodotto delle
specifiche attività d’azienda, tanto dei mezzi
necessari alla sua produzione e, quanto al manufatto, anche della sua
‘demolizione’ o del suo riciclaggio-utilizzo”.
Anche a proposito del
saggio di Gianluca Navone - come ho fatto nell’accostamento tra gli studi di
Conforti e Ferrero[37] -
riporto soprattutto mie osservazioni suggeritemi dalla sua lettura - forse
anche oltre le intenzioni del saggio stesso -. Navone si occupa della
“protezione della persona maggiore d’età incapace (…) di provvedere a se
stessa”; esaminata “(n)ell’originaria stesura del codice civile italiano del
1942”, e dopo la revisione legislativa del 2004. I punti che più mi hanno
colpito nello scritto di Navone sono tuttavia quelli in cui si affrontano, in
ultima analisi,
alcuni grandi temi bioetici di
estrema attualità; forse riassumibili in quello culminante della “morte
dignitosa”. Questo studio mi ha inevitabilmente richiamato (…) i molti casi
odierni, oggetto di drammatiche controversie
- non solo Welby, Englaro, (…) -; e osservo con dispiacere come
dibattiti tendenti a riconoscere e fare prevalere a livello legislativo e
giudiziario diritti fondamentali in tragiche situazioni personali appaiono
ancora “di avanguardia”, invece che su temi che dovrebbero essere ormai (…)
superati. (Navone, rilevando la persistente divisione tra “la dottrina e la
giurisprudenza”, cita tra l’altro, alla conclusione del suo lavoro, l’articolo
(…) di Francesco Gazzoni Continua la
crociata parametafisica dei giudici-missionari della c. d. “morte dignitosa”.)[38]
Il
saggio di Paolo Passaniti consiste in una “intensa ‘narrazione’ di vicende
italiane”; imperniandosi, tra le varie situazioni prese in considerazione, su
una “doppia verità”: che risiede “da una parte ‘nel diritto di adunanza che
diventa facilmente diritto di riunione, e quindi anche diritto di
associazione’, e dall’altra nella ‘negazione
del diritto di associazione di stampo politico fondato sulla negazione di
un diritto di adunanza applicato alle lotte sindacali’ ”[39].
Mi limito infine, per darne, qui necessariamente, non più che un’idea dei
contenuti, a tratteggiare questo scritto con i titoli dei paragrafi in cui è
distribuito: Dal mutualismo mazziniano al
socialismo; Repressione di polizia e
tolleranza processuale. Due esempi: la Banda del Matese e La Boje![40]; Un mito giuridico italiano: la legge
Le Chapelier[41];
“Verrà l’Ottantanove!”[42]; Dagli scioperi di Genova alla svolta
giolittiana.
Lo
studio di Gabriella Colletti - Dare corpo a occulte visioni. Paul Klee e il problema della
tecnica -[43]
è forse il più “creativo” tra
quelli compresi (…) [nel reading],
nel senso di una espressività quasi poetica, e una relativa autonomia rispetto
al suo stesso oggetto; non privandosi inoltre di una approssimazione a un
dannunzianesimo linguistico non deteriore, che non sarebbe dispiaciuto a
Luciana Fortina[44].
In
esso si osserva, tra l’altro, che Klee - diversamente da Duchamp e dai
Readymade - con una connotazione di questo “atteggiamento artistico” data,
comunque, in ultima analisi, dalla persistenza dell’oggettualità sia pure nella
eterogeneità dei contesti - non “sottovaluta l’aspetto artigianale connaturato
al processo creativo”. In Klee la pittura “rende visibile l’ineffabile,
l’indefinito, ciò che per sua natura sfugge (…). Suo campo è l’universo
invisibile”. Non a caso Gabriella Colletti cita, al termine del suo denso
lavoro - arricchito da una soddisfacente bibliografia - l’(inizio
dell’)epigrafe sulla tomba di Klee:
Nell’aldiqua non mi si può
afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino
del consueto alla creazione ma ancora non abbastanza vicino.
Quella
di Flavio Fusi - Berlino nei Balcani. Una
storia di Rom -[45]
non è solo una “piccola storia[46]”:
ma una tragedia dalla cadenza antica, l’atmosfera di una classicità greca;
“gremita di personaggi disperati, nella desolazione dei paesaggi”[47].
La scenografia è data da “quella terra di nessuno di colline brulle e
avvelenate che sta intorno a Mitrovica: la piccola Berlino del Kosovo,
disputata tra serbi e albanesi”. Protagonista, forse, di questa tragedia -
anche se è difficile, in questo contesto, effettuare una “scelta” - è un
personaggio assente: una ragazzina morta, che si chiamava Gienita Mehemeti, e
si trova “ ‘nel piccolo cimitero di Mitrovica, poche lapidi arrampicate tra
rovi e rifiuti su un costone all’ingresso del paese’; l’unico luogo che i Rom
kosovari possono spartirsi con serbi e albanesi”. Un personaggio che si vede
agire è invece l’americano Paul Polanski, “il responsabile della Kosovo Roma
Refugee Foundation”[48].
Fusi, tra l’altro, ne cita “piccoli libri, poesie, pensieri in forma di brevi
filastrocche”; come:
I Rom nel nostro campo / amano
farsi fotografare. Madri con i figli / uomini con i fratelli. Bambini con altri
bambini / tutti vogliono una foto. Per vedere da soli / che sono ancora vivi.
Chiara
Nencioni - Assaggi filologici: λιμός e λοιμός. Una analisi del rapporto linguistico-concettuale tra i termini
’carestia’ e ‘peste’ nella letteratura greca -[49]
ha compiuto una consistente rassegna sulle ricorrenze di ‘carestia’ e ‘peste’
in testi greci dall’VIII secolo a. C. al XIV d. C., con una “particolare
attenzione alle opere più antiche, fino al II sec. d. C.”.
La vicinanza tra peste e carestia
è assai presente nella letteratura greca, a livello terminologico - per la “forte affinità fonica dovuta alla comune
etimologia” - ma anche semantico -
appartenendo a “quella serie di catastrofi particolarmente temute dagli antichi
(…)”; viste come “mali inviati dagli dei contro gli uomini” per loro colpe: (…)
“in contesti mitici o magico religiosi, tanto pagani quanto ebraici e
cristiani, spesso in associazione ad altre sciagure di tipo bellico o
fisico-meteorologico (…)” (…) -[50].
E’
la peste che sembra seguire la fame, nella letteratura greca come latina; se ne
trovano tentativi di spiegazioni “scientifiche”[51],
come nello scrittore romano Curzio Rufo[52].
Ma si dà anche l’opposto, per cui è la peste a provocare la carestia, come
negli storici Dionigi di Alicarnasso e Giuseppe Flavio: greco il primo;
romano-ebraico il secondo: ma che scrisse le sue opere ugualmente in greco.
Tuttavia “la spiegazione ‘scientifica’ più chiara del perché la carestia sia
spesso conseguenza della peste la troviamo all’interno della letteratura
latina, in Livio”[53].
In Appiano, peraltro, “peste e carestia sono viste l’una come conseguenza
dell’altra, in una sorta di circolo vizioso”[54].
Prima
di concludere, vorrei tornare brevemente su Luciana Fortina; su quella
“universalizzabilità” di sue tematiche “private” a cui ho accennato[55],
e che ha sostanzialmente fatto nascere il presente “florilegio”. Vorrei farlo,
tuttavia, non utilizzando ancora aspetti “culturali”: quanto “personali” di
Luciana; come delle “rifiniture esistenziali”, che sono tuttavia altrettante
“fonti” di questo volume. E mi servirò, per questo, di “spunti espressivi”
tratti dalla Nota biografica[56].
Dunque - “a spizzico”[57]
-: Luciana “(h)a sempre saputo farsi rispettare e ascoltare (…). La sua voglia
di coinvolgere gli allievi la portava spesso ad ampliare i programmi
ministeriali, proseguendoli fino alla contemporaneità, (…) e verso tutte le
forme di arte”. “(S)pesso le sue classi assistevano a varie rappresentazioni
teatrali, soprattutto se era in scena un’opera di Pirandello; autore che (…)
amava moltissimo. Luciana ha infatti partecipato per molti anni ai convegni
pirandelliani ad Agrigento, e tenuto conferenze su questo autore”. “Almeno una
volta all’anno andava a Parigi, che considerava la sua seconda casa; e qui
amava girare per i mercatini sperando di trovare un disco o un ‘filmato’
inedito del suo cantautore preferito: Jacques Brel”. “L’amore per la cultura
l’ha fortemente inserita nella vita reale; l’ha sempre portata a impegnarsi nel
sociale, soprattutto in difesa delle donne; e nella lotta politica: senza mai
perdere quella passione e coerenza che la conduceva a battersi per quella che
lei considerava la vera sinistra”. “La cosa che più di ogni altra mi ha
affascinato di Luciana però è la sua umanità, la sua apertura verso gli altri;
e come persone tra loro diversissime (allievi, colleghi, intellettuali, vicini
di casa, compagni di partito, medici curanti) diventassero poi suoi amici per
sempre”.
Marina di
Grosseto, ottobre 2013
Pubblicato
anche, in una stesura leggermente diversa, nella rivista elettronica “Odissea”
(www.libertariam.blogspot.it)
Ave Gioia
Buoninconti[58]
CUIUS COMMODA
EIUS ET INCOMMODA.
APPUNTI PER UNA
REVISIONE DEL SISTEMA IN MATERIA AMBIENTALE - PROFILI DI RESPONSABILITA’ PENALE
Ho avuto il privilegio di conoscere Luciana Fortina soltanto per
poche ore. Il mio collega, Antonello Cincotta, coautore del contributo agli Scritti in ricordo, invece, non l’ha mai
conosciuta. Tuttavia entrambi siamo stati affascinati non solo dall’idea di
rafforzare la sua memoria attraverso uno scritto, ma anche uniti dalla
fortissima volontà di partecipare alla
lotta “sopravvivenza versus morte”, in un percorso ascendente che dalla
tomba conduce agli ideali. L’evocazione è evidentemente foscoliana.
Il ricordo di chi non c’è più
vorrebbe essere aere perennius,
secondo la nota espressione oraziana[59], sebbene il poeta riconosca solo alla poesia il potere
di conferire l’immortalità. Il mio
collega e io avremmo voluto, allora,
essere dei poeti e non modesti artigiani del diritto per ricordare
Luciana. Abbiamo voluto, però, ugualmente “reificare” in un manufatto il nostro ricordo. Di certo, al di fuori del campo artistico, la
capacità del ricordo di essere espresso
si riduce fortemente: e lo studioso del diritto con la sua arte come può perpetuare una memoria, aldilà del meramente
evocativo? Tantopiù, in una materia come quella del diritto, estremamente
contingente, e legata a filo doppio con il sociale; ancora più, nel caso di un
ambito giuridico settoriale e specialistico. Quindi, perpetuare la memoria con il diritto è estremamente arduo se
non addirittura una vera e propria contraddictio in terminis.
E’ maturata così la
nostra scelta di parlare di ‘ambiente’. Il tema è di
certo cronologicamente trasversale e rappresenta una costante, un perpetuum della storia della vita
dell’uomo. Basta pensare, icasticamente, alla Genesi, o a nuove e antiche forme
di sfruttamento e di offesa alla natura[60];
sebbene la percezione di esso nei termini attuali è
“interamente figlia dell’età postmoderna e della fine della fiducia nella
crescita economica illimitata come panacea dei difetti del mondo”[61]. Secondo il carme foscoliano, “a egregie cose
il forte animo accendono l’urne dei forti”. Così, l’ambiente del quale
si vuol trattare non è solo quello delle risorse - limitate - che condizionano
l’umana “sopravvivenza”: ma è l’ambiente come sinonimo di vita. E’ il complesso
di condizioni favorevoli, tanto biologiche quanto “esistenziali”, per “viversi”
e “trasmettersi” la vita.
‘Ambiente’,
però, può
significare anche morte: è l’ambiente, in sé, ostile,
evocante una sorta di natura-matrigna che è diventata ancora più ostile e
infida per l’impoverimento da sovrasfuttamento delle risorse, o per
l’inquinamento da sovrapproduzione. Si impone perciò la necessità di
conseguirne la “sostenibilità” applicando norme che hanno in comune una
elementare quanto costante regola d’oro. Come affermava Giannini, poiché
l’opera dell’uomo è continua creazione e continua distruzione[62], è assolutamente necessario
riaffermare con forza quel principio di responsabilità risalente, e tuttavia
sempre attuale, del cuius commoda eius et incommoda - che dà il titolo
al nostro contributo -, versione probabilmente interpolata e volgarizzata
rispetto al principio di Paolo L. (10 dig de reg. iur, 50,
17), che, nell’espressione originaria poneva lapidariamente l’accento sulla
conformità all’ordine “naturale” delle cose: secundum naturam est commoda cuiusque sequi quem secuntur incommoda. Questo
principio, applicato al nostro argomento, sta a significare che a ogni attività
dell’uomo, costruttiva e distruttiva - come sopra richiamato - sia egli semplice
cittadino o a capo di una impresa, corrispondono conseguenze delle quali deve
farsi carico; e non certo come sola e mera monetizzazione della responsabilità
(chi inquina paga). L’ottica preventiva e ad ampio respiro, esprime la
necessità di un approccio totalizzante, che deve dunque farsi carico delle
conseguenze dell’agire sull’ambiente; tanto in senso temporale, coinvolgendo le
generazioni future, quanto in senso spaziale, vista appunto la sua portata
globale. Insomma, il senso non può che
essere quello dell’etica ambientale, nuova frontiera del pensiero morale
contemporaneo.
Propositivamente: in considerazione che l’ambiente è senzaltro un bene
di livello costituzionale, ancorpiù all’indomani della modifica del Titolo V
della Costituzione, e segnatamente con l’introduzione dell’art. 117 Cost., II
co., lett. s) - che, esplicitamente e per la prima volta, introduce in
Costituzione il termine “ambiente” -, si rende imprescindibile - proprio
per la collocazione - la sua traduzione in “azione”[63].
“Azione” che auspicabilmente dovrebbe interessare
in primo luogo l’apparato statale. Per il nostro
Paese, che rappresenta un esempio unico al mondo di
ambiente-paesaggio-museo-a-cielo-aperto, la tutela, la valorizzazione e lo
sviluppo di cui al predetto art. 117 Cost., devono di necessità procedere in
maniera assolutamente sincrona e organica. Il
primo passo per la concretizzazione - che ormai dovrebbe rappresentare una consapevolezza
largamente condivisa - sarebbe quello di riunire in un unico dicastero le competenze
degli attuali ministeri dell'Ambiente, dei Beni culturali e delle
Infrastrutture e trasporti, coordinando le rispettive politiche con il
ministero degli Affari regionali, il turismo e lo sport e il ministero dello
Sviluppo economico. Detto “riordino”, oltre a rispondere a una migliore
efficacia ed efficienza dell’azione, potrebbe riservare inoltre dei risvolti
positivi in termini generali di economicità, tanto di contenimento che di
razionalizzazione dei costi della macchina statale.
Dovrà cambiar pelle anche la tutela che l’ambiente
riceve dal diritto penale, emancipandosi dall’impronta essenzialmente
bagatellare-amministrativa di norme strutturate essenzialmente come norme “di
chiusura” a favore di una tutela di extrema
ratio, effettivamente punitiva di condotte offensive dell’ambiente. Di conseguenza la pena dovrebbe tornare a svolgere le funzioni che
dovrebbero esserle proprie: e inoltre, per limitare il vulnus
all’ambiente, potrebbero essere favorite condotte resipiscenti di rimessione in
pristino[64]. Ugualmente, un potente strumento di lotta alla criminalità
potrebbe essere rappresentato dall’istituto della responsabilità amministrativa degli enti da reato
(introdotta dal D.Lvo n. 231/2001), previa revisione dell’attuale nucleo dei
reati-presupposto a favore di un altro
ma con reati di maggiore profilo offensivo - anche se magari meno nutrito.
Ed ecco che noi
così, attraverso un breve scritto di diritto su un tema emblematico, abbiamo inteso contribuire a perpetuare la
memoria di Luciana Fortina; nella struggente, e nel contempo dolce
consapevolezza che “(n)on vive ei forse
anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno, se può destarla con
soavi cure nella mente de’ suoi?”
L’UNIVERSITA’
DI SIENA: UN LIBRO PER LUCIANA[66]
Desidero
anzitutto spiegare la mia presenza a questo incontro. Quando l’iniziativa di
scrivere un libro in memoria di Luciana Fortina ha mosso i suoi primi passi, io
ero presidente del Comitato per la didattica del corso di laurea in
Giurisprudenza presso la sede di Grosseto: in queste aule di via Ginori si
svolgevano le nostre lezioni, e ancora si tengono i nostri esami.
Oggi tale Comitato non esiste più, essendo
ormai stato disattivato quel corso di laurea; e tuttavia la mia partecipazione
è rimasta nel programma di questa giornata: sono qui dunque a rappresentare
l’istituzione Università di Siena cui appartengo. E l’Università è qui oggi
presente per un duplice motivo: un docente senese è il primo curatore del
libro, e docenti dell’università di Siena sono anche due degli autori dei
contributi che lo compongono. In secondo luogo, la pubblicazione del volume è
stata finanziata con fondi di ricerca dell’Università di Siena.
Il mio saluto a tutti voi potrebbe terminare
qui, col compiacermi sinceramente di questo bel progetto: infatti, ho
conosciuto appena Luciana. L’incontro è avvenuto in occasione di una delle
splendide cene organizzate da Giovanna nel giardino della casa di Marina, e
l’impressione è stata quella di una stupenda persona. Di lei, peraltro, ho
sentito parlare molte volte da Gianni: non so se, come fa con tutti noi suoi
amici, anche in quelle circostanze egli ha abbondato nelle lodi di Luciana: gli
amici di Gianni, stando a sentire lui, sono tutti dei grandi ‘scienziati’;
molto belle sono state le parole che egli ha pronunciato sulla figura di
Luciana in Consiglio di Dipartimento in occasione dell’approvazione del
contratto di edizione del libro.
Ebbene quei racconti, quelle parole mi hanno
davvero colpito. Io sono una storica del diritto e dunque ho una frequentazione
più o meno quotidiana con le fonti antiche. Ecco che vorrei condividere con voi
forse nulla più che una suggestione che mi ha suscitato la lettura di una delle
Variae di Cassiodoro Senatore; si
tratta di una epistola (dell’anno 533) che mi è capitato di leggere nei giorni
in cui mi si diceva di Luciana.
Scorrendo la descrizione della regina ostrogota
Amalasunta, l’impressione è stata quella di sentir raccontare di lei. Nulla
più, ripeto, che una suggestione: solo i molti di voi che hanno conosciuto
Luciana senzaltro meglio di quanto io l’abbia conosciuta, potranno dire se la
mia impressione ha un qualche fondamento. Si tratta di Var. 11.1; il linguaggio è quello cancelleresco del VI secolo; la
traduzione è di Lorenzo Viscido:
A ciò si aggiunge, come fosse straordinario
diadema, un’inestimabile conoscenza delle lettere … Ma pur godendo di tanta
perfezione linguistica, ella è così tacita quando agisce pubblicamente da
apparire neghittosa … opera in silenzio per gli interessi della comunità. Non
si sentono annunciare misure da adottarsi apertamente, e con mirabile condotta
lei porta a termine, di nascosto, quel che a suo giudizio dev’essere fatto
senza perdere tempo … se volessimo entrare negli atri della sua pietà, a mala
pena potrebbero bastarci “cento lingue e cento bocche”; uguali sono in lei
giustizia e volontà ... Diciamo dunque piccole cose circa i suoi grandi meriti,
poche cose per quel che riguarda i suoi moltissimi pregi … Che dire, or dunque,
della sua fermezza d’animo, che ha superato quella di celeberrimi filosofi?
Dalla [sua] bocca, vengono fuori parole benefiche e promesse in cui si ha
fiducia.
Questo è
il mio piccolo omaggio a Luciana.
(Ricevuto a Marina di
Grosseto) 30 luglio 2013
Gioi
Franco Pinna[67]
INTRODUZIONE
ALLA FIGURA DI LUCIANA FORTINA[68]
Non
penso vi siano parole sufficienti per Luciana. Non è un modo di dire o una
convenzione (…). Ben consapevole di come lei non avrebbe voluto alcun clamore,
alcuna cerimonia, sento di avere il dovere di usare con assoluta misura le
parole: certo che, almeno di questo, mi sarebbe grata.
Era solita dire [che] c’è troppa
gente che scrive e poca che legge; io aggiungo [che] c’è troppa gente che parla
e troppo poca che ascolta. È un monito severo e insieme [una] testimonianza
principe di un carattere di assoluta riservatezza. Sentimenti tanto profondi,
quanto contenuti nella loro esternazione; spesso celati dietro una maschera di
un’ironia e di un’autoironia, che non di rado spiazzava l’interlocutore;
disegnando di se stessa quella Luciana che lei in quel momento voleva fosse. Lo
spaesamento dell’interlocutore, specie se occasionale, era una inevitabile
quanto ricercata acquisizione di approccio.
Avere la sua amicizia era insieme un
privilegio e una micidiale responsabilità: quella di non dover mai tradire le
sue aspettative, che (…) non erano mai omologanti, o omologabili alla
mediocrità qualunquista dei nostri giorni; al contrario, rispondevano a una
visione netta della verità, che non si nascondeva dietro al terrorismo di tanta
italica borghesia (?), ma si rigenerava nella coerenza di un pensiero, di una
decisione; (≠) la capacità di assumersi il peso delle proprie responsabilità, e
talvolta anche il lusso un po’ bohémien di épater
le bourgeois.
“Hai impegni stasera?” “No, non ne
ho.” “… quasi una tua coetanea. Mi farebbe molto piacere che tu la conoscessi.
Verresti a cena con noi?” Solo qualche decina di giorni dopo, mi accolse, suo
ospite, a Pian del Ballo. Poi[69],
non ci siamo più lasciati.
Carattere certamente spigoloso, si
nutriva di una dimensione storica che le ha permesso di vivere ogni attimo
della sua vita come [fossero] (…) anni (?)[70],
in cui solo uno spirito forte e caparbio come il suo può resistere (?); di
godere e di far godere la sua prorompente vitalità alla famiglia e agli amici;
di cui aveva cura e premura, senza, per questo, mai venir meno al suo spirito
di indipendenza.
Molteplici i suoi interessi. Nel suo
ruolo di docente ha saputo coniugare il rigore di un approccio sempre
filologicamente identificato, con il più complesso ruolo di educatrice schietta
(…); [la cui] capacità di ascolto (…) ha lasciato, della professoressa Fortina,
non solo il ricordo ma la testimonianza del modo di essere che l’allievo
riconosce al suo maestro. Prova ne è la moltitudine di ex-allievi che hanno
popolato negli anni la sua casa, l’hanno seguita nei viaggi e negli interessi.
Ora, fanno parte di quella sorta di famiglia di elezione che continua a
frequentare Rino e gli amici comuni.
Testimonianza della poliedricità di
Luciana è la sua iniziale attenzione al giornalismo; poi sopita proprio da un
conformismo clientelare che finiva per premiare i più docili, i più disposti a
accettare di attaccare il carro dove vuole il padrone (?). È facilmente
intuibile come esso (?) non fosse certamente un ruolo al quale si sarebbe
piegata Luciana; e quindi, con assoluta coerenza, lasciò cadere tutto per
rifugiarsi in quella che - penso - sia stata la sua più intima e coinvolgente
delle passioni culturali a tutto tondo, il teatro.
(In fondo, l’aria che si respira in una scuola, se si hanno particolari
sensibilità percettive, è decisamente favorevole alla dinamica trascinante
della drammatizzazione.)
Complice un “personaggio” molto
noto, e non solo nell’àmbito di Grosseto, che pure proveniva da una precedente
esperienza scolastica - come insegnante prima, come preside poi -, il professor
Mario Sermoni, Luciana si immerge in modo diretto e vivo nel mondo del teatro.
Mario Sermoni aveva sempre coniugato
due interessi profondi (?): la scuola, e l’altra sua vera passione, il teatro;
al quale era tornato, con grande trasporto, dopo essere andato in pensione. Da
attore e regista esperto, aveva formato molti giovani, ottenendo soddisfazioni
in tutta la Toscana; e fu dunque naturale che diventasse il maestro di Luciana;
l’uomo che la guidò nei suoi passi di attrice, e insieme di attenta indagatrice
del mondo del teatro. Prima, (…) parti
amatoriali (?), poi la partecipazione, con la regìa dello stesso Sermoni[71],
a una molto caratterizzata versione di Sei
personaggi in cerca d’autore di [Luigi] Pirandello.
Pirandello: un autore amato,
indagato, studiato, analizzato [da Luciana Fortina] per pressoché tutta la sua
esistenza. Una passione dal drammaturgo siciliano trasmessa proprio nella (?)
poliedricità dei suoi personaggi, e nella (?) capacità di fargli rivestire (?)[72] ruoli
mai in se stessi conclusi; e di aprirli a una visione multiforme, magmatica,
problematica, inquieta; senza verità precostituite.
Luciana mi ha fatto un regalo
bellissimo, venendo a tenere, proprio sul ruolo dell’attore nel teatro di
Pirandello, una conferenza agli studenti del liceo che ho diretto fino a un
anno fa. Un incontro dove è riuscita a tenere insieme l’emozione (?) di un
pubblico di adolescenti e[73]
il fascino, a tratti inquietante, certamente non semplice della (…)
[drammaturgia] (?)[74]
pirandelliana. Ne sono testimonianza gli applausi finali e le numerose domande
a lei poste[75].
Sono state (…) ore[76]
di scuola vera, una scuola che quando
vuole costruire sa bene come farlo, sa bene quali risorse andare a cercare.
Basta che l’insegnante si ricordi di saper osservare e ascoltare, di saper
essere di guida, di entrare in relazione,
di comunicare e di contestualizzare (…).
Luciana e la sua incrollabile fede
negli ideali. Luciana che - parafrasando le parole di [Francesco] Guccini in Don Chisciotte - sapeva bene che il “
‘potere’ è l’immondizia della storia degli umani”; così come sapeva di essere
un romantico rottame: ma non per
questo ha mai smesso di sputare “il cuore in faccia all’ingiustizia, giorno e
notte”[77].
Non si tirava mai indietro: mai
davanti alla malattia; mai davanti alla vita: vissuta sempre con pienezza, con
un’intensità e una vitalità uniche; fino a poche ore prima che il male finisse
con il prendere il sopravvento. Senza mai lamentarsi, senza mai dare un segno
del suo cedere (?) (…)[78].
Grazie, Luciana, grazie della tua
lezione; e grazie (…), Rino[79]:
per il tuo[80]
modo di continuare a vivere cercando di riavere quella piccola, grande famiglia
allargata, di cui mi onoro di far parte; quel calore[81] e
quella sana capacità dissacratoria; e [per] quell’(…) amore per la vita, che
hanno (?) caratterizzato sempre il modo di essere tuo e di Luciana.
[1] Del libro, e di Luciana, hanno
parlato: Stefania Pietrini, Università di Siena; Sara Pagnini, titolare della
casa editrice Pagnini; Gioi Franco Pinna, dirigente scolastico; Gianni
Bernardini, Università di Siena; Gioia Buoninconti, Università di Roma La
Sapienza; Flavio Fusi, giornalista e saggista; Valerio Fusi, saggista e
operatore culturale; Pier Giorgio Londini, direttore U. O. C. Ortopedia e
Traumatologia Grosseto. Ha moderato Laura Luzzetti, docente in istituti
superiori a Grosseto.
Il volume - che fa parte della
Collana di Filosofia e Scienze sociali presso l’editore Pagnini, diretta da
Stefano Berni - è stato pubblicato con fondi di ricerca universitaria del
Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Siena. Il video della
presentazione, realizzato da Leonardo Moggi, regista e art director di
TVedo.tv, è in YouTube. Vi si può accedere
digitando sulla finestra (Google, o altro motore di ricerca): scritti in
ricordo di luciana fortina youtube. (O anche solo: luciana fortina youtube.)
Altro risultato: segg. steps: www.unisi.it → Biblioteche → Sistema
bibliotecario di Ateneo → Sito → Strumenti: SBS, clic → digit.: scritti in
ricordo di luciana fortina, e clic su: Vai → sotto - Link (crea) -, clic su:
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grigio in basso, a ds. inizio prima colonna) → lo spazio dei libri: clic su
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acquisto, ecc.).
[2] G. B. par lui-měme: intervento Il
libro effettuato alla presentazione, e qui rivisto.
[3] Come, sempre a titolo di esempio,
è stato fatto nel 2008, presso la Facoltà (ora Dipartimento) di Giurisprudenza
dell’Università di Siena, per il Prof. Marco Comporti e il Prof. Emerito Remo
Martini; con i volumi appunto, rispettivamente: AA. VV., a cura di Stefano
Pagliantini, Enrico Quadri, Domenico Sinesio, Scritti in onore di Marco Comporti, Giuffrè, Milano 2008; e: AA.
VV., Studi in onore di Remo Martini,
Giuffrè, Milano 2008.
[4] (Un tentativo di) rimozione di
una perdita, piuttosto che una (sorta di inizio di) elaborazione del lutto.
[5] Contra, tra gli altri, Armando Torno, citando Émile Cioran, che “ha
lasciato una frase in L’inconveniente di
essere nati (…): ‘Sui frontoni dei cimiteri si dovrebbe incidere: “Niente è
tragico. Tutto è irreale” ‘. Parole inattuali in un mondo che rimuove
continuamente l’idea della morte e che considera i cimiteri un problema urbanistico, avendo perduto il senso del
sacro”. Armando Torno, L’arte di
passeggiare tra i grandi, “Corriere della Sera”, 20 agosto 2013 (corsivo
mio. L’occhiello è I personaggi famosi raccontano
in un libro i “simboli del ricordo”); recensendo: Valeria Paniccia, Passeggiate nei prati dell’eternità,
Mursia, Milano 2013. Alla conclusione: “(i) morti parlano più dei viventi (…).
Lo fanno indirettamente, con segni e tracce, ma i loro discorsi si attaccano
all’anima. Forse perché nessuno di loro osa contraddire quanto Čechov scrisse
in Biancafronte: ‘La morte non vuole
gli stupidi’ “. (E contra,
foscolianamente, anche Gioia
Buoninconti: se ne veda l’intervento in questa breve raccolta.)
[6] Anche una lettera a “il
manifesto” - a proposito delle “esequie di Erich Priebke”, ma senza (che sia ritenuto,
in quell’intervento, di) entrarne direttamente nel merito - conferma (almeno
crudamente, per un punto di vista che non è il mio) queste mie osservazioni:
“(o)ccorre forse ricordare (…) che gli atomi, aggregati nelle strutture proteiche
che costituiscono il nostro corpo, sono del tutto indistinguibili da quelli
presenti in Natura? Solo la macabra cultura tramandataci da una religione, che
fonda il suo consenso sul terrore della morte e su tutti i simboli a essa
collegati, ci condiziona a conservare cadaveri in putrefazione, nascondendoli
alla vista sotto qualche metro di terra [o dietro a pochi centimetri di marmo e
cemento], o esponendoli nei luoghi di culto”. Marco Bertinatti, “il manifesto”,
16 ottobre 2013 (“le lettere”). (Assumo che quanto riportato sia
schematizzabile nell’espressione: [aspetti, componenti di] tanatofilia utilitaristica della chiesa cattolica. Non
si può escludere che l’orientamento nuovo
[almeno] linguistico, verbale e non, di papa Francesco - fino a questo momento,
in cui sto scrivendo - sia indicativo, tra l’altro, di strumenti che vadano a
incidere - nonostante le esitazioni della chiesa finora - anche su questo
carattere non solo [anti]estetico del cattolicesimo. [Se non altro incentivando,
nel modo più esplicito, appunto le cremazioni.])
[7] Cfr. - in: AA. VV., a cura di
Gianni Bernardini, Alessandra Borghi, Veronica Fanciulli, Giovanna Luzzetti, Scritti in ricordo di Luciana Fortina,
Pagnini, Firenze 2013 (d’ora in avanti,
a meno che vi sia una diversa specificazione, le indicazioni delle pp.
si riferiranno a questo volume) - lo studio di: Stefano Berni, Jacopo Berti, Origini, genealogia e antropologia della
cultura familistica italiana, pp. 29-43, specialm. pp. 33-4 pass.
[8] Pp. 7-23.
[9] Di Alessandra Borghi.
Precisamente: Luciana Fortina. Nota
biografica, pp. 25-8.
[10] P. 121.
[11] P. 111.
[13]
Pp. 9 ss.
[14] P. 12.
[15] P. 13. Cfr.: AA. VV., Saggi in ricordo di Aristide Tanzi,
Giuffrè, Milano 2009. Tra virgolette, Mario Jori nella Presentazione.
[16] Pp. 12-3 - per gli autori di
questi e altri saggi del libro dedicato a Tanzi -.
[17] Come quella del suo ultimo
intervento pubblico: La dimensione
dell’attore nel teatro pirandelliano. Pp. 25-6.
[18] Pp. 9-13.
[19] Ibid.
[20] V. anche note 12 e 13 e riferimenti testuali.
[21] Gli ultimi tre sintagmi tra
virgolette si trovano in questo scritto Le
città del silenzio e il florilegio, non nell’intervento originale.
[22] Pp. 9-13.
Vi
sono, peraltro, antologie, per dire così, dall’impianto del tutto “libero”: in
modo che i saggi che le compongono - a differenza anche del presente volume -
non tendono “premeditatamente” a apparire in nessun modo correlati tra loro;
seguendo le raccolte altri criteri - tuttavia avendo, ovviamente, questi tipi
di readings pieno diritto di
cittadinanza -. E’ il caso - recentemente, per tutti - di: Tiziana Andina
(ed.), Filosofia contemporanea. Uno
sguardo globale, Carocci, Roma 2013. Si tratta della “raccolta di saggi di
giovani brillanti studiosi che hanno già offerto contributi di prestigio
internazionale, ma condannati in Italia alla precarietà o all’emigrazione”.
Mario De Caro, Così si rinnova il
pensiero (l’occhiello è Giovani
filosofi italiani), “Il Sole 24 Ore – Domenica”, 27 gennaio 2013. Una cosa
completamente diversa, quindi - per scomodare, p. es., “classiche” sillogi di
filosofia del diritto -, da: Uberto Scarpelli (ed.), Diritto e analisi del linguaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1976
- dove gli scritti potrebbero anche, a prima vista, apparire eterogenei: ma il
contesto, comunque, li “unifica” -; o da: Riccardo Guastini (ed.), Problemi di teoria del diritto, il
Mulino, Bologna 1980 - campo unificante, ancora (comunque la si chiami) la
filosofia del diritto -. Invece Filosofia
contemporanea è costituita da saggi, appunto, “scelti in libertà” (detto
con non più che una nuance ossimorica),
“dall’esterno” - quindi palesemente senza individuazione e esplicitazione di riferimenti
a possibili motivazioni interne ai testi, né “metodologiche”, tali da spiegarne
la giustapposizione -; studi di filosofia senza complementi di specificazione:
il cui unico “legame” è dato, in ultima analisi, solo dalla precaria situazione
personale degli autori.
[23] V. nota 7.
[24] Pp. 121-37.
[25] “L’espressione ‘favorire
l’infrazione’, molto diffusa a Napoli, che si usa quando qualcuno o molti guidano contromano, vuol dire (…): visto che
la maggioranza guida contromano, tanto vale lasciarli passare altrimenti si
blocca definitivamente il traffico e nessuno passerà più. (…) Lungi dall’essere
un comportamento esclusivamente napoletano, quello di ‘favorire l’infrazione’
si è diffuso in tutto il territorio italiano”. Gabriella Turnaturi, Vergogna. Metamorfosi di un’emozione,
Feltrinelli, Milano 2012, pp. 68 ss.
[26] Pp. 95-8, e 99-110.
[27] V. nota 8.
[28] Il corsivo in questo Le città del silenzio e il florilegio.
[29] Corsivi, come i successivi,
nella Premessa.
[30] “Infine, brevemente, con un
notevole salto di livello, va ricordato come anche in Italia le esistenti
figure di reati di maltrattamenti a animali non sono state depenalizzate, e le
sanzioni, anzi, inasprite (anche se questo, con i numerosi casi, tra gli altri,
di torture e soppressioni sistematiche, ancora legali, di animali, non ha certo
potuto soddisfare le associazioni animaliste e tutti coloro che ne hanno a
cuore la salute)”.
[31] Corsivo nel testo di Conforti.
[32] Cors. in Le città del silenzio.
[33] Citaz. dalla Premessa.
[34] Rispettivam. pp. 45-74, 139-48,
167-83.
[35] Premessa, p. 16. I corsivi sono nel testo di Buoninconti e
Cincotta.
[36] Pp. 48 ss.
[37] V. note 27-30 e riferimenti
testuali.
[38] Pp. 16-7.
[39] Pp. 17-8 (corsivo mio).
[40] Al centro di insurrezioni che si
conclusero in entrambi i casi “con l’assoluzione degli imputati”; dalle
“vicende processuali” notevoli per la “valenza simbolica che hanno avuto nella
nascita del movimento operaio italiano”. Pp. 173 ss.
[41] “(I)ntesa come fondamento
dell’ordine liberale”. Pp. 176-9.
[42] Era questo “il grido
dell’anarchia”. P. 179.
[43] Pp. 75-94.
[44] Premessa, p. 21. V. anche la Nota
biografica.
[45] Pp. 111-20.
[46] “(U)na piccola storia di vittime
dimenticate”.
[47] Premessa, pp. 21 pass.
[48] “Un sessantenne massiccio e
deciso, barba brizzolata e modi spicci, che da anni si muove tra Kosovo, Serbia
e Macedonia, a bordo di un vecchio camper che è casa, ufficio, e laboratorio”.
P. 112. La citaz. successiva è dalla p. 120.
[49] Pp. 149-65.
[50] Premessa, pp. 22-3 (ovviamente i brani riportati sono, come sempre, tra virgolette).
[51] Pp. 161 ss. Le virgolette sono
dell’autrice.
[52] Nella Historia Alexandri Magni.
[53] Pp. 161-4.
[54] P. 165. “(N)arrando le
disastrose condizioni in cui versa
l’esercito di Mitridate nel 73 a. C. (…), lo storico afferma: (…) ‘gli altri [sic] si ammalavano mangiando erba. E i
morti, gettati senza sepoltura gli uni sugli altri, aggiunsero una pestilenza
alla carestia’ ”.
[55] V. supra, nota 20, e riferimento testuale.
[56] V. n. 9.
[57] Si ricordi, di Karl Popper,
questa terminologia appunto usata a proposito della sua “tecnologia a
spizzico”.
[58] Intervento rivisto e corredato di
note.
[59] Hor.
III, 30.
[60] In argomento, in chiave storica,
v.: Luigi Labruna, Note minime sui danni
all’ecosistema nell’esperienza romana (in corso di pubblicazione).
[61] Labruna, Note
minime cit., p. 1 dattiloscritto.
[62] Massimo Severo Giannini, Difesa dell’ambiente e del patrimonio
naturale e culturale, in Riv. trim. dir. pub., 1971, 1122.
[63] La prospettiva è
chiaramente evolutiva: da un’interpretazione estensiva del paesaggio (art 9, II
co., Cost.) che ha consentito di qualificare l’ambiente come “valore
costituzionale” (più ampiamente in termini v.: Marco Betzu, sub
Art. 9 Cost., in: Sergio Bartole - Roberto Bin, Commentario breve
alla Costituzione, Padova, 2008, 76), al riconoscimento di un’ ”azione” corrispondente - tanto in senso
giurisdizionale che in senso amministrativo (in generale sul rapporto tra
riconoscimento del “diritto” e “azione” v.: Filippo Patroni Griffi, Tutela nazionale e tutela ultranazionale
delle situazioni soggettive nei confronti dei pubblici poteri, in
http//www.federalismi.it , 3 e ss.) -;
sempre in questa direzione è di grande rilevanza l’introduzione dell’ambiente
all’interno del Titolo V della Costituzione, Titolo che, oltretutto, per la
prima volta richiama esplicitamente alla dimensione comunitaria. Cosicché, in un contesto nel quale la sovranità è
sempre più erosa dalla sovranazionalità o relativizzata dalla globalizzazione,
si atteggia diversamente ed in maniera del tutto nuova quel risalente binomio
libertà del singolo-autorità dello Stato, binomio che oggi deve confrontarsi
con la realtà di istituzioni multilevel e con un bene sempre più
“comune” come l’ambiente.
[64] L’idea è quella del vigente art.
181, 1-quinquies, del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n.
42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio: “La rimessione in pristino
delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del
trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa,
e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma
1”.
[65] Prof.ssa associata di Storia del diritto
romano e di Diritto penale romano all’Università di Siena. [N. d. C.]
[66] Intervento (senza titolo) effettuato alla
presentazione di Scritti in ricordo di
Luciana Fortina, Università di Siena a Grosseto, 5 luglio 2013. [N. d. C.]
[67] Dirigente scolastico Liceo
Linguistico Chini di Lido di Camaiore
(fino al 2012). [N. d. C.; come le successive in cui, per non appesantire, non
appare più questa specificazione.]
[68] Contributo trascritto
direttamente dal video della comunicazione orale effettuata alla presentazione
del libro, senza correzioni dell’autore. Sono qui segnalati: dubbi: (?); inserimenti (effettuati
anche in passi non chiari): [ ]; lacune (non solo di una, ma anche più
parole di seguito): (…); (presunti) “salti”:
(≠). Tuttavia, è ugualmente possibile che la presente trascrizione non
corrisponda con assoluta precisione all’intervento svolto.
Ovviamente, la punteggiatura e
gli ‘a capo’ sono stati desunti dalla stessa esposizione orale. Sono state
inoltre tolte le ‘d’ eufoniche; e rese alcune parole in corsivo; come altre
sono state inserite tra parentesi (che sono sempre un “segno” di
punteggiatura); e tra virgolette. Nelle note si trovano, poi, altre
integrazioni e chiarimenti. Da avvertire, infine, che alcune “ricostruzioni” del
testo (interpolazioni, omissioni, cambiamenti, ecc.) non sempre sono state segnalate.
[69] Nel discorso: “(e) poi”.
[70] La relazione, qui, è stata così
ricomposta perché scorresse in qualche modo: ma il testo orale è probabilmente
piuttosto diverso.
[71] Testo: “con la regia di Mario
Sermoni”.
[72] Testo: “(u)na passione che il
drammaturgo siciliano ritrasmetteva (?) proprio nella (?) poliedricità dei suoi
personaggi, e nella (?) capacità di fare rivestire (?) loro ruoli mai in se
stessi conclusi”.
[73] Testo: “con”.
[74] Il termine è stato escogitato
appositamente per questa trascrizione: apparendo la pronuncia di quello orale,
pure nella sua incomprensibilità, assai diversa.
[75] Il testo orale dell’intervento
ha (almeno) una costruzione leggermente diversa.
[76] Oralmente, con ogni probabilità:
“tre ore”.
[77] Il riferimento di Gioi Pinna,
come si sarà riconosciuto, è al pezzo di: Francesco Guccini, Don Chisciotte, dal disco Stagioni, 2000. In altra versione si
trova, tuttavia: “anche se siamo soltanto / due romantici rottami [questa parte è cantata insieme dallo stesso Don
Chisciotte (Guccini) e da Sancho Panza (interpretato da Juan Carlos Biondini)]
/ sputeremo ancora in faccia /
all’ingiustizia giorno e notte” (l’avverbio in corsivo, qui, per evidenziarne
appunto, la sostituzione di “il cuore”).
[78] Nel testo orale, forse: “senza
mai dare un segno del suo cedere; non certo per il dolore”. (Ma anche questa
ipotesi non appare soddisfacente.)
[79] Testo: “a Rino”; e anziché “per
il” - come qui riportato -: “al suo modo” (qui, appunto: “per il tuo”; v. nota
seg.).
[80] Testo: “suo”; ma si è apportata
questa modifica per renderlo in qualche
modo sintatticamente coerente con quanto segue.
[81] L’esposizione orale, a
differenza di questa trascrizione, non sembra fare avvertire interpunzioni.
La filosofia salverà il Mondo?
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Gli aforismi di Laura Margherita Volante
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Il poeta-filosofo itinerante Aldo Monticelli
e la sua 'folle' idea di salvare il Mondo
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*
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*
I conti non quadrano e i politici
fanno quadrato intorno ai privilegi
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*
ma spesso si trasforma in tempesta.
*
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col vantaggio che non lascia peli
fra i denti.
*
Plusvalore
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vale più di una da cane;
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*
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*
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*
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*
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*
Caldi colori dell'autunno
Milano - Parco delle Basiliche
Molte teste sono piene di bagarozzi.
Non governo dalle larghe intese,
ma dalle storie tese…
Quando si tira troppo la corda,
le vite si spezzano.
A volte accade che un passato non ci appartenga
da persone libere, ma marchiato a fuoco da un periodo
di schiavitù.
*