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IL LATO ESTREMO


LA BIBLIOTECA FANTASTICA DI ADAMO CALABRESE
Con questo omaggio a Kafka, Adamo Calabrese proporrà ai lettori di “Odissea”,
in questa Rubrica, una serie di copertine ideali di grandi libri. 
Un viaggio personale verso la costruzione di una vera e propria Biblioteca Fantastica.



                            

 


DOSSETTI ERA DI SINISTRA?
                         di Giovanni Bianchi

Giuseppe Dossetti

Quella specie di laburismo
Passo per un cattolico quasi ufficiale, eppure mi riconosco uomo di dubbi ostinati. Passo anche per dossettiano, e quindi il primo dubbio politico riguarda il monaco di Monte Sole. Dubbio presto risolto: Dossetti è di sinistra, ancorché laburista. Talché venne subito paragonato a Aneurin Bevan, ministro della Sanità nel governo Attlee, che nel dopoguerra britannico successe a quello conservatore di Winston Churchill, che pure aveva vinto la guerra.
Fa parte cioè Dossetti di quella specie di laburismo cristiano del quale si è occupato Vincenzo Saba in un libro documentatissimo. Un laburismo cristiano che nell'Italia postbellica e democristiana prima si compone di un quartetto nel quale si ritrova lo stesso De Gasperi, presidente del Consiglio. E in seguito, dopo la lettera dello statista trentino a papa Pacelli per metterlo in guardia dai rischi che Dossetti – troppo di sinistra – faceva correre al mondo cattolico, al Paese e alla Dc, si ridusse a un terzetto comprendente lo stesso Dossetti, Giulio Pastore e il professore dell'Università Cattolica Mario Romani.
Dossetti dunque era di sinistra e per questo pensava che lo Stato dovesse promuovere la società civile in maniera tale da assicurare ai cittadini un welfare sufficiente. Oggi le cose sono evolute e sembrano aver cancellato le speranze della sinistra politica e sociale, lasciando sul trono il pensiero unico. Molti tra i miei amici che hanno l'abitudine di pensare e autorevoli leaders del mio partito ripetono da tempo che non c'è più né destra né sinistra, e che una politica che vuole essere vincente deve tenere gran conto della nuova circostanza. Pare anche a me che le cose stiano così, anche se non metto in dubbio l'essere a sinistra di Dossetti e se mi chiedo se la scomparsa di destra e sinistra non abbia lasciato tutto il campo alla nova destra.
Intanto tutti sono costretti ad ammettere che le disuguaglianze sociali sono cresciute a livello globale con ritmi esponenziali. Anche se i poveri di oggi non sono i poveri di ieri e la linea più preoccupante è quella che divide ma anche unisce povertà e lavoro. Gli working poors cioè ci sono anche da noi, e sono tanti. Mettici i giovani disoccupati, i precari e gli esodati.

Giuseppe Dossetti

I poveri
Una situazione preoccupante. Ma è pur vero: i poveri di oggi sono tanti ma non sono i poveri di ieri. Il capitalismo trionfante e globalizzato ha sottratto più di un miliardo di persone alla fame e alla vecchia povertà, anche se rende sempre più indecente e insopportabile la distanza tra i nuovi ricchi e i nuovi poveri.
Ci si è messo in mezzo – dopo i preti da sbarco come don Ciotti e don Colmegna – anche papa Francesco, che tuona contro la "globalizzazione dell'indifferenza". Risponde il "Wall Street Journal" che si è installato a Roma (e non in Vaticano) un papa socialista, rinverdendo le critiche già comminate a papa Paolo VI quando pubblicò la "Populorum Progressio".
La cosa mi produce qualche disagio e problema perché non sono pochi nel mio partito (PD) a proclamare da tempo che anche per loro non si può più parlare di destra e di sinistra. A parte il dubbio naïf che mi interroga circa la possibilità che così si esprimano perché vedono che sul campo è rimasta solo la destra, devo ammettere che anche mi turbano le esternazioni di Warren Buffet, uno degli investitori più facoltosi negli Usa e nel mondo, quando dice papale papale che secondo lui la lotta di classe c'è ancora e la sua classe la sta vincendo alla grande. È così originale questo Warren Buffet da scrivere in pubblico a Obama di aumentargli le tasse perché lo disturba vedere la sua segretaria pagare in misura maggiore della sua.
Leggo anche con sospetta puntualità ogni domenica gli editoriali di Guido Rossi sul "Sole 24 ore" e sono convinto che Guido Rossi non sia il nonno Niki Vendola.  Anche lui ce l'ha con le disuguaglianze in crescita esponenziale, con i guasti che esse producono nei corpi degli uomini e perfino nelle istituzioni messe a presidio del globo dall'Onu a Bretton Woods nell'immediato secondo dopoguerra.
Sono stato quindi costretto a fare a mia volta il punto della situazione. In questo modo: hanno ragione i miei autorevoli leaders, pensatori e amici di partito: destra e sinistra non ci sono più (quelle del richiamo dell'antica foresta), ma proprio per questo mi viene da pensare che ci sia un grande bisogno della sinistra. Nuova. Rinnovata. Ma sinistra. Anzi, se la parola pare antiquata e dà fastidio propongo di chiamarla "motociclismo", purché si sia d'accordo sui contenuti della proposta necessaria.
Lo dico con tutta l'ingenuità possibile. Lasciamoci alle spalle i massimalisti. Alle spalle l'idea che il capitalismo possa essere abbattuto approfittando dalla prossima catastrofe. Ma diciamo che – riconosciuti alcuni meriti e conquiste del sistema – questo capitalismo ha bisogno di controlli politici e di correzioni importanti. Almeno per limitare le disuguaglianze insopportabili e creare lavoro e posti di lavoro. E per evitare che un'insensata avidità senza regole lo conduca al suicidio per avere massacrato clienti, utenti e consumatori. Bieca socialdemocrazia e laburismo annacquato alla Tony Blair forse ci attendono, ma salviamo questo capitalismo correggendolo (abbondantemente).



Un conto è riconoscere che ha vinto. Altro conto smettere di criticarlo. Diciamo pure che a mio avviso la nuova sinistra necessaria – il "motociclismo" – ricomincia dalla ripresa dell'istanza critica. E pazienza se non c'è critica senza Marx e i Francofortesi. Dovremo anche dolorosamente rinunciare a Brunetta e Sacconi. Ma è un prezzo sopportabile.
Possiamo tuttavia rassicurarci constatando come il filosofo di Treviri sia citato (a lungo e forse provocatoriamente) da Böckenförde, il giurista di riferimento di Ratzinger, papa emerito. L'unico modo peraltro per evitare il verificarsi della profezia del "Manifesto" del 1848: Tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria.



                                      

PAROLE, SENSO E WEB
In questo scritto di Sergio Azzolari, alcuni spunti sui paradossi del linguaggio
e sui limiti di Internet come luogo di nuova democrazia



 Affronterò l'argomento (mastodontico), prendendolo, come si dice, alla lontana. Sono sempre stato affascinato dalle parole e dal loro senso. In particolare da quella che a me piace chiamare la tautologia del dizionario o, più semplicemente, la sua circolarità. Il punto di partenza è banale (e nemmeno originale) ed è questo: la definizione di una parola, di un concetto, di un termine, richiede l'uso di parole che rimandano ad altre parole e così via. Insomma chi volesse capire "veramente" il senso di una parola con un dizionario, si ritroverebbe a fare lunghi percorsi, ma non infiniti, che lo riporterebbero, prima o poi, al punto di partenza passando anche più volte da nodi già toccati in precedenza. Percorsi complessi, soprattutto se si utilizzano più dizionari, dato che la stessa definizione non è mai del tutto identica. Ciascuno si sforza, o pretende di essere, il più chiaro, completo (e a volte conciso) possibile. Insomma è incontestabile che il linguaggio sia solo approssimativo e credo che questo sia il fondamento del perché esistano infinite filosofie, infinite disquisizioni e del perché, banalmente, il diritto e la giurisprudenza debbano ogni volta essere interpretate (soprattutto nelle sfumature, circostanze, attenuanti etc.) e ci siano sentenze diverse su casi simili. Ciò non dipende, come sostiene qualcuno, dal fatto che i giudici siano prevenuti. Sono le parole e le definizioni ad esserlo.
Da un punto di vista opposto, si usa l'espressione: "fatta la legge trovato l'inganno" perché è impossibile racchiudere le parole circoscrivendole in modo blindato e auto-consistente.
Il termine appropriato è ambiguità. Le parole sono come immagini allo specchio: paradossalmente utili ma inafferrabili nella sostanza e che deformano la realtà rovesciando destra e sinistra e prolungando la percezione all'infinito se mettiamo uno specchio di fronte all'altro esattamente come un dizionario contrapposto ad un altro. Anche ciò che sto scrivendo, ovviamente, è soggetto all'ambiguità e alla interpretazione di chi legge; a ciò che le parole evocano, al vissuto personale e alle credenze che ciascuno nel corso della vita ha assorbito. E qui sta il vero paradosso del linguaggio: si crede di comunicare qualche cosa che, a ben guardare, non appoggia che sul nulla, se non a se stesso, che resta sospeso.
Ogni "discorso" in realtà è un'eco; apparentemente si allontana dall'emittente, ma ritorna sostanzialmente e inevitabilmente alla sorgente.
Godel ha "dimostrato" che la matematica per essere consistente (cioè senza antinomie, ovvero contraddizioni) deve essere incompleta, nel senso che non può dimostrare (spiegare) tutto, e che ci sono delle "verità" che sono indimostrabili. I fatti giudiziari sono la prova lampante della effettiva esistenza di verità indimostrabili che i "furbi" e li "scaltri" perseguono. Ci sono i fatti, a volte evidenti, ma non sono dimostrabili. Ci si può arrivare alla "verità" solo per speculazione, ma questa è appunto fatta attraverso percorsi opinabili come i percorsi per risalire al significato nei dizionari. Mentre in matematica esistono degli assiomi (che non sono altro che verità non dimostrabili, ipse dixit, così è!), nel linguaggio non esistono assiomi, punti fermi, anche arbitrari, da cui partire. Il linguaggio è una bolla di sapone  e altrettanto fragile.
Ovviamente tutto ciò va a nozze con le varie teologie religiose e le "spiega". Eppure il mondo funziona. Si scrivono libri, giornali, si fanno discorsi, proclami, si scrivono encicliche, manuali, si ascoltano i telegiornali, si ordina un caffè al bar, si scrivono cose su Internet, come questa.
Ovvero, il mondo funziona sì, ma attraverso antinomie, incompletezze, paradossi e infinite interpretazioni senza solide fondamenta. In realtà nessuna.


Davanti a questo scenario ci stanno i due percorsi fondamentali  che ciascuno (su basi imponderabili che spaziano dalla psicanalisi alla casualità) ha deciso di intraprendere  più o meno tacitamente e, forse, inconsapevolmente: la via del nichilismo e la via della religiosità. Queste strade, ovviamente, date le premesse, non sono rette, ma si intersecano e soprattutto via via si biforcano, come i sentieri di Borges. Ma il punto di partenza è unico.
La strada del nichilismo nelle sue varianti è quella che si dirama nel solipsismo, nell'edonismo, nel banditismo, nel capitalismo fine a se stesso (come ormai è) che diventa schiavismo. Niente ha valore in sé; non c'è una fine, uno scopo, tutto è riconducibile a "cose" strettamente pragmatiche, individuali, dell'oggi, anzi, del "qui e ora". È in ultima analisi la filosofia del "Chi se ne frega". Le contraddizioni non sono un problema.
La strada religiosa, oggi sempre più stretta, è quella che si appoggia su qualche straccio di ipotesi di valore. Religiosa perché basata su un nucleo di fede (qualsiasi esso sia), assiomatico, non dimostrabile come sono tutte le religioni, le scienze e le idee politiche. È un nucleo debole che a fatica resiste ai colpi del nichilismo imperante. E a volte è lo stesso nichilismo che astutamente si traveste da credo religioso, da ipotesi scientifica o da ideologia politica o economica.
Se poi il nucleo originale della religiosità, intesa nel senso sopra detto, si solidifica ne fanatismo o ideologia, cioè presunzione di credere che i propri valori siano fondati e fondanti, cioè "veri" e quindi "unici", diventando così impermeabili al dubbio, i disastri dell'integralismo, delle dittature e dei razzismi sono certi. Questo inasprimento e intolleranza conduce anche alla diaspora di molti "deboli" o "confusi", soprattutto giovani, verso il  nichilismo.
Compito di ogni "lettore" dovrebbe essere quello di saper decifrare ciò a cui le parole usate e ascoltate rimandano. A ciò che sottacciono e nascondono più o meno volutamente. Lo sforzo è quello di   ricondurle al nucleo che vorrebbero fondare e significare insomma al non detto che contengono ma al quale sono correlate. Impresa non facile, dato che il linguaggio prevalente  attuale, soprattutto quello di Internet, si fonda su messaggi e slogan ultra-sintetici che vorrebbero dire tutto, essere auto-esplicativi, ma che per loro natura alimentano la deflagrazione semantica e, inevitabilmente, l'incomprensione e l'intolleranza.
Chi ritiene che Internet sia il luogo della nuova democrazia e il luogo in cui si possa sviluppare un "discorso serio" o è inconsapevole o è bugiardo.
Sergio Azzolari


                                                

DIBATTITI

Candìde non è mai stato di destra né di sinistra, ma solo autenticamente liberale.



Premesso questo, dovendo rivolgermi anche a quanti si professano di destra, vorrei invitare costoro a riflettere che un vero liberale dovrebbe impegnarsi politicamente per una destra liberale, antifascista, democratica, illuminista, laica. E questo è da sempre l'impegno di Candìde, al costo ovvio e già sopportato di inimicarmi masse di “relidioti” cattocomunismi o cattofascisti, che purtroppo affollano il nostro Paese asservito alla terrorizzante e criminale setta fondamentalista della Chiesa cattolica e del criminale e inammissibile, sotto il profilo del diritto internazionale, stato dittatoriale e cattolico-fascista del Vaticano. 

Noi in Italia non sappiamo ancora, tra l'altro, che cosa significhi essere di “destra”, perché la c.d. Destra ha sbagliato tutti i suoi uomini negli ultimi 80 anni per la fregola del potere, tra manganelli e corruzione. Non credo nemmeno più nel concetto di “destra” o “sinistra”. Oggi la sinistra, come stiamo vedendo anche in questi giorni, è più a destra della DC di 30 anni fa. 

Le mie battaglie culturali per svegliare i torpidi credenti e gli addormentati non sono per un pensiero di destra o di sinistra, ma per una società democratica che elimini i privilegi e le ingiustizie sociali, mentre i partiti, che avrebbero dovuto rappresentare la cittadinanza e i propri elettori, hanno solo legalizzato l’illegalità, tra personalismi esasperati e monopolizzazione dell’informazione, che per un vero liberale sono del tutto inaccettabili. 

Quando la Destra smetterà di portarsi appresso incrostazioni mussoliniane, miliardari populisti, furbi del quartierino, riciclati e pregiudicati, allora anche noi in Italia potremo avere quell'alternanza che ci permetterà un bipolarismo perfetto con trasferte di voti al migliore, come avviene in G.B. e negli USA. 

Oggi siamo ancora fermi a Peppone e Don Camillo: allora meglio fare battaglie giuste che partono dalla gente e le sue esigenze di informazione e cultura piuttosto che rendersi servi di partiti che fanno ancora saluti col pugno o con la mano tesa, per poi tenderla per prendere danaro pubblico a scopi personali o della casta. 

Per quanto riguarda le convinzioni religiose di Candìde, egli non si stancherà mai di avvertire che i credenti in “Dio”, quello delle tre religioni monoteistiche di questo pianeta, sono latenti criminali, potenziali assassini pronti a compiere crimini e a uccidere nel nome del proprio dio, come da sempre è accaduto nella storia. 

Un giorno avremo la prova inconfutabile e iperscientifica - visto che non basta il buon senso - che “Dio” e altri personaggi mitici e inventati dalle religioni non esistono, come già ora sappiamo che non esistono Apollo, Zeus, Minerva e gli altri dei dell’Olimpo. Per il Vaticano sarà un'atomica in piazza San Pietro e tutta la congrega della marmaglia IOR, arricchita con i soldi dei contribuenti relidioti italiani, sarà fottuta... 

Intanto loro, i criminali della cricca mafiosa vaticana sanno tutto... perché codesti farabutti sono proprio loro a non crederci, essendo più istruiti della media delle popolazione italiana. E cercheranno di difendere il malloppo IOR persino saltando sul carro della scienza stessa – chissà che cosa ancora inventeranno oltre a Gesù Cristo - che li ha già screditati con dati inconfutabili, a partire da Copernico, Giordano Bruno, Galileo, anzi da Ipazia, il cui nome di valorosa scienziata, seviziata a morte dai cristiani, le donne credenti che affollano l’Italia purtroppo non ricordano o fanno finta di non ricordare.
Candido Franco, per Centro Culturale Candide

https://t.co/UEvMc6Z6cZ Grandissimo discorso di Aldo Busi




Le “nuove regole” della laicità nelle scuole francesi.
                  Prospettive e problematiche
                        di Gianni Bernardini (Università di Siena)


0. All’inizio di settembre 2013 e dell’anno scolastico, il ministro francese dell’educazione, Vincent Peillon, ha fatto affiggere in tutte le scuole pubbliche del paese un manifesto (nel senso sia tipografico, sia di scritto programmatico), la Charte de la laïcité à l’école, contenente - detto ora schematicamente - indicazioni tendenti anzitutto a definire i limiti della/e religione/i nell’àmbito scolastico.
            Lo scopo di questo mio articolo vuole essere, prevalentemente, quello di fare un punto su un fatto, e provocare eventualmente un dibattito; piuttosto che trarre conclusioni. Mi propongo, quindi, un intervento soprattutto descrittivo. L’avvenimento oggetto dell’articolo, è appunto la decisione di Peillon di distribuire la Charte nelle scuole, e contestualmente il documento stesso. Più in particolare, vorrei soffermarmi, tra l’altro, sui seguenti punti problematici che emergono nella Charte: a) il paradossale vulnus allo stesso laicismo (nel nome di una “religione repubblicana”); b) un attacco “mirato” all’islamismo; c) una prosecuzione (sia pure) parziale della rivoluzione francese, o meglio un suo “completamento”  (con riferimento, anche, alla opportunità/necessità di una “religione repubblicana” - di cui sub a) -).
            Da parte mia, mi limito, ora, a osservare che la Charte può avere tuttavia una sua precisa funzione e riaffiorante utilità; nel proporsi almeno come promemoria “minimo” per obiettivi, se non altro, in gran parte condivisibili, e come una metodologia per il loro raggiungimento; pure essendo composta con una scrittura di una semplicità che si potrebbe definire, (forse troppo) facilmente, quasi disarmante, nella quale sono formulati princìpi che appaiono tuttaltro che inediti; al punto di sembrare anche, in una parola, come introiettati nei lettori (che li approvino, oppure li avversino). Ci si riferisce, specificamente, a target forse “attualmente” trascurati, o ritenuti rifiniture quasi superflue; solo optional rispetto a elementi strutturali di una società; mentre hanno, invece, anche essi una rilevanza culturale tale da plasmare e caratterizzare basilarmente un contesto.

1. C’è almeno un’ “aria di famiglia” (per non più che mimare Ludwig Wittgenstein) tra alcuni termini come: laicismo, laicità, laico, e altri simili. Etimologicamente, sono tutti riconducibili, come è noto, al greco λαικός, laikόs: popolare; a sua volta, da λαός, laόs: popolo. Laico, anzitutto, è quindi chi appartiene al popolo, e come tale non si caratterizza per l’appartenenza a altri ordini, rilevantemente a quello ecclesiale; non fa parte del “personale” della chiesa: in particolare, chi ne riveste un impiego, ne riceve una funzione, o “autorizzazione” a compiere atti di tipo religioso positivo, e/o ne manifesta una “militanza” organizzata e accesa.
 ‘Laicismo’, prima facie, indica un’ideologia che (come tale) “predica” l’indipendenza della politica, della cultura, della amministrazione pubblica dall’autorità ecclesiastica. Intendo invece il termine laicità come la condizione, lo stato di chi aderisce al laicismo; quanto a ‘laico’, questa è la situazione di chi non solo “professa” il laicismo come ideologia, ma ne attua inoltre, o tende a farlo, i princìpi a livello, filosoficamente, pratico. In altre parole applica, per dire così, o tende a farlo, alla comunità in cui vive e agisce la laicità; in modo che ‘laico’ è attribuibile a un soggetto umano, come a uno stato (nel senso, qui, di quello che altri intendono per ‘stato’ con l’iniziale maiuscola); e si possono dare enunciati come “Tizio è laico”, “la Francia è uno stato laico”: ai quali convengono - dopo un controllo (qui, di tipo) empirico - i predicati “vero”, “falso”.

2. Anzitutto, cosa può intendersi - per quanto possibile, esaurientemente - con ‘laicismo’? La concettualizzazione più omnicomprensiva - e come tale, più “scandalosa” e originale - è forse quella di Nicola Abbagnano. Questo filosofo, infatti, innova, e estende a un grado notevolmente elevato il significato del termine - in certo senso lo “universalizza”: come lui stesso si esprime -; e nello stesso tempo non vi comprende necessariamente la religione. Con ‘laicismo’, Abbagnano intende

il principio dell’autonomia delle attività umane, cioè l’esigenza che tali attività si svolgano secondo regole proprie, che non siano a esse imposte dall’esterno, per fini o interessi diversi da quelli cui esse si ispirano. Questo principio è universale [corsivo mio] e può essere legittimamente invocato in nome di qualsiasi attività umana legittima: intendendosi per attività “legittima” ogni attività che non ostacoli, distrugga o renda impossibile le altre.

Abbagnano tuttavia prolunga questa definizione con una specificazione che riguarda la chiesa: - altro elemento innovativo (dopo il fatto di avere, fin qui, potuto prescindere, in una definizione, appunto, già compiuta, dalla religione positiva) - per comprendervi non solo l’esigenza della libertà dello stato dalla chiesa, ma anche di quest’ultima da altre istanze tendenti a prevaricarla. Più precisamente, ‘laicismo’, e il principio che vi si ricollega, appunto

non può essere inteso solo come la rivendicazione dell’autonomia dello Stato difronte alla Chiesa  o per meglio dire al clero; giacché [sic] è servito anche (…) alla difesa dell’attività religiosa contro quella politica e (…) serve (…) [inoltre allo scopo] di sottrarre la scienza o in generale la sfera  del sapere alle influenze estranee e deformanti delle ideologie politiche, dei pregiudizi di classe o di razza (…) [aggiungo peraltro: dalla volontà della stessa chiesa. Valga, per tutti, il caso di Galileo].

Possono peraltro ammettersi due accezioni del termine. In un senso “debole” - che è quello dello stesso Abbagnano -, ‘laicismo’, quindi, indica anzitutto “un atteggiamento critico e antidogmatico, che (…) si ispira ai valori del pluralismo, della libertà e della tolleranza e quindi al principio dell’autonomia reciproca tra tutte le attività umane” (precisamente individuato, appunto, da Abbagnano). Tra i filosofi che ammettono questo “senso debole” del termine, la letteratura (si veda in fondo all’articolo la lista delle fonti qui utilizzate) elenca: Guido Calogero - per cui il laicismo si identifica “con il metodo di coesistenza di tutte le filosofie e teorie possibili” -; Norberto Bobbio - consequenziale alla accezione di Calogero: il termine “non rappresenta una nuova cultura, ma la condizione di sopravvivenza di tutte le culture” -; Alessandro Passerin d’Entreves - concezione dello stato laico, cioè “un tipo di ordinamento che (…) ritiene che (…) [si] debba praticare una rigorosa neutralità in materia di ideologia e di fede” -; Karl Popper - requisiti appena indicati, finalizzati, come è noto, a garantire l’esistenza della società aperta -.
            In un senso “forte” ‘laicismo’ “indica la dottrina di coloro che non si limitano a una generica adesione ai valori dello spirito critico e della tolleranza (…), ma ragionano indipendentemente [corsivo mio] dall’ipotesi di Dio (etsi Deus non daretur) e da ogni credo religioso”. In rappresentanza di chi ha questa accezione del termine, Uberto Scarpelli: ma mi sembra anche Vincent Peillon - come si vedrà -.
            Tra altre fonti, merita forse di essere ricordata una “chicca”, il Dizionario di politica curato da Antonio Basso, apparso “a ridosso” della Liberazione; soprattutto per alcune “postille” che mi sembra comunque utile riportare qui, appunto in una sorta di riepilogo essenziale di quanto scritto finora, e per un aspetto “precorritore” di realtà attuali, che si riaggancia, con naturale facilità, alla Charte di Peillon. Mi riferisco sostanzialmente alla puntualizzazione che “(l)a laicità dello Stato è stata affermata dal liberalismo del secolo scorso [corsivo mio. Il “secolo scorso”, inoltre è qui, ovviamente l’‘800] in  contrapposto al carattere confessionale degli antichi regimi e delle monarchie restaurate”. Si nega, quindi, la plausibilità di “una religione di Stato”, nella direzione del “riconoscimento e la tutela della libertà religiosa. Correlativamente si designa come scuola laica la scuola in cui non viene impartito lo specifico insegnamento di una religione positiva”.

3. A livello più propriamente politologico si può effettuare, a proposito dei modi di riferirsi a ‘laicismo’, una distinzione tra cultura laica e stato laico. La prima è “tributaria delle filosofie (…) che rifiutano la verità rivelata, assoluta e definitiva”, in nome di una “libera ricerca delle verità relative [corsivo mio], attraverso l’esame critico e la discussione”. In questo senso, il laicismo “non è tanto un’ideologia quanto un metodo [corsivo mio. V. sopra, - nel paragrafo 0 - la Charte (anche) come metodologia]”: come tale “inteso allo smascheramento di tutte le ideologie”; quindi - aggiungo - naturalmente anche quelle religiose. Il sintagma stato laico, che è ritenuto “(d)i più stretta attinenza al linguaggio politico”, indica invece “il contrario dello Stato confessionale”, cioè quello che “assume come propria una determinata religione e ne privilegia i fedeli rispetto ai credenti in altre religioni e ai non credenti”.
A questa seconda nozione si riferiscono opinioni e prassi come quelle già viste, come - per ogni varietà di tematiche in questa “Weltanschauung” - l’autonomia delle istituzioni pubbliche e sociali da quelle confessionali e la separazione tra stato e chiesa.
Il punto di congiunzione di laicismo e liberalismo consiste precisamente in un insieme comune di radici razionalistiche. Per Guido De Ruggiero (Storia del liberalismo europeo, 1925) questo significa che la razionalità dello stato liberale risiede “nella capacità di imporsi dei limiti e di impedire che il dominio della pura  ragione si converta nell’opposto dominio del dogma”. D’altra parte, un avversario del laicismo come Giovanni Gentile (Genesi e struttura della società, 1946) definiva “una favola”, dovuta all’agnosticismo, “lo spirito laico o Stato laico”; e riteneva che lo stato stesso comprendesse anche la religione e dovesse occuparsi della sua diffusione nella gente: come, in ultima analisi, una religione di stato. Mentre la critica laica, naturalmente, continuava a opporre a questa visione la libertà di giudicare anche sfavorevolmente le religioni: tra l’altro, perché quanto può apparire come un’eresia nel periodo attuale potrebbe essere l’ortodossia di un futuro.
            La situazione italiana fa riferimento a una costituzione che, in tema di religione,  dovrebbe risentire almeno di una eredità formale cavouriana, in un  periodo in cui poteva già prefigurarsi uno stato laico, con la famosa formula “libera Chiesa in libero Stato” - in realtà, originariamente non di Cavour ma, tra l’altro, risalente (almeno) al politico e scrittore francese Charles de Montalembert, che si era “innamorato” del motto latino “ecclesia libera in patria libera” (e morì nel 1870: nove anni dopo la pronuncia di Cavour del celebre “claim” in occasione del suo primo intervento al parlamento dopo la proclamazione del regno d’Italia) -. Comunque si dimostra, se necessario, che dopo la metà del XIX secolo c’era ancora chi riteneva che al papa dovesse ascriversi solo il potere spirituale, e non anche, come in un lontano passato, quello temporale. (O i due ordini comporne uno solo, o meglio, ridursi a uno; sia che il potere fosse detenuto dal papa, sia dal re - imperatore, principe -.)
            Peraltro la chiesa sarebbe pervenuta, riguardo ai rapporti con lo stato, a un esito giuridico, una “conciliazione” - quella attualmente vigente -, solo tramite i Patti Lateranensi, nel 1929. La Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 appare così affetta da una sorta di schizofrenia. Lo stato che ne risulta, infatti, è contemporaneamente, da una parte, laico - irrilevanza giuridica delle convinzioni religiose dei singoli; indipendenza e sovranità dello stato e della (sola) chiesa cattolica, ciascun ente nel proprio ordine (“famigerato” art. 7); riconoscimento della pluralità religiosa, con uguale libertà delle varie confessioni (curiosamente: non uguaglianza difronte alla legge) -; e dall’altra parte, presenta (almeno) componenti confessionali; dovute principalmente alla stessa regolazione dei rapporti con la chiesa, disciplinata appunto dai Patti Lateranensi: con la conseguente mancata soluzione di punti nodali nella relazione tra i due “ordini”; in particolare per quanto attiene all’ordinamento (della famiglia, come) della scuola.

4. La Charte de la laïcité appare, quantitativamente, sovrapporsi in piccola parte, ma per i temi toccati in modo essenziale, alla Costituzione francese. A oggi, mi riferisco a quella vigente dal 1958, voluta da De Gaulle; dalla quale si può risalire direttamente, per i contenuti - prescindendo, ora, dalle costituzioni ottocentesche -, alla Prima Costituzione del 1791: a sua volta intimamente tributaria della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, precedente di due anni; nella quale, tra gli altri, si stabilivano i seguenti diritti umani: l’uguaglianza; la conservazione dei “diritti naturali” (libertà della persona, sua sicurezza, resistenza all’oppressione, proprietà); inoltre, il principio di sovranità della “nazione”; e il diritto a non essere ostacolati per le opinioni, anche religiose.
            Così, la Charte (ri)afferma, tra l’altro, che (l)a France est une République (…) laïque (art. 1); inoltre, la séparation des religions et de l’État (art. 2); che la laïcité garantit la liberté de conscienze à tous, e (c)hacun est libre de croire ou ne pas croire (art. 3); (l)a laïcité de l’École offre aux élèves les conditions pour (…) exercer leur libre arbitre (…), e les protège de tout prosélitisme et de tout pression (art. 6), assicurando la liberté d’expression (art. 8); implica altresì le rejet (…) de toutes les discriminazions (art. 9). D’altra parte, (l)es personnels (delle scuole; evidentemente, anzitutto gli insegnanti) ont un devoir de stricte neutralité: ils ne doivent pas manifester leurs convinctions politiques ou religieuses dans l’exercise de leurs fonctions (art. 11). Infine: (l)es enseignements sont laïques (art. 12); (d)ans les établissements scolaires publics, les règles de vie des différents espaces, précisées dans le règlement intérieur, sont respectueuses de la laicité. Le port de signes ou tenues par lesquels les élèves manifestent ostensibilment une appartenance religieuse est interdit (art. 14). Ho riportato per intero questo penultimo articolo della Charte perché è quello - detto rozzamente - che toglie il crocifisso dalle aule francesi,  e nello stesso tempo può “colpire” i musulmani. Anche le aule infatti - personalizzando per brevità - sont respectueuses de la laïcité. Non può quindi figurarvi un simbolo cristiano come appunto il crocifisso; ma rileva qui anche, tra l‘altro, il divieto del velo per le ragazze islamiche: ugualmente un’ostentazione della loro religione, se non altro di appartenenza (ne è allo stesso tempo tenue e signe. Questo consente un richiamo a b) nel paragrafo 0; e inoltre una  rievocazione - ancora sintomatica di stati d’animo contrastanti nel paese - di quello che fu anche definito, in Francia, un trauma nazionale: mi riferisco, come si sarà capito, all’ormai “classico” - parlando di diritti - affaire du foulard).

5. Vincent Peillon è anche definito (in: ilfoglio.it: v. fonti in fondo), con due ossimori, “gran sacerdote della religione laica della République, apostolo della fede secolare che vuole soppiantare qualsiasi ‘influenza religiosa d’altro tipo’ “. Se ne ricorda altresì l’attività nel partito socialista dal 1992; e un suo libro in cui “scrive che la laicità è ‘la religione di tutte le religioni, di tutte le confessioni, la religione universale’ “. Questa citazione proviene manifestamente da una fonte avversa “in partenza” a Peillon; la quale non può che concludersi con l’“augurio” (termine mio tra virgolette): “Dio salvi la Francia”.
Ma Peillon “si rivela” anche in una chiarificatrice intervista: nel suo blog Miscellanea, Gloria Origgi lo introduce premettendo che la laicità, secondo il ministro “non è per niente tolleranza, ‘laissez-faire’, ma è un insieme di valori che fanno la coesione della società”. Già questa presentazione mi sembra possa fare inserire Peillon tra coloro che “professano” un laicismo in senso forte - come intanto anticipato nel parag. 2 -.
Come “prepara”, Peillon, la sua Charte più di sei di mesi prima dell’uscita (l’intervista è stata effettuata alla fine di febbraio 2013)? Ecco, rapsodicamente, alcuni punti salienti dell’intervista; anzitutto, una risposta sulla “laicità alla francese”, e su cosa “lega così profondamente la laicità all’idea di repubblica”. La risposta del ministro “è prima di tutto storica”, e si riallaccia alla rivoluzione del 1789: la quale, peraltro “fallì, e di lì a poco assistiamo al ritorno dell’impero e della monarchia”. Successivamente, ci si chiese “perché in Francia non si riesca a instaurare in modo stabile una repubblica”; con la risposta che, dopo la rivoluzione dell’’89, “dal punto di vista spirituale la Francia era ancora sotto la dominazione della chiesa cattolica, essenzialmente monarchica e conservatrice”. In altri termini, la rivoluzione aveva lasciato “il potere spirituale nelle mani dei preti”. E “essendo il cattolicesimo la religione che corrisponde a uno stato monarchico o imperiale”, si rendeva necessario costruire “una ‘religione per la repubblica’ “. Inoltre (ancora Peillon laico in senso forte):

(i)l percorso storico della laicità francese dovrebbe rendere chiaro che la laicità in Francia non è solo neutralità [corsivo mio]: è molto di più. Non è per niente la tolleranza [ancora corsivo mio; a caratterizzare ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, Peillon “in senso forte”]. E’ un corpus di valori che bisogna insegnare ai cittadini: libertà, uguaglianza, fraternità, rispetto degli altri, (…) uguaglianza tra uomini e donne (…). Insomma la laicità è una teoria con dei valori che si affermano e non solo una posizione neutrale rispetto ai valori [corsivo mio].

Peillon ripete che “la laicità non è neutra, non considera che tutti i valori siano sullo stesso piano. (…) Insomma, essere laico non significa essere neutrale: significa prendere posizione”.
Con un salto niente affatto insignificante - ma anzi maggiormente nevralgico nelle problematiche  e drammaticità della attuale crisi internazionale, e che meriterebbe di essere affrontato in una sua autonomia - che approda a un orientamento pacifista, il ministro aggiunge poi che: “non è la laicità che ha provocato le guerre: sono le religioni. La laicità è di per sé profondamente pacifica”. All’osservazione, poi, dell’intervistatrice che “la laicità è ancorata a una visione forte di ‘ragione’ “, al punto che “rischia di scontrarsi con una richiesta di relativismo culturale che le società aperte di oggi dovrebbero sapere accogliere”, Peillon replica ricordando che “(i)l dibattito sul relativismo è tornato di moda, ma in realtà se ne discuteva già trent’anni fa. Il mio maestro, Merleau-Ponty, diceva che esistono razionalisti che sono un pericolo per la ragione”.
Evidenzia, inoltre, Peillon che “molti pensano che un’istituzione come la scuola non ha il diritto di insegnare la morale”; affermando [invece] che “il cuore della democrazia è proprio avere distinto il diritto dalla morale”; mentre è precisamente

l’ignoranza sulla distinzione tra diritto e morale [che] fa sì che la gente faccia fatica a comprendere le motivazioni stesse delle proprie azioni: spesso non sa se agisce per rispetto delle regole, per paura delle sanzioni, o perché sente un obbligo morale a fare quello che ritiene giusto.

Quella dei rapporti tra diritto e morale è, come si sa, una risalente, vexata quaestio; che si è tentato di risolvere in vari modi. Oggi, se non sbaglio, prevale l’opinione per cui non è sufficiente il senso di rispetto delle norme, e neanche il timore delle sanzioni, a fare agire un soggetto in modo conforme o non-conforme - attivamente e omissivamente -; e sembra ritenersi, in breve, che la sola intenzione della osservanza dell’ordinamento giuridico, per prevenirne le sanzioni, non basta a fare evitare illeciti: e per questo, piuttosto, occorre che il diritto “si sovrapponga” a una morale positiva e diffusa in un contesto spazio-temporale dato, perché il destinatario delle norme giuridiche le osservi invece di violarle. Ma questo è un altro discorso, complesso, sempre attuale, che non posso, qui, nemmeno impostare.
            L’intervistatrice appare quasi porre, a sua volta, una sorta di “domanda-norma di chiusura”: con un richiamo, a questo punto prevedibile, a Kant. Che Peillon accoglie: “(l)a morale repubblicana è una morale kantiana [corsivi miei], basata sull’imperativo categorico”.
            Ma in conclusione il ministro francese fa un’importante precisazione:

la teoria di Merleau-Ponty mostrava che il pensiero è sempre incarnato e che, d’altra parte, il corpo non è un pezzo di materia (…). Il corpo è animato, è corpo pensante… io non separo il materiale dallo spirituale. Ho ritrovato la stessa inseparabilità tra socialismo e religione. (…) Jaurès riteneva che il socialismo dovesse essere una nuova religione. (…) [Una] religione socialista.

Ora, come si è visto, nemici dichiarati, tout court, del laicismo, à la Gentile (parag. 3), “proponevano” una “confusione” tra stato e chiesa. D’altra parte, a prima vista quasi corrispondente alla combinazione, che Peillon riprende da Maurice Merleau-Ponty e da Jean Jaurès, di socialismo e religione: che sarebbero inseparabili. Il socialismo sarebbe dovuto essere, anzi, la nuova religione; e questa sarebbe stata, appunto, socialista. Lo schema progettuale sembra avvicinarsi, in astratto, a quello di Gentile; A, B, enti separati, vengono “necessariamente” uniti: A è B - e viceversa -; assumendo che per Gentile, A rappresenti lo stato, e B la religione. Gentile ironizzava sullo stato laico, e invece ascriveva allo stato anche la religione, e la propaganda di questa nel popolo (concentrazione in un unico “polo” di stato e chiesa; cattolicesimo religione di stato). Scelta - come quella che presiede a questo atto - che, come ogni altra, è relativa; i risultati sono divergenti in base a contesti e sistemi di valori diversi. Lo stato, naturalmente, potrebbe benissimo non “identificarsi” con una religione (positiva); ovvero, con una che non sia il cattolicesimo. Con un atto, comunque, di “forza”, di “pura autorità”, una “irrazionalità” - direbbe il filosofo Giuseppe Rensi (p. cui v. fonti) - si crea qualcosa, oltretutto, di artificiale,  niente affatto “necessitato” - tra due “dati” (almeno) inizialmente distinguibili e ampiamente noti entrambi - se non altro per la loro storia -.
Per Peillon, e i suoi “maestri”, A può simboleggiare invece il socialismo, e B la religione per i laici. In questo caso, secondo una prima lettura della vicenda, potrebbe essere la religione, semmai, a essere attribuita al socialismo; anche se non, a quanto appare, una religione esistente, ma appunto “nuova”: una religione socialista. I due termini sembrano ancora meno distinguibili di A e B - intesi come, rispettivamente, stato e religione (chiesa) - anche dopo la loro unione “forzata” (almeno i tratti dei due ordinamenti, per la loro, comunque perdurante diversità anche operativa a vari livelli, continuano a essere intravedibili anche in un ordinamento “composito”).
D’altra parte, non si tratterebbe, in realtà, nel laicismo del conferimento di una religione al socialismo: per la ragione che il socialismo sarebbe già anche una religione; si è parlato appunto di socialismo come religione. (Comunque, anche se si trattasse, secondo una improbabile interpretazione, di una nuova religione inserita nel socialismo, piuttosto che, secondo l’interpretazione che risulta invece attendibile, di vedere il socialismo di per sé anche come una religione, mi sembra che il topic resti, almeno teleologicamente, essenzialmente lo stesso.) Ma anche “scoprire” nel socialismo una qualità religiosa, quasi come un fenomeno naturale “innato”, mi sembra ugualmente poco opportuno: se non altro, per una economia concettuale (di “rasoio di Ockham”…). Il socialismo - ora, per comodità, - senza specificazioni, invece con una sua personificazione - sa benissimo come agire “da solo”: anche adottare autonomamente - all’occorrenza, utilitaristicamente - metodi (para)confessionali.
Resta il fatto che, mentre conosciamo le varie declinazioni e anche attuazioni di ‘socialismo’ (storiche e attuali), proprio per la sua novità non sappiamo (ancora) niente di una religione socialista (o di un socialismo anche come religione): che è proiettata “necessariamente” nel futuro (o forse meglio, in un “futuribile”); senza che se ne scorgano fattezze o metodi: una religione - in un modo o nell’altro -, al presente, “astratta”; e tutta da scoprire. Qui la confusione sembra impedirci anche ipotesi scientifiche; quello che ne risulta è una sorta di cambiale in bianco - anche se, per la verità, alcune credenziali, assumo, almeno per chi è dalla parte del socialismo, appaiono buone -; e la religione socialista non può che essere simboleggiata insieme da AB: ma meglio che visti in stretta congiunzione, piuttosto come in una sovrimpressione, o un monogramma. (E quale differenza, eventualmente, tra i sintagmi religione socialista e socialismo religioso? Interrogativo non retorico; al quale, tuttavia, non posso rispondere: in questa sede; e perché, forse, di rilevanza non eccezionale.)
Si potrebbe, a questo punto, osservare che se cambiano i contenuti - sopra rappresentati sempre con A e B, sia negli avversari del laicismo che nei sostenitori -, sembra non cambiare rilevantemente il modo di unire o vedere giù uniti in uno i due termini (stato e religione per gli avversari, socialismo e religione per i sostenitori). Mi sembra tuttavia che queste interpretazioni di contenuti e loro combinazioni, interne al laicismo, e corrispondentemente al confessionalismo (e in ultima analisi dalla, almeno, apparenza prevalentemente terminologica), non possano, comunque, più che scomodare l’iniziativa di Peillon e la sua base teorico-filosofica. E anche, dal punto di vista laico, concepire una religione socialista, ovvero una religione compresente con gli altri aspetti e elementi del socialismo come ideologia e prassi, ab origine, almeno in Jaurès e in Peillon - socialismo come religione -, non dà alla intera questione un’importanza fondamentale. Quello che, invece, merita di essere evidenziato è il fatto che la religione socialista appare pressoché coincidere con la religione repubblicana (di cui già nel parag. 0).
            Una critica di maggiore rilievo all’operazione di Peillon può essere rappresentata, invece, dalla sorta di rifiuto di quest’ultimo del relativismo: come appare anche solo dall’osservazione dell’intervistatrice a questo riguardo; schematicamente: visione forte di ‘ragione’ → laicità vs (richiesta di) relativismo (culturale; attuali società aperte). Peillon sembra limitarsi a dire che il relativismo, o meglio, il dibattito su esso, è solo ”tornato di moda”: mentre se ne discuteva già decenni fa. Peraltro si può aggiungere, in conclusione, che contro il relativismo (con tutto quello che questo termine può, qui, significare) si erano messi, più recentemente, tra gli altri, i papi Woitiła e Ratzinger - che ha parlato di dittatura del relativismo culturale -; mentre, sempre nella chiesa cattolica, papa Francesco apparirebbe, in seguito, averlo rivalutato; tra critiche di vario tenore (come quella di Giuliano Ferrara: relativismo come adulterio con il mondo; chiesa cattolica sposa infedele). E’ questo atteggiamento di Peillon - che peraltro andrebbe spiegato meglio -, che potrebbe casomai costituire, invece, una “rima di frattura” nella sua attività.

6. Dopo la notizia della diffusione della Charte nelle scuole francesi, il politologo Claudio Radaelli osserva anzitutto (in: notizie.radicali.it) che di essa si “sono accorti, in Italia, solo due giornali, ‘Il Foglio’ e ‘La Voce Repubblicana’, che ne hanno dato una lettura diversa [comprensibilmente!]. In Francia invece la questione ha fatto discutere giornali e famiglie”. Per la verità, dell’iniziativa si era accorto almeno, immediatamente, anche avantionline.it (in realtà, come si vedrà, non sono poche le “fonti tempestive” sull’avvenimento), con una intervista alla responsabile nazionale scuola del partito socialista italiano Maria Squarcione: che, sottolinea che “il concetto di laicità (…) è sulla libertà di coscienza e conoscenza, di credenza e critica”; e parla “di un gesto che rientra nella tradizione della laicità ‘alla francese’ che (…) è integralista [corsivo mio]. (…) La finalità della laicità è di impedire il dogmatismo e il fondamentalismo”. Per comodità, assumo ora solo che ‘integralismo’ (in questo caso integralismo statale) indichi una tendenza (qui, allora, da parte dello stato) a applicare monopolisticamente, in modo rigoroso e rigido una dottrina.
            Vorrei (limitarmi a) fare ora un elenco, anche rapsodicamente, dei riferimenti in “letteratura” riguardo agli argomenti che ho preannunciato in a), b) e c) nel paragrafo 0. Posso anche, a questo punto, parlare unitamente delle tematiche sub a) e c): a proposito della lesione al laicismo che la Charte comporterebbe, anche nel nome di una “religione repubblicana”: precisamente quella della rivoluzione francese; per cui, inoltre, si potrebbe parlare di rivoluzione incompiuta. Quanto a b), si tratta, come si ricorderà, della, se non altro, disapprovazione dell’islamismo almeno in sue componenti e atteggiamenti.
            Comincio quindi a soffermarmi sui punti a) e c) insieme. Per lo storico Giovanni Belardelli (corriere.it/opinioni/), si conferma appunto che l’iniziativa di Peillon andrebbe

letta alla luce del più generale progetto politico-pedagogico del ministro, quello di dare vita a una vera e propria “religione repubblicana”. Secondo Peillon si tratterebbe nientemeno che di completare la Rivoluzione francese: se questa aveva dovuto arrestarsi alle trasformazioni politiche e sociali, ora la nuova scuola laica dovrebbe finalmente realizzare una profonda trasformazione morale e spirituale.

La filosofia di Peillon appare peraltro “poco laica e poco liberale”. Sulla questione del laicismo francese secondo Belardelli, tornerò a proposito delle proibizioni “mirate” all’islamismo. Per quanto riguarda una dimostrazione delle “istanze rivoluzionarie” (termine e virgolette miei) di Peillon, lo storico ne cita anche il libro La Révolution française n’est pas terminée. Secondo quest’ultimo, tuttavia “(l)a laicità del ministro francese è (…) fondata su un principio di esclusione, giustificato dall’idea che la religione sia incompatibile con la libertà umana [corsivi miei]: ‘(n)on si potrà mai costruire un Paese libero con la religione cattolica’ “.
Il progetto di Peillon appare, poi, illiberale a Belardelli perché

animato da un’idea troppo vasta dei poteri dello Stato, certamente invasiva della libertà di individui e famiglie. Secondo il ministro, infatti, la scuola “deve strappare il bambino da tutti i suoi legami prerepubblicani per insegnargli a diventare un cittadino”. E’ un’idea che si afferma soprattutto dalla Rivoluzione francese.

Qui si colloca una importante critica negativa dello storico delle dottrine politiche: nel rilievo che questa idea “è stata anche ripresa dalle dittature di massa del Novecento, animate da una analoga concezione pedagogico-autoritaria dei compiti dello Stato”. Si potrebbe forse discutere su questa “analogia”, che Belardelli propone qui senza (probabilmente) opportune precisazioni. L’autore prosegue esemplificando, per queste sue asserzioni, con lo stato fascista: a cui, come - significativamente - preannunciato, Giovanni Gentile peraltro “assegnava la funzione di ‘educatore e promotore di vita spirituale’ “; sempre da quanto abbiamo visto, in modo, forse, non sufficientemente diverso, appunto, dal ruolo del socialismo con la sua “religione”, che Peillon riprende da Jaurès. Per la verità, l’autore ultimamente citato, in conclusione ritiene

ovvio che l’idea di cittadinanza di Peillon è diversa da quella di Gentile e che diversi sono gli strumenti cui intende fare ricorso. Ma che ci sia dietro, anche nel caso del ministro socialista, un rischio autoritario pare innegabile.

Un richiamo ulteriore alla rivoluzione francese come “ispiratrice” di Peillon è visibile, infine, in avantionline.it - intervista (si veda poco sopra) alla responsabile scuola del psi - : dove si recupera la “taccia” di integralismo rivolta alla Charte e al contesto culturale in cui nasce. Si precisa appunto, in quella conversazione, che

(l)e affermazioni del ministro fanno riferimento a una sorta di conclusione della rivoluzione francese. Trasportano nel 2013 certe forme di integralismo parecchio anacronistiche. Si pensa [viene notato anche qui] a un ruolo dello Stato come educatore, e una carta [sic] pensata così è radicalmente inopportuna. È la democrazia di natura integralista, ma coerente con la tradizione francese.

Passo ora - nel paragrafo successivo - a una lista di alcune critiche e atteggiamenti negativi nei confronti della Charte per quanto in essa si opporrebbe all’islamismo.

7. A proposito della Charte vista come, in breve, ostile all’islamismo, sempre, à la Popper (solo terminologicamente), “a spizzico”, si può segnalare, tra le fonti già viste, notizie.radicali.it e l’articolo di Radaelli. Il quale registra che  c‘è “(c)hi ha detto [a proposito della Charte] che si tratta solo di un sotterfugio anti-Islam, una specie di provocazione islamofobica”. Inoltre, si è polemizzato sulle “mamme con il velo” che accompagnano “gli scolari nelle uscite fuori dalla scuola”. Sembra tuttavia a Radaelli che, in questo caso, la Charte non “faccia differenza.” C’è già, infatti, una circolare ministeriale del 2012 che “obbliga a una ‘stretta neutralità’ per chiunque partecipi alle uscite scolastiche (…). Insomma, la Carta non ha una funzione microregolatrice, serve per dare una visione della scuola” in generale.
            D’altra parte

le solenni Carte sono intrinsecamente retoriche: (…) proclamano. Ma le “cose” accadono solo se dalla retorica si passa ai fatti [corsivo mio]. Ecco allora che mettere la Carta in ogni scuola diventa un segnale importante: sta ora alle comunità, ai genitori, ai prèsidi e agli alunni decidere se e come farla funzionare. (…) Tutto sommato, quanti sono gli episodi che negli ultimi anni sarebbero stati affrontati meglio se ci fosse stata la Carta?

Infine, questo autore si interroga sull’aspetto, per dire così, stilistico retorico della Charte. La sua risposta è che

(r)etorica o no, il valore simbolico di enunciare princìpi dentro tutte le scuole ci pare vada sottolineato. Altrimenti dovremmo pensare che anche il crocifisso nelle scuole non fa alcuna differenza! E invece la fa (…). Insomma, non è proprio automatico e scontato parlare di valori laici in Europa, e meno che mai metterli al di sopra di quelli religiosi [corsivo mio]. (…) (S)ono proprio questi valori laici della scuola secolare e della Repubblica che consentono (…) pluralismo, integrazione e eguaglianza.

Anche su lettera43.it ci si occupa dell’islamismo in relazione alla Charte: rilevando che l’obiettivo di quest’ultima, quello “di trasmettere (…) il valore positivo della laicità, (…) in Francia, dopo le polemiche sul velo, ha assunto una connotazione ostile alle minoranze”; e dato che

le “tavole della laicità” vietano l’esibizione di simboli religiosi, fanno riferimento alla parità tra uomo e donna, e (…) affermano come ogni argomento, dogmi religiosi compresi, possa essere soggetto alla “discussione razionale” e scientifica nelle aule di scuola (…), (l)’iniziativa ha già scatenato le rimostranze del Consiglio per il culto musulmano. Ma il governo socialista marcia dritto per la sua strada e si appresta a introdurre il divieto di portare il velo anche all’università.

8. Mi sembra opportuno, a questo punto, in relazione al divieto del velo, rievocare, quasi parenteticamente, quel trauma nazionale francese (a cui ho accennato nel parag. 4), ancora evidentemente non superato, che fu l’affaire du foulard. Mi servo, al riguardo, di: presente/passato.it/Quali diritti; che a sua volta si rifà a un libro: Seyla Benhabib, Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, 2008 (ediz. origin. 2006).
Si tratta essenzialmente del “conflitto che si aprì in Francia tra lo Stato con il suo rigoroso laicismo e alcune studentesse liceali che indossavano il foulard come segno di identità e che portò al varo di una legge che proibisce l’ostentazione di simboli religiosi” (si riveda ancora il parag. 4, sulla Charte che recepisce quella normativa).
            La vicenda ha, essenzialmente, questa scansione: 1) l’affaire “ebbe inizio in Francia nel 1989 con un lungo dibattito pubblico seguìto all’espulsione dalla scuola di Creil (Oise) di tre ragazze musulmane che indossavano il velo”: Fatima, Leila e Samira. (Benhabib specifica in una nota le problematiche terminologico-definitorie e simboliche sulla “pratica del velo”: che “tra le donne musulmane è una istituzione complessa che si declina in una molteplicità di modi nei diversi paesi musulmani”.) 2) Nel 1996 “vi fu l’espulsione di massa di ventitré ragazze musulmane dalle rispettive scuole in seguito a una decisione del Consiglio di Stato”. 3) Tornando al 1989, sembra che le tre ragazze - nonostante “un accordo raggiunto tra la direzione della scuola e i loro genitori, in base al quale sarebbero dovute andare a scuola a capo scoperto” -  peraltro, “avessero deciso di tornare a indossare il velo su consiglio (…) [del] capo di una organizzazione chiamata Integrité e ex-presidente della Federazione nazionale dei musulmani in Francia (Fnmf)”. Questo fu ritenuto sintomatico del fatto che per le ragazze “la decisione di indossare il velo aveva (…) un significato di appartenenza politica, cioè era un atto complesso di identificazione e sfida”. 4) Sempre nel 1989 “il ministro dell’Istruzione francese [sic, invece che “dell’educazione”; qui anche con l’iniz. maiuscola], Lionel Jospin, portò la questione davanti al  Consiglio di Stato”; il quale - 5) - concluse che

il fatto che a scuola gli studenti indossino simboli attraverso i quali pensano di manifestare la propria adesione a una religione non è di per sé incompatibile con il principio della laicità (…); ma tale libertà non consente agli studenti di esibire segni di appartenenza religiosa che per la loro natura, date le circostanze in cui sono indossati (…), oppure per il loro carattere di ostentazione o di rivendicazione, possano rappresentare un atto di pressione, provocazione, proselitismo o propaganda.

Tuttavia, “invece di delineare alcune linee guida chiare, il Consiglio lasciò l’interpretazione (…) del significato dell’adozione di questi simboli alla discrezionalità delle autorità scolastiche”. 6) Nel 1994, l’allora ministro dell’educazione, “(d)eplorando le ambiguità della decisione del Consiglio, che dava un’immagine di ‘debolezza’ nei confronti dei movimenti islamici, (…) dichiarò che gli studenti avevano il diritto di indossare simboli religiosi discreti, ma che il velo non era tra questi [corsivi miei]”.
            L’autrice, d’altra parte, conclude non volendo “sottovalutare (…) il malcontento e il forte rancore xenofobo nei confronti della popolazione islamica francese”. Va, peraltro, evidenziato che

(l)a mobilitazione di molti partiti di destra in tutta Europa si sta intensificando: in Francia, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Danimarca, in Germania, Austria e altrove la condizione degli immigrati (…) e particolarmente dei musulmani, resta una questione molto accesa. È però chiaro che tutte le lotte future per i diritti dei musulmani e di altri immigrati si svolgeranno all’interno della cornice creata dai principi universalistici e dall’impegno europeo a favore dei diritti umani da una parte, e dalle esigenze di autodeterminazione democratica dall’altra.

9.  La Charte, inoltre,

è stata contestata apertamente dal Consiglio francese per il culto musulmano, che ha lamentato diversi riferimenti all’Islam. Dalla reiterazione del divieto di esibire simboli religiosi, in vigore dal 2004, all’allusione della parità tra i generi [sic!]. “Il 90% dei musulmani avranno l’impressione  di essere presi di mira, anche se nel 90% dei casi non pongono problemi” ha commentato il presidente del Cfcm, Dalil Boubakeur. [Sempre da lettera43.it.]

Ancora: “l’idea di Peillon assume un sapore particolare nel momento in cui la Francia è alle prese con l’aborrito ‘comunitarianismo’, soprattutto musulmano (Alberto Mattioli in lastampa.it - v. estremi in fondo all’articolo -). In ilmanifesto.it (estremi in fondo) ci si sofferma nuovamente su Boubekaeur, che

pure dichiarandosi laico convinto [sic], vede però in questa Carta “uno sguardo obliquo sull’Islam”, per il richiamo alla legge del 2004, comunemente battezzata “legge sul velo” e il riferimento all’eguaglianza tra i sessi, vissuto come una critica implicita ai musulmani. Ma Peillon risponde: la laicità “unisce”, “libera” e “protegge”, e che la questione della laicità “non significa per nulla ossessione dell’Islam”.

Mi limito a osservare che i musulmani, della differenza sessuale, e di gender sembra che proprio non possano fare a meno: ritenendo un peccato il contrario. Del resto, questo che appare anche come una sessuofobia dei musulmani, è un argomento cruciale e dibattuto, quanto risalente: e non posso, qui, che riproporlo. Infine, sempre la responsabile scuola del psi, Squarcione, alla osservazione che il “prossimo passo” che il governo francese compirà, sarà l’introduzione del divieto di mettere il velo anche all’università, replica che se questo verrà effettuato, si tratterà “di fondamentalismo puro”. Cioè, mi sembra, del tipo di quello che si vorrebbe combattere.
Del resto, si può dire che il fondamentalismo nasce, se non sbaglio, nella religione cristiana - contro modernismo e razionalismo -; e lo stesso termine-concetto nel mondo islamico non  sarebbe, in breve, che un accostamento impreciso a quello cristiano; che, credo, potrebbe anche non essere definito in alcun modo: coincidendo già con lo stesso sistema di vita dei musulmani, consistente in un amalgama integrale delle componenti religiose e mondane. Conclude Squarcione sulla necessità della “congruenza” della “libertà, regolata, di espressione” - che è consentita dallo “stato laico” - delle minoranze con i “princìpi dello stato di diritto”; in una parola, con l’ordinamento giuridico della nazione in cui si trovano.

10. In questo paragrafo, che è l’ultimo del mio intervento, propongo alcune informazioni ulteriori e considerazioni.
10.1. Da alcune parti si sottolinea l’ispirazione massonica della Charte. Il governo di Hollande è composto di alcuni massoni “praticanti”, e altri che si potrebbero definire indipendenti, o meglio sans tablier. Peillon apparterrebbe a questa categoria; e come tale, ha anche tenuto allocuzioni alla Grande Loge nationale française. Del resto, la rivoluzione francese a cui frequentemente il ministro si rifà, è stata influenzata, tra l’altro, dall’illuminismo e dall’enciclopedismo: correnti, come è noto, caratterizzate anche da una diffusa osservanza e cultura massonica.
10.2. Secondo suoi avversari (ilfoglio.it; articolo di Piero Vietti sul filosofo Martin Steffens), “(l)’offensiva educativa di Peillon trova naturalmente un appoggio nella cultura gay”. Ora, per l’autore dell’articolo, e il filosofo a cui è dedicato, “ ‘(l)a preoccupazione del ministro non è che si parli di sessualità a scuola, ma di parità di diritti’ “. Sono critiche, in una parola, assolutamente incomprensibili, che colloca chi le fa in una posizione, almeno, di preoccupante oscurantismo  culturale. D’altra parte, il titolo dell’articolo è Una nuova Vandea antilaïcité; il sottotitolo, Il filosofo Steffens ci spiega perché i cattolici francesi si rivolteranno contro la New Age giacobina. Mi sembra che a questo tipo di Vandea appartenga piuttosto Steffens e chi gli dà ascolto; a costituire un nuovo Lumpenproletariat “intellettuale”,  che potrebbe danneggiare anzitutto la stessa ascendenza cattolica che lo informa.
10.3. Si sostiene, in un modo ritenuto “conforme” al progetto di Peillon, che l’insegnamento scolastico deve mantenere una stretta neutralità - ai sensi dello stesso art. 11 della Charte. Cosa che viene ribadita in ilmanifesto.it:

la carta [sic] spiega che ‘laicità’ significa ‘neutralità’, dove ognuno è libero di credere o di non credere, ma non deve imporre agli altri le proprie credenze. L’insegnamento è laico, ma anche l’atteggiamento degli allievi deve esserlo [art. 12 Charte].

Da notare che Peillon, peraltro, anche nell’intervista sopra riportata, non sembra, almeno terminologicamente, coerente con sue posizioni che dovrebbero essere state recepite dalla  Charte. Al contrario, afferma, tra l’altro, esplicitamente che

la laicità non è neutra, non considera che tutti i valori siano sullo stesso piano. La laicità può mettersi al di sopra dei valori e affermare (…) l’uguaglianza. E, una volta affermata l’uguaglianza, è chiaro che un insegnamento laico può prendere posizione su molti dibattiti.

Ribadisce: “(i)nsomma, essere laico non significa essere neutrale”. Non mi pronuncio neanche su questa almeno apparente autocontraddizione; secondo quanto ho dichiarato all’inizio, è mia intenzione principale, in questo lavoro, anche fornire elementi, “strumenti” per una discussione sulle tematiche che ne sono oggetto; sulla Charte e il suo contesto, e l’iniziativa di produrla e promuoverla.
            10.4. Va ricordato, non semplicemente come un dato aggiuntivo, che la Charte è stata distribuita nei 54mila istituti statali: non nelle quasi novemila scuole private, che pure sono frequentate da circa due milioni di studenti.
            10.5. Last but not least, il progetto di insegnamento di morale laica. (Riprendo quanto segue da: Nelle scuole francesi arriva l’ora di “morale laica”, l’articolo già citato di Alberto Mattioli, in: lastampa.it. Da notare che in questa fonte è “ripristinata”, per Peillon, la dizione ‘ministro dell’educazione’: e non ‘dell’istruzione’, come in altre.) Peillon si pronuncia così a proposito dei “nuovi corsi di ‘morale laica’ che saranno somministrati agli studenti francesi a partire dall’anno scolastico 2015-‘16”:

(è) un insieme di conoscenze e di riflessioni sui valori, secondo il nostro ideale comune di libertà, eguaglianza e fraternità.

Peillon precisa che “il nuovo insegnamento ‘non sarà (…) un morale di Stato”. Il ministro vuole evitare che “il nuovo insegnamento faccia la fine dei corsi di Educazione civica (…) che sono trascurati quanto i loro equivalenti italiani”.
            10.6. Questo mio intervento sulla Charte de la laïcité, sul contesto in cui è stata prodotta e pubblicata, sulla filosofia e la prassi che l’ha ispirata, sul suo autore, o almeno la persona che l’ha fortemente voluta, come ho detto, intende tuttavia, essenzialmente contribuire a dare informazioni a fruitori interessati a una lettura di questo avvenimento, come l’ho riportato, per un possibile incontro/scontro dialettico su tematiche, in breve, come la laicità e la confessionalità oggi, nella crisi socio-economica mondiale e nel periodo della globalizzazione accentuata, tra altri fenomeni, da una multimedialità sempre più (anche sottilmente) pervasiva. Per questo, la cifra di questo scritto, come già ripetuto, ha inteso essere anzitutto comunicativa.
Riguardo alla Charte, da parte mia, non posso peraltro prescindere dalla sua importanza in situazioni in cui sono apparsi relegati in secondo piano luminosi valori laici che appunto assicurano “pluralismo, integrazione e eguaglianza”. Questo, oltretutto, in una realtà che ha visto la demolizione totale o parziale di soggetti e classi più deboli, la nascita di nuovi soggetti in relazione all’individuazione di nuovi diritti e di nuovi doveri - anche collettivi -, il cambiamento peggiorativo della natura di altre classi - come, p. es., non solo tendenzialmente, quella del c. d. ceto medio -.
Ma non mi ero proposto, comunque, in primo luogo di arrivare a risultati (espressamente) risolutivi: quanto, appunto, di impostare una questione a proposito di una vicenda che ritengo rilevante; con i suoi aspetti,  le sue sfaccettature, le sue problematiche.


FONTI

-          Antonio Basso (ed.), Dizionario di politica, Autas, Milano 1946.
-          Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (edd.), Dizionario di politica, Utet, Torino 1976.
-          Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, a cura di Giovanni Fornero, Utet, Torino 1998.
-          Gianni Bernardini, Le élites dell’ignoranza. Le conseguenze dell’incultura nell’agire sociale, Pagnini, Firenze 2012 (a proposito del filosofo Giuseppe Rensi).

-          gloriaoriggi.blogspot.it, Che cos’è l’etica laica? Intervista a Michel Peillon, ministro dell’Educazione francese, “Miscellanea”, 26 febbraio 2013.
-          lastampa.it, 22 aprile 2013.
-          ilfoglio.it, 31 agosto 2013.
-          ilfoglio.it, 4 settembre 2013.
-          blog.ilmanifesto.it, 9 settembre 2013.
-          corriere.it/opinioni, 10 settembre 2013.
-          lettera43.it, 10 settembre 2013.
-          notizie.radicali.it, 10 settembre 2013.
-          avantionline.it, 12 settembre 2013.
-          presentepassato.it/Quali diritti, s. d. (in relazione a: Seyla Benhabib, Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, trad. ital. il Mulino, Bologna 2008).

 Marina di Grosseto, 15 novembre 2013






ORNELLA FERRERIO

 AFORISMI  

Una frase può non contenere una verità,
ma ogni singola parola di quella stessa frase
ha in sé una verità.

Le parole dicono, ma non sono.

Troppo spesso sono menzognere.

Non bisogna avere paura di morire,

ma di non riuscire a vivere.

I ricchi hanno molte fortune.

Anche quella di vederle
perdonate da molti poveri.

In età avanzata ti rendi conto che

è tua facoltà esistere, ma non esserci.

È morto un poeta.

Ghirlande di cordoglio per la Poesia.

Guerre, malattie, emergenze ecologiche,

catastrofi naturali e non. La crudeltà
del mondo è decisamente onnivora.

È disperante verificare che le attuali

esigenze di mercato richiedono la
disoccupazione. D'altronde le logiche
economiche prevedono la povertà!

In questi tempi, il lavoratore è una figura
dedita, suo malgrado, a una allarmante
latitanza.

 L’auto-assoluzione è una mossa molto

frequente fra i personaggi del potere.

Solo smettendo di sperare si possono

evitare delusioni.

Può sembrare un refuso ma, a volte,

è necessario rigovernare prima di governare.

È la storia che impone le regole,

o sono le regole a imporre la storia?

Per un sogno, una speranza, anche domani
può essere troppo lontano.

Epitaffio per un soldato: “Fu un eroe di guerra

e di globalità”.

Per darmi risposte a certe domande… cerco

la buca del suggeritore!

Mistica e mistificazione non hanno lo stesso etimo,

ma evocano inquietanti affinità.

Leggere un libro è come dialogare

con lo scrittore.

Ci sono vite in cui è buio già dal

sorgere del sole.

Per non invecchiare velocemente bisognerebbe

assumere il tempo a piccole dosi.

Molti aspetti della vita aprono la mente.

E’ un peccato, poi, trovarsi davanti
all’ottusità di molta gente.

Senza il coraggio di dire ho sbagliato

si cade in una sorta di povertà.

Un amaro tecnicismo fa pensare che,

per molti, il cuore sia solo una pompa.

Laurearsi in età molto matura?

Pur con ironia, immagino il mio
epitaffio: “Morta di tesi”…


      


IL VIDEO


Appello di Beppe Grillo a Bersani: vota la Gabanelli




MARI E MONTI

L’Italia è quello strano paese in cui molti milionari al governo,
con pensioni da trenta mila euro al mese e più, ordinano al popolo
di tirare la cinghia, fare sacrifici e morire lavorando fino alla fine

                                                  (Ricevuta da “Odissea” via email)
                                   


Di veramente serio e importante nei provvedimenti adottati dal governo Monti non c’è nulla. Nulla che ci possa far dire che si sia operata una svolta nell’immobilismo controriformistico di una classe politica oramai appartenente quasi integralmente, per ceto sociale, ad una borghesia liberale moralmente indegna, intellettualmente farabuttesca, al 90% corrotta e reazionaria, abbarbicata ai propri disgustosi privilegi, da non porsi nemmeno minimamente il problema di una qualche vera e seria riforma. Questa borghesia malsana è un blocco unico e univoco di interessi, anche se risulta distribuito in tutti i partiti dell’arco costituzionale, ed è irriformabile. Che si raccolga sotto la sigla del Pdl (per la l si rimanda alle cronache giudiziarie non solo della Lombardia) o che si materializzi sotto quella del Pdm (l’aggiunta di questa m, che non vuole affatto dire marxista, mi pare oramai doverosa, e dovremo farci l’orecchio) non cambia nulla. Anzi, se questi due Pd si fondessero in un unico Pdlm, sarebbe quanto di più naturale. Tuttavia qualche riforma radicale si potrà fare (non la Rivoluzione, per carità, siamo allergici al sangue noi italiani, abbiamo lo stomaco debole) nel Paese di Machiavelli e Guicciardini, nel Paese di repubblicani che dopo essersi fatti impiccare, fucilare, rinchiudere allo Spielberg, hanno consegnato su un piatto d’argento l’Italia alla monarchia sabauda, fino al trionfo del fascismo. Qualche riforma potrà avvenire se un Movimento come quello dei Forconi paralizzerà per un mese abbondante l’intera nazione, ed obbligherà all’esilio forzoso le classi dirigenti che hanno devastato in questi oltre sessant’anni il Paese, e ne confischerà i beni. Pensare che una lobby composta da un ex Commissario europeo (mister 72 mila euro al mese di pensione); da un direttore della Banca Centrale Europea (mister 52 mila 343 euro al mese); da un direttore dell’Agenzia delle Entrate (mister 38 mila e rotti di euro al mese); da parlamentari attivi ed ex parlamentari che dissanguano la nazione con le loro pensioni da scandalo (Giuliano Amato mister 31 mila euro al mese; Umberto Dini mister 42 mila euro al mese; Giulio Andreotti mister 29 mila 966,73 euro al mese: 2 pensioni più uno stipendio; Luciano Violante mister 16 mila 680 euro al mese: 2 pensioni; Romano Prodi mister 14 mila 254 euro al mese: 3 pensioni… Basta così o volete che continui? Volete che vi annoti le pensioni e gli stipendi dei direttori generali? Volete che vi sciorini quelli degli amministratori delegati?); pensare che una lobby di tal fatta possa occuparsi del bene del Paese, è come affidare le pecore al lupo. Pensate davvero che a costoro possa importare qualcosa delle 650 euro lorde al mese di un artigiano anziano? Dei 980 euro al mese di un operaio che lavora dalle 8 alle 10 ore al giorno, quando in Parlamento per 4 ore di lavoro su 3 giorni settimanali ne prendono più di 15 netti al mese senza contare la sfilza di privilegi che si sono garantiti (treni, aerei, autostrade, cinema, teatri, giornali, palestre…)? Credete davvero che possano, senza che li mettiamo alla gogna, darsi pensiero del dettaglio che i nostri figli siano disoccupati e i nostri giovani compatrioti siano costretti ad andarsene a centinaia di migliaia in terre lontane come avveniva ai primi del Novecento?
Si è voluto disonestamente eludere la questione di fondo, le domande alle quali si deve obbligatoriamente rispondere: chi ha procurato questa crisi e chi ne ha tratto vantaggiato? Chi, al contrario, la sta pagando e perché? Chi ha dissestato dal dopoguerra a oggi le casse dello Stato? Chi e come ha prodotto un debito così gigantesco? Monti e i suoi ministri lo sanno bene, ma il blocco sociale cui appartengono, non poteva consentirgli che il misero aborto che hanno realizzato. Avete visto con quale decisione Berlusconi ha difeso i grandi patrimoni? Le rendite finanziare non sono state toccate, le banche men che meno, le spese militari idem, di Ici sui beni della Chiesa cattolica neppure l’ombra, i beni confiscati ai mafiosi languono inutilizzati e invenduti, le Province sono ancora là, i rimborsi ai partiti e ai giornali continueranno come prima e meglio di prima, di taglio ai costi della politica niente, di trasferire le funzioni dei notai ai Comuni niente, di imporre un prezzo politico sui farmaci salvavita niente, di azzerare i burocrati che hanno dissestato le aziende di stato niente, di lanciare un piano di mobilità ferroviaria (soprattutto nel Sud) niente, di tutelare un’agricoltura che va in malora niente, di spendere una parola sulle bonifiche ambientali niente, di calmierare i beni di prima necessità niente, di far detrarre in modo generalizzato le spese per rendere conveniente chiedere scontrini e fatture (e dare una botta all’evasione diffusa) niente, di rompere i monopoli dell’energia, dei trasporti, ecc. ecc. niente, di mettere il fotovoltaico sugli edifici pubblici niente, di mettere in vendita una delle tre reti televisive fotocopia niente, di introdurre l’interdizione dai pubblici uffici e la confisca dei beni per gli amministratori corrotti e che assassinano le risorse pagate dai cittadini niente, di proporre un minimo di salario di sussistenza per i giovani disoccupati e le donne niente, per recuperare l’ingente evasione custodita nelle banche estere niente, neanche un passo…Vi state annoiando? Anch’io e perciò mi fermo qui.
Eppure il professor Monti, se davvero voleva essere ricordato come un salvatore della patria, visto che il golpe del Presidente (di questo si è trattato e potete girarci intorno come vi pare) a questo lo aveva destinato facendolo senatore e affidandogli il governo, e considerato anche che i 72 mila euro al mese che guadagna non lo rendevano ostaggio di chicchessia, e dopo la débâcle berlusconiana il consenso del Paese nei suoi confronti raggiungeva la quota 80% (scusate per il periodare più lungo di quello di Manzoni), doveva circondarsi non da banchieri chiacchierati, dirigenti di antitrust di cui non ricordiamo un solo provvedimento, etc, etc, ma di una decina di giacobini (dieci si trovano ancora sulla piazza) e dire a reti unificate: “Qui c’è un programma immediato di 10 punti, pagherà chi ha prodotto lo sfascio e chi si è indebitamente arricchito. Evasori, classe politica amministrativa e dirigenziale (di cui voi partiti rappresentate il problema, non la soluzione) che ha prodotto il buco di bilancio con le malversazioni, banche, grandi patrimoni, burocrazia, carrozzoni parassitari di ogni grado, e naturalmente destinatari di stipendi d’oro compreso il mio. Se vi opponete a queste misure vi assumerete voi la responsabilità del naufragio davanti al Paese”.
Per le misure in dettaglio poteva dare un’occhiata alle pagine di Odissea o farci una telefonata: le teste pensanti di questo giornale non si sarebbero tirate indietro. Naturalmente gratis.                      
Poi avrebbe potuto ritirarsi in campagna come Cincinnato.
Sarà ricordato invece come un capo di governo salva-banche.




UNITI PER LA MOBILITA' NUOVA



Cari amici,

Come ci auguriamo avrete appreso dalla stampa cartacea e online, il 4 maggio a Milano si terrà la manifestazione indetta dalla Rete per la Mobilità Nuova, un’alleanza di persone, movimenti e associazioni che chiedono un radicale cambiamento negli investimenti pubblici per la mobilità a vantaggio del trasporto pubblico locale, di quello pendolare e di quello non motorizzato.

Con questa mail vi invitiamo a prendere parte alle iniziative di promozione della manifestazione, affinché il 4 maggio possa essere ricordato come il giorno memorabile in cui realmente l’Italia ha cambiato strada:
  • Lunedì 22 Aprile a partire dalle ore 11 si terrà il tweetday della Mobilità Nuova. Se avete un account twitter vi invitiamo a utilizzare l’hashtag #cambiastrada per rilanciare la manifestazione e per spiegare il motivo per cui ritenete che l’Italia debba cambiare il proprio modo di muoversi.
  • Martedi 23 si terrà invece il Facebookday: se avete un profilo o una pagina Facebook vi invitiamo a supportare la manifestazione pubblicando nell’arco della giornata una o più immagini che potete scaricare da questa cartella. Scopo dell’iniziativa è quello di rendere il messaggio accessibile al maggior numero di persone, è importante, quindi che carichiate direttamente le immagini invece di utilizzare l’opzione “condividi”.

Fino a questo momento hanno aderito alla Rete per la Mobilità Nuova oltre 150 sigle, tra associazioni nazionali e locali, ong, comitati, organizzazioni di categoria e che vanno da Libera all’Associazione Nazionale Comuni Virtuosi, da SlowFood a Coldiretti, da UISP a Legambiente, passando per il Touring Club Italiano, l’Associazione Italiana Agricotura Biologica, #salva iciclisti, Federazione Nazionale Clowndottori, la CGIL SPI e tanti altri (l’elenco completo lo trovate nel sito), a testimonianza della multidimensionalità del tema della mobilità  che non è solo smog e congestione, ma anche qualità dell'ambiente urbano e del territorio, efficienza del trasporto pendolare e di quello pubblico urbano, & nbsp;km0 in agricoltura, consumo di suolo e qualità ambientale, valorizzazione turistica delle città e del paesaggio, diritti dei consumatori ed equità nell'accesso ai servizi di mobilità, legalità e ancora sicurezza stradale, emissioni di gas serra, dipendenza petrolifera, costi economici, sociali, sanitari e ambientali, urbanistica.

La manifestazione del 4 maggio sarà il momento per rendere chiaro una volta per tutte che tutte queste dimensioni sono connesse tra loro e che non possono più essere affrontate come compartimenti stagni. A questo scopo inizieremo una raccolta di firme per presentare in Parlamento una legge di iniziativa popolare per imporre un cambio di direzione nell’allocazione dell e risorse pubbliche destinate ai trasporti.

Grazie ad un accordo con le Ferrovie dello Stato, tutti coloro che vorranno partecipare alla manifestazione avranno diritto a uno sconto del 40% sul valore del biglietto del treno. A breve renderemo note le modalità con cui richiedere il codice sconto sul sito www.mobilitanuova.it nella sezione “blog”.

L’appuntamento è quindi per il 4 maggio alle 14:30 in Piazza duca d’Aosta a Milano (Stazione Centrale) per far cambiare strada all’Italia.

Un caro saluto

Rete per la Mobilità Nuova

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Se non vuoi più ricevere nostre comunicazioni, clicca qui:http://www.mobilitanuova.it/wp-content/plugins/newsletter/do/unsubscription.php?nk=1512-ce6eda4e2f



COMUNICATO STAMPA

Spot sull'Iniziativa dei Cittadini Europei per l'Acqua Pubblica in Europa con Stefano Rodotà, Lella Costa, Ascanio Celestini

Ancora qualche mese per firmare per l'ICE per l'Acqua Pubblica: l'iniziativa dei Cittadini Europei per chiedere alla Commissione Europea che le risorse idriche siano messe fuori dal mercato ed al riparo dai tentativi di privatizzazione. In Italia mancano ancora alcune migliaia di firme per raggiungere l'obiettivo prefissato, è per questo che il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha chiesto ad alcuni amici dell'acqua pubblica di partecipare ad un spot che vuole rilanciare l'ultima fase della raccolta. Il Prof. Stefano Rodotà, Lella Costa e Ascanio Celestini ci hanno aiutati a leggere, insieme ai nostri attivisti, un breve messaggio che girerà nei prossimi giorni sui siti delle realtà che sostengono l'Ice e sui social network. 
Roma, 11 aprile 2013
--
Luca Faenzi
Ufficio Stampa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
ufficiostampa@acquabenecomune.org
+39 338 83 64 299
Skype: lucafaenzi
Via di S. Ambrogio n.4 - 00186 Roma
Tel. 06 6832638; Fax. 06 68136225 Lun.-Ven. 10:00-19:00
www.acquabenecomune.org




VERITA’ e GIUSTIZIA per gli uccisi da veleni di guerra e di poligono
FERMARE la STRAGE di STATO
Cade un altro tabù sui crimini di Stato nel Salto di Quirra (Pisq):
approfittare del disastro ambientale per potenziare il poligono.
L’intervento della Procura e del Gip di Cagliari - sequestro delle piste del Pisq, il generale comandante indagato - conferma le nostre previsioni. La messa in sicurezza delle aree dove la contaminazione è ampiamente dimostrata e ammessa persino dalle Forze Armate, imposta dalla Procura di Lanusei, è stata distorta e indirizzata, sostiene la Magistratura, a “fini ben diversi da quelli di tutela della salute”. l’intuito popolare indica questi fini: predisposizione delle opere di costruzione della “Pista tattica multifunzionale”, altrimenti detto la costruzione ex novo dell’aeroporto militare, annoso progetto sempre respinto dalla popolazione, funzionale al potenziamento del poligono e all’incremento delle attività belliche. In Italia, variegati pezzi di Stato sono da sempre maestri nella turpe arte di usare e/o provocare disastri ambientali per trarre profitti per sé e per pochi a discapito della collettività. La Protezione Civile guidata da Bertolaso è solo la scuola più nota. La Procura di Cagliari ha messo in luce la bieca volontà di vertici militari, ministri della Difesa, Governi - sostenuti dalle truppe degli ascari sardi desiderosi di droni, i robot assassini volanti da aggiungere agli aerei di guerra scorrazzanti nei cieli della Sardegna - di raggirare, piegare ai loro scopi, trarre vantaggi dal terremoto originato dall’eruzione delle verità nascoste, i crimini e scempi del Pisq documentati dalla Procura di Lanusei. L’appropriazione militare di strade comunali, spacciata come finalizzata alla tutela della salute pubblica, è ancora oggetto d’indagine. Sono scandalosamente nude le manovre per approfittare del disastro ambientale, ormai non più occultabile, volgendolo in occasione di espansione e consolidamento del poligono della morte, garanzia della sua intangibilità. Indigna il coro osannante la “radicale bonifica” sbandierata dai politicanti, fatta sistemando recinzioni e cartelli di divieto d’accesso.
Ripugna la tracotanza, la certezza dell’immunità, di farla franca, di farsi beffe della legalità, di riuscire ad affossare il lavoro della Procura di Lanusei, d’impedire il rinvio a giudizio e lo svolgimento del processo. A Lanusei, il prossimo 22 aprile, il gup Nicola Clivio, dovrà accogliere o respingere la richiesta del pm Fiordalisi affinché ordini “l’ immediato sequestro probatorio dell’area demaniale del Poligono Salto di Quirra con blocco di ogni attività militare nelle aree ad alta intensità militare fino al giorno in cui il Perito nominato dal Giudice completerà i “nuovi” campionamenti”, l’ennesima indagine inutile ai fini dell’accertamento dei reati contestati, utile però a procrastinare la scomoda decisione di rinviare a giudizio gli indagati eccellenti. Realisticamente il PM valuta che la perizia decisa dal Giudice “difficilmente potrà impiegare un tempo inferiore ai due o tre anni “ e calcola che per almeno otto dei venti indagati scatterà la prescrizione.
Ferisce il servilismo e/o l’insipienza delle Autorità locali scattate sull’attenti, prima, per avvallare il Piano di Monitoraggio truffa (2008-11) messo sotto accusa dalla Procura di Lanusei, poi, nella conferenza dei servizi, per coprire con il silenzio e l’inerzia lo scempio delle piste abusive e l’inganno della “messa in sicurezza” incriminati dalla Procura di Cagliari.
Registriamo l’ennesimo atto criminoso dello Stato italiano, perpetrato tramite “il servitore dello Stato” Comandante del Pisq, mirato a rinsaldare e perpetuare la schiavitù militare della Sardegna, il ruolo di campo di guerra e campo di sterminio del popolo sardo dove la legalità è sospesa.
Noi non cessiamo di esigere che il Governo assuma le sue responsabilità, l’obbligo di porre fine e riparo al disastro ambientale e alla strage provocata dalle devastanti attività militari, adotti con urgenza le misure sintetizzate nello slogan portante del sit in mensile e degli incontri con il rappresentante del Governo, l’acronimo SERRAI (CHIUDERE)
S. Sospensione delle attività dei poligoni dove si sono registrate le patologie di guerra;
E . Evacuazione dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Teulada, Decimomanno-Capo Frasca, Quirra
R. Ripristino ambientale, bonifica seria e credibile delle aree contaminate a terra e a mare;
R. Risarcimento alle famiglie degli uccisi, ai malati, agli esposti, Risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola.
A. Annichilimento, ripudio della guerra e delle sue basi illegalmente concentrate in Sardegna in misura iniqua;
I. Impiego delle risorse a fini di pace.
Comitato sardo Gettiamo le Basi, tel 3467059885; Famiglie militari uccisi da tumore, tel 3341421838
Comitato Amparu (Teulada) 497851259; Comitato Su Sentidu (Decimo) 3334839824;



L'intervista
Intervista all'Avv. Giovanni Bonomo fatta da "Striscia la notizia".
Per vedere il video: www.striscialanotizia.mediaset.it/video/



Allarme amianto
La nostra denuncia sull'amianto al Policlinico e al mercatino Comunale di piazza XXIV Maggio ho smosso Striscia La Notizia; Capitan Ventosa è venuto a fare un servizio, dovrebbe andare in onda quanto prima.
Per vedere il video di Arturo Bolognini: Dott Simonetta Macor - esposto amianto




Cari amici,


Tra poche ore il Presidente della Tanzania Kikwete potrebbe iniziare a sgomberare decine di migliaia di noi Masai dalle nostre terre per permettere la caccia a leopardi e leoni. L'ultima volta Avaaz ha contribuito ad attirare l'attenzione globale e il Presidente ha dovuto abbandonare il piano. Una pressione da tutto il mondo può permetterci di fermarlo di nuovo. Clicca subito per aiutarci: 
Siamo gli anziani dei Masai della Tanzania, una delle più antiche tribù dell'Africa.Il governo ha appena annunciato di voler cacciare migliaia delle nostre famiglie dalle nostre terre per permettere a ricchi turisti di usarle per la caccia a leoni e leopardi. Gli sgomberi inizieranno immediatamente.

L'anno scorso, quando per la prima volta è stato rivelato a tutto il mondo questo piano, quasi un milione di membri di Avaaz si è fatto sentire per aiutarci. La vostra attenzione e la bufera mediatica che si è scatenata hanno costretto il governo a fare marcia indietro, facendoci guadagnare mesi preziosi. Ma il Presidente ha aspettato che l'attenzione internazionale scemasse e ora ha fatto ripartire il piano per sottrarci la nostra terra. Abbiamo urgentemente bisogno del vostro aiuto.

Al Presidente Kikwete forse non interessa di noi, ma ha mostrato che risponde alla pressione globale: quella di tutti voi! Ma forse abbiamo solo poche ore. Vi chiediamo di stare al nostro fianco per proteggere la nostra terra, la nostra gente e gli animali più incredibili di questo nostro pianeta e di far sapere a tutti cosa sta accadendo prima che sia troppo tardi. Si tratta della nostra ultima speranza:

http://www.avaaz.org/it/stand_with_the_maasai_loc/?bhvKTcb&v=23519

La nostra gente ha vissuto per secoli grazie ai frutti delle nostre terre in Tanzania e in Kenya. Le nostre comunità rispettano gli animali e proteggono e conservano questo delicato ecosistema. Ma da anni il governo cerca di trarne profitto dando la possibilità a ricchi principi e re del Medio Oriente di venire nella nostra terra a uccidere. Nel 2009, quando hanno cercato di sgomberare le nostre terre per fare spazio a queste battute di caccia, abbiamo resistito e centinaia di noi sono stati arrestati e picchiati. L'anno scorso, ricchi principi hanno addirittura sparato agli uccelli dagli elicotteri. Si tratta di uccisioni insensate e contro ogni principio della nostra cultura.

Ora il governo ha annunciato che sgombererà un'enorme parte della nostra terra per fare spazio a quello che sostiene sarà un corridoio di natura selvaggia anche se molti sospettano che sia solo un trucco per concederla a una azienda straniera di caccia e che cerca solo un modo per concedere ai ricchi turisti di sparare a questi incredibili animali. Il governo sostiene che questa nuova soluzione viene incontro alle nostre esigenze, ma in realtà avrà degli effetti disastrosi sullo stile di vita della nostra gente. In migliaia saremo sradicati dalle nostre vite, perdendo talvolta le nostre case, talvolta la terra in cui i nostri animali pascolano, e spesso entrambe le cose.

Il Presidente Kikwete sa bene che molti turisti in Tanzania riterrebbero una tale decisione molto discutibile, ed essendo il turismo una fonte fondamentale di entrate per il paese non vuole che questo diventi un enorme disastro per l'immagine del paese. Se riusciremo a far sollevare fin da subito ancora più indignazione rispetto a quella che già si è manifestata in passato, facendo in modo che i media ne parlino, potremmo costringerlo a pensarci due volte. Stai al nostro fianco per chiedere a Kikwete di fermare la svendita:

http://www.avaaz.org/it/stand_with_the_maasai_loc/?bhvKTcb&v=23519

Questo esproprio di terra vorrebbe dire la fine per i Masai di questa parte della Tanzania, e in molti nella nostra comunità hanno già detto che preferirebbero morire che essere costretti a lasciare le loro case. A nome del nostro popolo e degli animali che vivono in queste terre, vi chiediamo di farvi sentire e stare al nostro fianco per far cambiare idea al nostro Presidente.

Con speranza e determinazione,

Gli anziani dei Masai del distretto di Ngorongoro

ULTERIORI INFORMAZIONI
I masai rischiano lo sfratto per un safari (Corriere della Sera)

Land grabbing, la minaccia che ritorna (Slow Food)



Kenya: storica sentenza del Tribunale africano a favore degli Ogiek (Survival)



Land grabbing e turismo di caccia. Il caso di Loliondo, Tanzania (AgriRegioniEuropa)



Tanzania - Rapporto Annuale (Amnesty International)


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Una destra decente
In questi ultimi tempi, grazie alle vivaci scritture di opinionisti ed esperti vari, si legge spesso (che è anzi ormai quasi una frase fatta), trattando di questioni politiche, la seguente osservazione: in Italia manca una destra presentabile. Oh, averla, una destra decente! Ad esempio, Gennaro Sangiuliano, Perché ci manca ancora una destra, supplemento letterario de “Il Sole 24 ore”, 3 marzo 2013: “L’assenza di una destra conservatrice, forse mai compiuta, rischia di essere una ulteriore anomalia del sistema politico italiano. Una destra democratica esiste in tutte le grandi democrazie occidentali e ne costituisce, sia pur con le peculiarità storiche e nazionali, un fattore di stabilizzazione. (…) Nelle democrazie occidentali le forze conservatrici, infatti, hanno costituito spesso un antidoto all’insorgere di spinte populiste e revansciste, mantenendo all’interno di una dialettica costituzionale alcune istanze molto profonde”.
Ma una destra decente si direbbe che c’è. È rappresentata da “L’Espresso” e da “la Repubblica", da Fabio Fazio e Daria Bignardi, da Gad Lerner e da Umberto Eco, da SEL e dal PD. È composta da tutto un mondo molto perbene e molto serio. Da Piero Fassino che va in tv a ritrovare la sua tata (e se anche lui non ci avrà tanto creduto, a quella comparsata, sarà comunque essa pure indicativa di qualcosa), da Vladimir Luxuria e dai tanti vip tanto democratici, dai raffinati moralismi di Concita De Gregorio (un Presidente del Consiglio non deve fare le ore piccole, ammonisce), dalla satira e dalle letture con tante belle note e glosse di Fratelliditalia e Costituzioni che più belle non si può da parte di Roberto Benigni (per altro insigne dantista), e così via discorrendo.
Diciamocela tutta: nel così detto centro-sinistra, di cose di sinistra ce ne sono ben poche. Ci sono i minuti di silenzio e gli applausi, le missioni di pace e il politically correct, le chiacchierate in culturese e il conformismo, con tanti buoni sentimenti e senso di responsabilità, ché si è depositari di verità e giustizia. Le professoresse e i chierichetti, con i loro bravi valori, la loro garbata educazione civica, le loro sessuofobie, le loro buone maniere, i loro conversari, il loro interclassismo, il loro stare attenti a non offendere la zia (e, mi raccomando, fate attenzione a non cambiare le cose) credono così di contrapporsi ai gangsterismo e alla prostituzione che stanno dall’altra parte (e qui parliamo ovviamente di prostituzione dell’intelligenza, che, proprio volendo volendo, magari si può scorgere in quei parlamentari che cambiano schieramento dalla sera al mattino oppure in quel voto assembleare che certificò l’effettiva nipoticità di Ruby Rubacuori nei confronti di Mubarak).
Ma non fanno un po’ paura, questi rigorosi tutori dell’ordine, fautori di una vita che si vorrebbe tutta regolata? Che, forse non a caso, mandano al rogo un libro come Falce e carrello di Bernardo Caprotti, reo di criticare le Coop rosse. Business is business. Ci troviamo di fronte ad una pseudo sinistra? Aveva dunque ragione Granfranco Sanguinetti quando vedeva la sinistra – allora identificata nel PCI – come l’unica soluzione per la sopravvivenza del capitalismo? Avevano i situazionisti ancora una volta – com’è abitudine dire – anticipato i tempi?
E poi tutti che gridano l’Europa l’Europa (e pure: è l’Europa che ce lo chiede), e poi protestano: gli italiani sono anarcoidi e non amano le regole, se hai votato alle primarie devi restare fedele al partito, comunque sia, e Grillo deve fare il governo col PD (ma non era un aspirante nazista?) perché se non ora quando, eccetera. Le regole democratiche, insomma, come fedeltà, clan, obbligo di appartenenza. È il senso dello stato, l’onda lunga del PCI e dei movimenti cattolici: ma qui forse il tutto cade molto a sproposito. Noi ci ricordiamo, in mezzo a tanta responsabilità, che mai il centro-sinistra al governo ha fatto qualcosa contro i conflitti d’interesse, contro il finanziamento ai partiti, contro una legge elettorale che pone soglie di sbarramento. Ci ricordiamo Massimo D’Alema messo al governo per bombardare la Serbia. Era la Nato che ce lo chiedeva.
Se la destra usa il crocefisso come un bastone contro i diversi, quelli che non appartengono alle nostre vestigia culturali, Pierluigi Bersani (riportato da “Il Secolo XIX”, 4 novembre 2009) preferisce dire: “Un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno” (e a parte il fatto che non è in questione l’offensività, non si vede perché una cosa debba essere buona solo perché è un’antica tradizione. E questo svuotare il valore del crocefisso e ridurlo a pura tradizione, chissà che effetto poi avrà fatto su chi ci crede, al Cristo risorto).
Ma ad essere svuotata davvero è l’ideologia di sinistra, che infatti non riesce a far altro che rincorrere le posizioni e le trovate della destra. Beppe Severgnini, proprio nel salottino della Bignardi, ne dice di tutti i colori sui comunisti, citando con dispregio le ipocrisie finto-progressiste, i fanatismi anti-americani, le arroganze para-sindacali (è in ricordo di tutto ciò, afferma, che Berlusconi riceve consensi quando sbandiera l’anticomunismo). Il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (PD) esclama, nella trasmissione La Zanzara su Radio 24 (citiamo da “il Fatto Quotidiano”, 9 marzo 2013): “Casaleggio? Vada da un barbiere serio”, “Uno che a cinquant’anni si fa la permanente la mattina è capace di qualsiasi delitto”, “Finiamola con queste palle, come la democrazia diretta. Non abbiamo tempo da perdere”, “Grillo dice che vuole cambiare il mondo, ma bisognerà informarlo che questo posto è già occupato da uno che venne 2000 anni fa. Non accetto l’infantilismo, le furbate, la volgarità e meno che mai la violenza verbale e sostanziale”, “Basta con le palle ‘la rete’ e ‘controrete’, bando a queste fesserie”. Stefania Rossini (“L’Espresso" n.11, 21 marzo 2013) elenca i fautori del voto “didattico” (cioè quel voto che intende dare uno scrollone per avvertire gli altri di rigare diritto) al Movimento 5 stelle: “il rivoluzionario d’antan, l’eterno radical chic, l’intellettuale effervescente, il cinico di professione, l’intelligentone cronico”. Rosario Crocetta, governatore (come si usa dire adesso) PD della regione Sicilia definisce “affermazioni gravi e inaccettabili” quelle del suo assessore al turismo Franco Battiato, che ha parlato di prostituzione nel parlamento italiano, in quanto “vìolano il principio della sacralità” delle istituzioni. Laura Boldrini e Pietro Grasso stigmatizzano le parole di Battiato (“Il secolo XIX” del 28 marzo 2013) e plaudono all’immediato “licenziamento” dell’assessore.
Forse può sembrare che ci occupiamo di nugae. E forse è davvero quel che stiamo facendo. Ma la sovrastruttura è importantissima: anche gli stili di vita proposti, i metodi, i nodi alla cravatta sono ideologia. E in effetti oggi la sinistra – ciò che viene considerato tale – non si presenta più come radicale e innovativa, e spesso sposa cause di destra. È la questione del centrismo, anche se un centro, in realtà, non esiste: ma si può attutire sempre più i propri ideali, accettare idee di destra in un ambito virtualmente di sinistra, allearsi infine con la destra. In una sorta di sindrome di Stoccolma. Non si fanno le cose nuove, si cerca di migliorare un pochino le solite strutture. Alla sinistra è stata chiesta la negazione di certi suoi principi economici e morali. Altrimenti verrà esclusa (il fattore K) o alla peggio allontanata con un colpo di stato (il fattore Kissinger). Si pensi anche alle pressioni che il potere vigente può fare per evitare l’alternativa: servizi segreti che influenzano l’informazione, ricatti economici, corruzione della magistratura.
Ralph Miliband, in Marxismo e democrazia borghese, avverte però: pesa più alla sinistra fare una politica di destra che alla destra per un certo periodo fare una politica di sinistra. Un po’ è colpa della democrazia: un povero d’oggi magari sta meglio di un mezzo ricco di cent’anni fa (cosa vuol dire poi “sta meglio”? magari semplicemente che ha più illusioni da consumare ed usufruisce di qualche ritrovato tecnologico in più). Se i poveri-poveri non sono più la maggioranza la democrazia, che è basata sulla maggioranza, non ne sposa la causa. Come scrive Thomas Nagel (citiamo da Mario Ricciardi, Ragioni di sinistra, supplemento letterario de “Il Sole 24 ore”, 27 gennaio 2013), “gli interessi della maggioranza di solito non coincidono con gli interessi di tutti, imparzialmente soppesati, e certamente non coincidono con l’idea di eguaglianza”.
Che dire? Che proporre? Magari, in questa lunga marcia verso il centro, qualcuno confida in una sorta di gradualismo nella conquista del potere. Ma non prenderete il vecchio mondo per sfinimento, non illudetevi. Il fatto è che non ci si può schierare sempre con il male minore. Forse è ora di cercare il bene maggiore. L’utopia è il fare subito, affrontare i problemi quotidiani, scompigliare le carte, demolire con le armi della critica. Insomma, avere una sinistra veramente sinistra, in tutti i sensi del termine.
Marco Innocenti





                                          AUTOCRITICA

Ho fatto un sogno che mi ha lasciato perplesso, perfino spaventato tanto era vivido e inconsueto. Avevo la sensazione che i pensieri, le idee divenissero, si trasformassero in cose materiali, con un proprio peso, una massa, un volume, si mutassero in pietre.
Il sogno ha il significato che io devo prendere coscienza di quanto i pensieri espressi in parole possano cambiare la realtà, essere concreti ed anzi per la loro diffusione ed il loro potere di incidere ed influire sulle coscienze delle persone, sono promotori di realtà più vaste. Io che in questo momento posso modestamente dichiararmi scrittore, operatore e mediatore di cultura.
Le parole, le idee hanno veramente un potere immenso; in passato l'ideologia nazista e razzista di Hitler provocò milioni di morti, uccisi nei campi di concentramento.
E se le parole potessero divenire pane e sfamare tutta la popolazione mondiale?

Bisogna che io addivenga ad una professione di fede. Credere nella diffusione di idee che promulgano l'egualitarismo di tutti gli uomini, l'equa ripartizione dei beni tra tutti i membri della collettività (con una figura retorica: pane per tutti) in una parola il socialismo. 
Tiziano Rovelli





                                                            Milano - San Cristoforo
                                                                         foto liviaci




 
Trasporti e infrastrutture in Calabria: un colabrodo.
Aeroporto a Crotone, sì o no? Questo il dilemma, avrebbe detto Shakespeare. Volendo dare maggiore rilevanza al tarlo del dubbio, si potrebbe aggiunge: “Se è più giusto chiuderlo definitivamente o continuare a farlo funzionare a singhiozzo, a seconda degli interessi del politico di turno, che proprio sull’apertura a tempo dello scalo di Sant’Anna costruisce magari il proprio consenso politico?” Ma il dilemma shakespeariano non riguarda solo l’aeroporto di Crotone, ma interessa la Ferrovia, la 106, gli ospedali, le infrastrutture, il lavoro, la salvaguardia del suolo, e via discorrendo. Insomma, Calabria progredita, moderna, capace di valorizzare il proprio patrimonio culturale e ambientale, e farne finalmente una risorsa, o Calabria sempre più relegata in una posizione marginale, fanalino di coda dell’Italia e dell’Europa, prigioniera della ‘ndrangheta e delle lobby politico-affaristiche che la soffocano?
Io credo che sia giunto il momento di uscire da questa commedia degli equivoci, perché in verità non si tratta di una vera e propria tragedia, anche se di essa, a volte, ne assume i tratti e i connotati, e dire chiaramente che noi Calabresi siamo stufi di essere presi in giro da una classe politica fatta per lo più da imbelli, incapaci e corrotti, abituati a fare solo promesse e niente altro. Com’è pensabile continuare ad avere fiducia nell’attuale classe governante se non è in grado nemmeno di organizzare un servizio di treni o di autobus, in coincidenza con i voli in arrivo e in partenza da Lamezia, perché tollera in maniera indegna che a prevalere siano gli interessi dei tassisti su quelli dei cittadini? La nostra regione, piaccia o no, è perdente perché non ha una classe dirigente adeguata, perché non ha una rete di trasporto e di infrastrutture degne di tal nome, perché non riesce a far funzionare quel poco che ha e perché tollera che a prevalere siano gli interessi delle lobby su quelli collettivi. Tutte le volte che si deve scendere in Calabria, per chi non ha la fortuna di risiedere nel raggio di 60/70 chilometri da Lamezia, viene la febbre, perché ci si rende conto di quanto la Calabria, pur essendo nel cuore dell’Europa, sia lontana dal mondo cosiddetto progredito. Sembra quasi la perpetuazione dello stesso stereotipo emerso durante il “Grande Tour” quando gli illustri viaggiatori, che osavano spingersi nella Calabria più remota, lamentavano la carenza di strade e di infrastrutture adeguate.
Dopo aver perorato la causa di tenere aperto l’aeroporto di Crotone con diverse iniziative, ora dico che, forse, è giusto che sia chiuso definitivamente, se le cose devono continuare ad andare avanti in questo modo vergognoso e incivile, scandito da aperture e chiusure repentine, che non consentono un minimo di programmazione, e che si costruisca un aeroporto, voluto con grande determinazione dai cittadini e non dalle lobby politico-affaristiche, magari a Cariati, o Cirò Marina. Non è blasfemia, ma fermo convincimento che per avere un altro aeroporto in Calabria, che funzioni come quello di Lamezia, è necessario ampliare il più possibile il bacino di utenza, passando dagli attuali 180.000/190.000, tanti sono gli abitanti dell’intera provincia di Crotone, a 400.000/500.000.
L’ipotesi di chiudere Crotone e costruire un aeroporto ex- novo a Sibari è un’altra follia della metafora dell’inefficienza che caratterizza il nostro paese, e va subito scartata, perché si rivelerebbe l’ennesima promessa irrealizzabile o magari realizzata a metà, uno spreco di denaro pubblico, perché Sibari, checché ne dicano i politici che appoggiano questa insana idea, sarebbe destinata a riprodurre le stesse caratteristiche e le stesse carenze che ha evidenziato Crotone.
Alcuni semplici dati danno un’idea di quanto la scelta logistica di un aeroporto sia importante.
Aeroporto di Lametia, principale scalo calabrese, distanza dalle principali città calabresi:
  • Catanzaro, 38,3 km, tempo di percorrenza circa 42 minuti;
  • Cosenza : 67,2 km, tempo di percorrenza circa 52 minuti;
  • Crotone: 105 km, tempo di percorrenza circa 1.50 minuti;
  • Reggio Calabria: 133 km, tempo di percorrenza circa 1 ora e 40 minuti;
  • Cirò Marina: 137 km, tempo di percorrenza 2 ore e 30 minuti;
  • Cariati: 160, 2 km, tempo di percorrenza circa 2 ore e 50 minuti;
  • Rossano: 190 km, tempo di percorrenza circa 3 ore e 15 minuti;
  • Sibari: 215 km, tempo di percorrenza circa 3 ore e 30 minuti;
  • Castrovillari: 142 km. tempo di percorrenza cica 2 ore e 20 minuti;
Sono solo alcune distanze che danno un’idea di quanto sia estesa la Calabria e di quanto il solo aeroporto di Lamezia sia insufficiente a soddisfare i bisogni della Regione, se vogliamo stare in Europa e valorizzare le nostre risorse turistiche.
Un aeroporto, perché possa coniugare servizi decenti con le esigenze di mercato e anche di profitto delle compagnie che vi operano, garantendo voli sicuri e continui, dovrebbe rivolgersi a un bacino consistente di potenziali utenti, che abitano e operano a non più di 90/100 kilometri dallo scalo.
Assodato che l’aeroporto di Lamezia continuerà a servire le province di Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo Valentia e parte della provincia di Cosenza, vediamo di capire perché un aeroporto ubicato a Cariati o Cirò risponderebbe bene a questi requisiti:
  • Distanza in chilometri del tratto Sibaritide (Rocca Imperiale- Cariati, estremo nord della Calabria) 113 km;
  • distanza tratto Crotonese (Cariati-Steccato di Cutro) 90 chilometri circa;
  • distanza Cariati-Crotone 55 chilometri circa;
  • distanza verso l’appennino calabrese (Cariati- San Giovanni in Fiore) 90
  • distanza Cariati-Rossano 30 km
  • distanza Cariati-Lungro 92 km
  • distanza Cariati- Bocchigliero 35 km
  • distanza Cariati-Villa Piana 55 km
  • distanza Cariati-Trebisacce 70 km
La provincia più popolosa della Calabria è quella di Cosenza con i suoi 735.000 abitanti. Di questi 735.000 la metà continuerebbe ad usufruire dell’aeroporto di Lamezia, Cosenza Tirrenica, mentre l’altra metà, quella ionica, troverebbe sicuramente molto più comodo accedere a questo ipotetico nuovo aeroporto. Sommando ai circa 200.000 abitanti della provincia di Crotone i 350.000 della provincia della Cosenza Ionica , il bacino di potenziali viaggiatori passerebbe a 500.000/550.000 , il numero ottimale per avere un aeroporto che possa funzionare con regolarità.
Tutto questo discorso sarebbe destinato a essere pura teoria, però, se contestualmente non si pensasse alla trasformazione della SS 106 in una superstrada, degna di tal nome, e se la ferrovia non facesse una sana politica di rilancio della propria attività prevedendo collegamenti rapidi, una sorta di metropolitana leggera, con i principali paesi cui questo aeroporto dovrebbe rivolgersi, naturalmente osservando orari coincidenti agli arrivi e alla partenze degli aerei.
Io non so se i mei corregionali calabresi abbiano inteso la portata, soprattutto a livello economico, e quindi di lavoro, della costruzione di un aeroporto degno di tal nome, del completamento in tempi rapidi di una superstrada, iniziata cinquanta anni fa e mai ultimata, della costruzione del secondo binario sulla tratta Bari-Reggio Calabria e del rilancio degli ospedali e delle infrastrutture connesse, ma sarebbe opportuno che cominciassero a riflettere e si convincessero che queste cose si devono conquistare con la determinazione e la lotta, non attraverso le promesse da marinai dei soliti politici, la cui rilevanza non va spesso oltre il raggio del proprio campanile.
A onore del vero, e per sfatare il concetto di un Sud immobile , devo dire che non sono mancate, di tanto in tanto, le prese di posizione, anche originali, di questo o quel personaggio che ha protestato, magari incatenandosi per qualche ora sul binario o improvvisando un blocco stradale, ma è sempre mancato il reale coinvolgimento delle popolazioni locali a dar concretezza alle iniziative dei singoli. Il problema della chiusura dell’aeroporto di Crotone, della soppressione dei treni, dello smantellamento degli ospedali e dei presidi sanitari sul territorio, dell’insicurezza e congestione della famigerata SS106, coinvolge tutti, senza alcuna distinzione di appartenenza politica. Noi calabresi siamo sempre stati perdenti, rossi, neri, bianchi, alti, bassi, magri, grassi, scuri, perché abbiamo sempre agito come singoli e quasi mai come gruppo. L’unica volta che l’abbiamo fatto è stata nel lontano 1949 con l’occupazione delle terre a Melissa. Allora abbiamo pagato un alto tributo di sangue con i tre contadini assassinati dalla polizia all’ordine dell’allora ministro Scelba, è vero, ma quella è stata la sola volta che la Calabria ha vinto, meritandosi il rispetto, l’attenzione e la solidarietà di gran parte del paese.
Io credo che sia giunto il momento per le popolazioni calabresi di far sentire tutto il loro peso politico, rifiutandosi in massa di andare a votare per il rinnovo del Consiglio Regionale, dei Consigli Provinciali e Dei Consigli Comunali, se non verranno assunti impegni concreti per la soluzione degli annosi problemi del trasporto, della sanità, della salvaguardia del suolo, della protezione dell’ambiente, della difesa dei mari e delle coste.
Lancio un appello, quindi, a tutti i calabresi affinché si costituiscano comitati organizzati o spontanei, al di là degli schieramenti politici, che vogliano affrontare i problemi che ho delineato, nel convincimento che è solo attraverso la lotta e la consapevolezza che si possono cambiare le sorti della Calabria.
Cataldo Russo



M5S Lombardia a fianco dei NO-TAV
Verso la manifestazione di sabato 23 Marzo 
in Val Susa

Domani sabato 23 Marzo, numerosi cittadini simpatizzanti o iscritti al M5S, insieme ai loro parlamentari e consiglieri regionali, parteciperanno alla manifestazione NO-TAV in Val di Susa. I parlamentari 5 Stelle eserciteranno i loro poteri di ispezione sui cantieri e sull’opera come previsto dalla legge, e come dichiara il neo-senatore Marco Scibona: “La visita al cantiere della Maddalena di Chiomonte rientra nelle normali attività ispettive legate alla specifica funzione di controllo che deriva dalla carica elettiva dei parlamentari. In tale ispezione saremo accompagnati da tecnici esperti che potranno chiarire qualunque interrogativo espresso dai parlamentari”.

Silvana Carcano, capogruppo in pectore del gruppo regionale Lombardia 5 Stelle, dichiara: “Una delegazione dei consiglieri regionali 5 Stelle lombardi parteciperà alla manifestazione NO-TAV di domani. Non ci facciamo intimidire da alcune dichiarazioni irricevibili che leggiamo sulla stampa: da anni il movimento NO-TAV viene criminalizzato da molti organi di informazione nel tentativo di soffocare le legittime e democratiche richieste dei cittadini della Val di Susa, i quali  esigono rispetto e chiedono che la loro voce venga ascoltata dalle istituzioni. E’ finito il tempo dei grandi sprechi e del sacrificio dei territori sull’altare del profitto dei soliti noti: la manifestazione di sabato 23 ribadirà ancora una volta il NO al TAV della Val di Susa e di tutti i cittadini italiani che hanno a cuore la democrazia e un diverso modello di sviluppo: sostenibile, partecipativo ed equo”.

Il M5S Lombardia auspica un sereno dialogo fra istituzioni, forze di polizia e manifestanti che chiedono che la volontà dei cittadini della valle venga rispettata e tutelata fermando il TAV. Al riguardo il M5S Lombardia condivide la seguente dichiarazione del cittadino senatore Marco Scibona: “Se le forze dell’ordine ivi impiegate hanno sempre agito secondo la legge non devono avere alcun timore delle ispezioni parlamentari”.

Per informazioni:
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