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sabato 30 novembre 2013

Interrogazione – Consiglio di Zona 8 del 28 novembre 2013

Milano. In presenza di non pochi cittadini – in quest’aula – un presidente
di commissione ha detto: “Il consigliere Caroli non è all’opposizione,
non è nella maggioranza, è ibrido”.
Gli son grato del complimento. Chi, nel tentativo di essere utile ai
cittadini, usa sia il cuore che il cervello è certo un IBRIDO. Ben
riuscito, direi. Per contro, pochi giorni dopo, in quest’aula e davanti
ai cittadini, un consigliere – a freddo – mi ha apostrofato “TROMBONE!”.
Probabilmente si riferiva a quanto sto facendo – non certo a bassa voce -
contro la “VIA D’ACQUA”. Via che, evidentemente, lui brama.
CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE. Non avendo io replicato ha proseguito:
“SEI UN BUFFONE!”. Farebbe meglio a riflettere sugli…ONI che affollano
il direttivo del suo partito – già prefigurato il 18 giugno 1815 da CAMBRONNE.
Mentre i nostri parlamentari si arrabattano ferocemente per 4 mesi su
4 miliardi di tasse, la CORRUZIONE supera – a detta della Corte dei
Conti –i 60 miliardi annui e l’importo non scema nonostante la crisi.
La CORRUZIONE sta distruggendo irrimediabilmente il nostro PAESE.
Nella speciale classifica siamo stati superati anche da coprofagi e lotofagi.
E’ in suo nome che si acquistano – all’estero – bombardieri e sottomarini.
I primi serviranno a portare a spasso i generali con le consorti. E i secondi?
Forse, a cercarci quando saremo a fondo.
E’ in suo onore che si costruiscono autostrade, ponti, strade e VIE D’ACQUA
utili solo ad arricchire imprenditori (di pochi scrupoli), megadirigenti,
faccendieri e politici (con casacche variegate).
Il Responsabile del procedimento di un’opera pubblica percepisce –
legalmente, oltre al normale stipendio, l’uno virgola cinque per cento
del costo dell’opera. Più costa, più incassa.
Per la “VIA D’ACQUA” il maggior dirigente tecnico del Comune di Milano
incasserà, oltre ai 300 mila di stipendio, 1,35 milioni (di euro)!
E’ malizioso ipotizzare che il suo personale tentativo – ben riuscito a detta
del SOLE-24 ORE odierno – di dirottare nelle fauci di EXPO i 60 milioni
già stanziati dalla Provincia di Milano per la tramvia LIMBIATE-MILANO
COMASINA abbia un persistente profumo di “conflitto d’interessi”?
E’ peccato ipotizzare che – nel vasto ambito dell’EXPO – gli siano stati
assegnati altri “lucrosi” procedimenti?
In un recente passato abbiamo già dovuto constatare le voragini aperte
nelle pubbliche finanze dall’accoppiata MINISTRO LAVORI PUBBLICI –
COMMISSARIO STRAORDINARIO.
La cosa si sta ripetendo con una leggera variante. A dare la benedizione
non è più il VATICANO ma COMUNIONE E LIBERAZIONE.
Meditate gente, meditate.
 Luigi Caroli Consigliere di zona 8

Ps: nemmeno è difficile ipotizzare che, come avvenuto per MUSEO del NOVECENTO e RESTAURO del NAZIONALE, alla ditta di famiglia del “nostro” venga assegnato qualche incarico per il “RESTAURO del LIRICO”. A sora CARMELA sono bastate poche settimane sulla poltrona per “trovare” i 16,51 milioni necessari. Solo per iniziare ché LA MUSICA E’ SEMPRE LA

STESSA.

giovedì 28 novembre 2013

            
                             
Una poesia del poeta Ferruccio Brugnaro
sulla svendita dei beni pubblici, e sulle mani
voraci dei soliti lestofanti.
 

          
                RIFIUTO DELLE PRIVATIZZAZIONI

                       Non toccate l’acqua
                                       non toccate
                                            la sua luce.
                        Non vi basta
                                 ciò che già
                                        vi siete presi
                                                con violenza.
                        Non vi soddisfano ancora
                                                   gli sfregi
                                                     mostruosi
                                                brutali
                                             inferti alla terra.
                        I popoli sono stanchi
                                     delle vostre scorrerie
                                           delle vostre barbarie
                                delle vostre infamie.
                        Tenete lontane le vostre
                                                    sozze mani
                                              le infinite menzogne
                                                 dalle sorgenti
                                                                dai fiumi.
                        La notte è lunga e profonda
                                              non si vede giorno.
                                      Grande è
                                            il vostro sporco insaziabile
                                                         egoismo
                                      la vostra farneticante
                                            volontà di dominio
                                                    di terrore.
                                      La nostra sete d’amore
                                                  può esplodere
                                                  da un momento
                                                                all’altro.
                        Non mettete piede là
                                          dove sgorga la vita
                                  non toccate le fonti
                                              del sogno.


                                  Ferruccio Brugnaro (Mestre, Ottobre 2010)

lunedì 25 novembre 2013

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Una poesia di Calogero Di Giuseppe
in occasione della giornata contro 
la violenza sulle donne

Donna io sono… come te uomo…
Femmina io sono… come tu maschio…
Diversi nel sesso ma con lo stesso riflesso!
Diluvio nel cervello mio
Tsumani nel cervello tuo.
Calmati uomo la tua medaglia
È il riflesso della mia!

   Io non ti ucciderò

Nonna sei Tu… mia ava…
Madre Tu sei… bella e sacra.
Figlia Tu sei... per Te darei la vita!
Moglie e compagna seducente
Viluppo delle mie carni
Piacere del tuo piacere
Mente del mio corpo!...
Sanità della mia mente…

            Io non ti ucciderò!


Io t’amo e t’amerò…

Ti sedurrò
Ti adulerò
Mi prostrerò
E con l’amore che avrò
Sarai levitante Poesia
Vita e sogno dell’anima mia.

     Tu non mi ucciderai…

Io homo stupidus non t’ucciderò…
Noo… noo… nooo No!

Calogero Di Giuseppe             
23 Novembre 2013



domenica 24 novembre 2013

E VOI CHE NE PENSATE?

Da più parti si respinge l’ipotesi dell’introduzione del reato di negazionismo nell’ordinamento giuridico italiano: con le motivazioni principali che altrimenti si limiterebbe la libertà d’opinione, e si “accenderebbero animi” e creerebbero “màrtiri”.
            Al contrario, non trovo incompatibile con quelle motivazioni l’introduzione anche in Italia di quella figura di reato con la relativa sanzione: purché espressamente mirata al negazionismo della sola Shoah; diversamente, l’estensione del reato a altri tipi di genocidio rischierebbe di inquinarne la ratio e di ampliarne la portata in modo inversamente proporzionale all’efficacia.
            A questo punto, il “dibattito” (assumendo che sia possibile) con chi nega la Shoah - l’esistenza delle camere a gas, l’industrializzazione e specializzazione che fanno dell’evento un unicum tra i casi di sterminio nella storia, last but not least la negazione dell’autenticità di Il diario di Anne Frank - si porrebbe come uno strumento di dissuasione e prevenzione dell’illecito, ulteriore alla figura positiva di reato. Inoltre il dibattito potrebbe allargarsi a altri genocidi: anche se, per il principio di stretta legalità, non inseribili analogicamente nella fattispecie della figura del reato di negazione dell’Olocausto.
            Ritengo quindi che si può essere d’accordo con chi respinge l’introduzione del reato di negazionismo in senso generale, ma a favore del suo inserimento nell’ordinamento italiano purché con specifico riferimento alla Shoah.

Gianni Bernardini (Università di Siena)
                       


Il Vajont nel cuore di Milano

La mano alzata di un bimbo a chiedere “Perché?”, l'imbarazzo di un adulto chiamato a rispondere ad un difficilissimo quesito inatteso, reso ancora più tremendo per l'emozione, il dolore che si rinnovavano all'istante. Così è iniziato lo stravolgimento di un programma dettagliato, sommerso dall'onda della sofferenza individuale sfociata in un susseguirsi di interventi per raccontare di quei corpi martoriati ritrovati sotto il fango , di quelle cronache per quotidiani ,radio, televisioni quasi impossibili anche per le firme più autorevoli.

Giornalisti ed Alpini. Uomini di cultura e semplici cittadini.

Milanesi, Bellunesi, Friulani, Polacchi, Giapponesi, cittadini dell'hinterland, hanno occupato tutti i posti disponibili nella sala liberty del Circolo Filologico di Milano per ricordare, onorare, meditare la tragedia del Vajont.                                                                                                                    Mentre alle spalle  di Lucia Vastano, Luciano Pezzin e Tullio Filippin scorrevano le immagini di allora, l'interesse ed il desiderio di conoscere, capire aspetti taciuti per anni dell' ”evento” si accendevano; sui visi di molti del pubblico lo stupore, la perplessità, l'incredulità della persona onesta incapace di tollerare, sopportare un'impresa tanto deprecabile di soprusi perpetrati dai potenti nei confronti di una popolazione tranquilla, raggirata con promesse di sviluppo  turistico di quel territorio così avaro di soddisfazioni economiche.

Lacrime sulle gote di molti alla proiezione del documentario
girato nel periodo natalizio del 1963.

A Tullio Filippin il compito di spiegare l'antefatto: non una sterile sequenza di studi, eventi, divergenza di pensiero ma l'appassionato racconto della vita quotidiana della popolazione costretta a rinunciare alla propria casa, alla propria attività, alle proprie abitudini mentre le scosse di terremoto  sempre più frequenti rendevano difficile mantenere l'equilibrio nel proprio intimo e l'invaso su alla diga veniva forgiato; a Lucia Vastano, con la franchezza che la contraddistingue, il puntualizzare, completare, integrare i fatti citati da Filippin a tragedia avvenuta, nel lungo periodo in cui l'omertà, i l rimescolamento delle carte sembrava avere la meglio; a Luciano Pezzin, sindaco di Erto, il metter a nudo la tragedia nella tragedia, ovvero lo smembramento del paese di Erto la cui comunità chiamata a dover scegliere se restare ad abitare il paese o sfollare in altra località si è divisa, messe famiglie contro famiglie, devastato  ogni legame parentale ed affettivo.                           Ecco l'onda lunga del Vajont! Col suo cargo di silenzio, di verità nascosta, di sofferenza che si perpetua nelle generazioni di figli e nipoti i quali non hanno tombe autentiche su cui piangere e pregare, non hanno vecchie mura fra le quali ritrovare i ricordi di famiglia, ancora si abbatte all'improvviso sul cuore ,esonda nella mente. 
Chopin: agili ed abili dita accarezzano i tasti dell'antico piano, si diffondono le celebri note a completare l'armonia di un pomeriggio che non lascia spazio a distrazioni, a superficialità.            La maestria dell'interpretazione è dote di Chitose Matsumoto, musicista e soprano, rappresentante dei musicisti ospiti di Casa Verdi in un ideale continuum con le celebrazioni svoltesi a Longarone.               Non vi è tempo per la proiezione di altri filmati.  Milano stessa si eleva a protagonista dell'amore per una terra le cui ferite sono nella sua memoria, nel ricordo di serene vacanze, di amicizie perdute in quel mare di fango ladro consapevole di affetti del quale i Milanesi non riescono a rimuovere le immagini. Sono le foto di giovani sorridenti là fra i boschi del monte Toc, sul greto del Vajont che passano di mano in mano  mentre fra tutti si propaga l'invito a vegliare affinché non vi siano altri Vajont in nessun altro angolo di mondo: la loro esistenza terrena negata trova ora riscatto nel ricordo perenne di chi sfiora quei cartoncini in un gesto di tenere carezze."
Tiziana Faoro





venerdì 22 novembre 2013

Il comune secondo Sturzo
di Giovanni Bianchi
                
Un'assenza invasiva

È molto difficile imbattersi nella buona politica, ma è altrettanto problematico incontrare oggi la politica. Essa ci sfugge perché è dappertutto… La sua infatti è un'assenza invasiva, propiziata dal dilagare dei media e della comunicazione, dalla sincope delle notizie e dall'eccesso di talkshow ad essa dedicati. L'eccesso di politica parlata e di politica dell'immagine finisce per eliminare la politica pensata e capace di decidere. La pandemia di quello che Raffaele Simone ha catalogato come il "mostro mite". Lo scomodissimo Pansa ha scritto in Carta Straccia che i giornali – pur in una drammatica crisi di vendite – si sono oramai fatti tanto forti da poter parlare ai partiti della propria area da protagonisti. E non da organi di stampa al servizio di un blocco politico: si è cioè invertito il rapporto rispetto alla prima Repubblica, quando il giornale di partito fungeva da house organ della propria consorteria organizzata. (Leggi tutto l’articolo nella Rubrica “Segnali di Fumo”

giovedì 21 novembre 2013

Non l'acqua ma la malapolitica la causa dei disastri

Ignorati gli allarmi lanciati dall'ONU fin dal 2001 sull'effetto dei cambiamenti climatici sul ciclo idrico. Indispensabile rivedere tutti i piani di rischio e gestione dell'acqua ormai obsoleti.
Dirottare sulla salvaguardia del territorio le risorse miliardarie per F35, navi da guerra, TAV e grandi strade; ruolo centrale di Cassa Depositi e Prestiti.

Nel 2001 l'Intergovernmental Panel on Climate Change dell'ONU divulgava il terzo rapporto sui cambiamenti climatici redigendo una versione semplificata per i “policymaker”  in cui tutto quanto sta accadendo al ciclo idrico era ampiamente previsto (in particolare i risultati del secondo gruppo di lavoro, dal titolo "Climate Change 2001 - Working Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability" (http://www.grida.no/publications/other/ipcc_tar/). Dodici anni fa l'IPCC evidenziava l'aggravio di rischio per le inondazioni (in allegato l'incontrovertibile allarme contenuto nel riassunto per i policymaker) con cui chiedeva immediati interventi per bloccare le emissioni e mitigare i primi effetti negativi dei cambiamenti climatici.

Per tutta risposta i nostri lungimiranti “policymaker”, i decisori dei governi, compreso l'ultimo, hanno risposto con condoni (quello di Berlusconi del 2004), facilitazioni per i cementificatori (dal piano casa alla defiscalizzazione per le grandi opere stradali) fino ad arrivare, con il Governo Letta, con l'incredibile azzardo della concessione dell''agibilità parziale degli edifici non completati contenuto nell'ultimo decreto del FARE.

Ancora pochi anni fa mentre gli ambientalisti e i movimenti sociali, chiedevano urgenti misure per bloccare il collasso del pianeta, il Parlamento Italiano votava una mozione che metteva in dubbio i cambiamenti climatici. La Giunta Regionale sarda del governatore Cappellacci ha fatto di tutto per cancellare il Piano di tutela delle Coste, anche con decisioni prese pochi giorni prima l'alluvione! E pensare che lo stesso Governatore Cappellacci dal 21 settembre 2012 è Presidente della Commissione ENVE (Commission for the environment, climate change and energy).

Ora i risultati di questa malapolitica sono sotto gli occhi di tutti, il re è nudo.

Dopo il disastro di Sarno, le regioni hanno sì predisposto piani sul rischio alluvione con le relative zonizzazioni, ma si sono basate su dati di portate e di precipitazioni spesso dell'inizio del secolo scorso, quando il regime delle piogge è stato completamente stravolto negli ultimi due decenni. Lo stesso si dica dei Piani di gestione delle acque e dei Piani di Distretto Idrologico, i principali strumenti di gestione dell'acqua che spesso non tengono in alcuna considerazione gli effetti di cambiamenti climatici. I consulenti di uno degli ultimi piani ancora in fase di approvazione, quello dell'Abruzzo, davanti alle rimostranze degli ambientalisti che ricordavano gli appelli della stessa Commissione Europea per introdurre misure di mitigazione e adattamento, sono arrivati adirittura a negare l'esistenza delle modificazioni del clima. Si consideri che i piani di protezione civile spesso si basano sulle previsioni di questi strumenti ormai obsoleti. Basti pensare all'aumento delle superfici da vincolare con l'aumento delle portate dei fiumi quando vi sono questi fenomeni così intensi e alle gestione dell'acqua in caso di siccità. Anche le luci di molti ponti non sono più sufficienti a smaltire le ondate di piena i cui picchi sono sempre più estremi.

Il Forum dei Movimenti per l'Acqua chiede a gran forza, oltre ad una riduzione significativa nelle emissioni di gas serra in Italia, una profonda ed immediata revisione di questi piani affinché prendano atto delle modifiche del regime idrologico determinate dai cambiamenti climatici, introducendo misure di mitigazione ed adattamento con l'individuazione delle nuove aree a rischio e l'introduzione di vincoli assoluti di inedificabilità. Ancora oggi molti piani consentono escamotage per la realizzazione, come sta accadendo a L'Aquila (!) con l'ANAS, di grandi infrastrutture stradali da decine di milioni di euro in aree già oggi a rischio di esondazione. Basta un'autocertificazione sostenendo che non è possibile delocalizzare la nuova opera!
Lo stesso IPCC ha diffuso recentemente un nuovo studio sull'argomento Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation, IPCC 2012” (http://www.ipcc.ch/pdf/special-reports/srex/SREX_Full_Report.pdf.)

Purtroppo in Italia i pochi interventi sul dissesto sono spesso realizzati cementificando ulteriormente il territorio senza utilizzare tecniche di ingegneria naturalistica e senza rispettare i corsi d'acqua. Basti pensare alle cosiddette “pulizie” degli alvei con ruspe che distruggono la preziosa vegetazione ripariale che non fanno altro che aumentare i problemi aggravando l'erosione e modificando il trasporto solito. I fiumi devono avere spazi sufficienti, questa è la strada maestra da seguire, delocalizzando case e infrastrutture dove necessario.

In ogni caso le iniziative di gestione e prevenzione del rischio nonché la riformulazione dei piani deve prevedere il coinvolgimento dal basso dei cittadini e la partecipazione, anche per migliorare le conoscenze delle persone rispetto ai rischi presenti sul loro territorio. Ad esempio, la compravendita delle abitazioni dovrebbe essere realizzata avendo consapevolezza della categoria di rischio del territorio interessato, facilitando l'accesso alle informazioni, come mappe, piani e studi, da parte delle comunità che spesso ne ignorano l'esistenza.


I fondi per gli interventi necessari devono arrivare togliendo i finanziamenti a TAV, F35, navi da guerra (con la previsione di centinaia di milioni di euro all'anno previsto nella legge di Stabilità oggi in discussione) e grandi superstrade e strade. Inoltre un ruolo centrale deve giocarlo la Cassa Depositi e Prestiti. 
Il disastro sardo è frutto di incuria e malapolitica.
La tutela del territorio unica grande opera necessaria per il paese

Roma. Analizzando le politiche nazionali e quelle territoriali appare chiaro come disinteresse e incuria siano i veri responsabili del disastro generato in Sardegna dagli eventi atmosferici.La Giunta Regionale di Cappellacci in particolare si è dimostrata sorda ad ogni istanza e ha fatto di tutto per cancellare il Piano di tutela delle Coste nonostante lo stesso Governatore sia paradossalmente Presidente della Commissione ENVE (Commission for the environment, climate change and energy). L'unica misura adottata in Italia negli ultimi anni è stata la revisione dei piani sul rischio alluvione in seguito al disastro di Sarno. Ebbene, anche in quel caso è stata l'approssimazione a guidare i nostri governanti e i nuovi piani si basano su dati di inizio 900 nonostante il regime delle piogge sia completamente cambiato negli ultimi due decenni. Lo stesso si dica dei piani di gestione delle acque e dei piani di Distretto Idrologico, i principali strumenti di gestione dell'acqua che spesso non tengono in alcuna considerazione gli effetti di cambiamenti climatici e i ripetuti allarmi lanciati dall'Onu. Infatti sin dal 2001 l'Intergovernmental Panel on Climate Change divulgava il terzo rapporto sui cambiamenti climatici redigendo una versione semplificata per i “policymaker” in cui tutto quanto sta accadendo al ciclo idrico era ampiamente previsto (in particolare i risultati del secondo gruppo ddi lavoro, dal titolo "Climate Change 2001 - Working Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability" (http://www.grida.no/publications/other/ipcc_tar/). Dodici anni fa l'IPCC evidenziava l'aggravio di rischio per le inondazioni (in allegato l'incontrovertibile allarme contenuto nel riassunto per i policymaker) con cui chiedeva immediati interventi per bloccare le emissioni e mitigare i primi effetti negativi dei cambiamenti climatici. Il Forum dei Movimenti per l'Acqua chiede una profonda ed immediata revisione di questi piani e una nuova politica di tutela del territorio. La tutela del patrimonio idrogeologico è l'unica grande opera di cui il Paese ha bisogno, si dirottino su questa emergenza i fondi per TAV, F35, navi da guerra, grandi superstrade e per tutte quelle opere, dannose oltre che inutili, che stanno riducendo il nostro paese a luogo di continua emergenza idrogeologica.
 Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua



Processo Quirra, la decisione di rinvio a giudizio è rimandata
al 4 giugno 2014, ennesima proroga alla superperizia inutile e dilatoria.


Sardegna. Nessuna sorpresa ma tanta indignazione. Gettiamo le Basi, purtroppo, è stato facile profeta. L’iter intrapreso è chiaro: addormentare l’opinione pubblica con la solita sceneggiata dell’indagine scientifica infinita, far cadere nel dimenticatoio l’affaire Quirra, raggiungere il traguardo della prescrizione dei reati.  Le nostre nere profezie, rese pubbliche lo scorso17 marzo, purtroppo, sono state suffragate a distanza di pochi giorni dall’ancora più cupo scenario delineato dal PM Fiordalisi nella Memoria del 27/3  che segnala l’alto grado di probabilità che l’indagine peritale possa portare via anni e i reati contestati a otto imputati cadano in prescrizione, afferma l’esigenza che l’indagine deve essere svolta in modo razionale e pertanto deve essere configurata  in base alle esigenze ed ai tempi di un normale procedimento penale, quindi, si giustifica solo se dura dei mesi, non anni come il PM teme. E sintetizza chiedendo il sequestro dell'intero poligono. Richiesta respinta! 
Comitato Sardo Gettiamo Le Basi
(Leggi l’intero articolo nella Rubrica “Segnali di Fumo”)

mercoledì 20 novembre 2013

Le spine della “quarta libertà”
di Giovanni Bianchi

Il cancro della burocrazia che cronicizza il disordine
e sfibra la democrazia, in questi primi appunti di Giovanni Bianchi.
Un ottimo avvio per un dibattito


Nelle stagioni del Leviatano campeggia l'autunno. E l'autunno del Leviatano vuol dire il prevalere della burocrazia. Intorno ad essa si affannano insieme le definizioni e le critiche. Perché forte è il bisogno, accresciuto dalla crisi, della "quarta libertà". Compito arduo e complicato. Dal momento che la missione di breve periodo per radicare ed accrescere la quarta libertà comporta di ridisegnare lo Stato, le Regioni e gli enti locali – come espressione della comunità e non dei governanti – in una dimensione di governabilità basata sulla fiducia scaturente dall'uso imparziale e trasparente del rapporto tra burocrazia e democrazia, tra amministrazione e politica… (Leggi  il pezzo intero nella Rubrica “Segnali di Fumo)
IL TEATRO DELLE DONNE
Associazione culturale non ai fini di lucro fondata a Milano nel 2003

In occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE
DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Invita poetesse e poeti a partecipare con le proprie poesie contro la violenza sulle donne
 il 21 novembre ore 18  al Cam Garibaldi in corso Garibaldi n.27 Milano.
Info. Leparoledelledonne@libero.it

Tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno. L'Assemblea Generale dell'ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. In Italia solo dal 2005 alcuni centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata. Ma negli ultimi anni anche istituzioni e vari enti come Amnesty International festeggiano questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali. Nel 2007 100 000 donne (40 000 secondo la questura) hanno manifestato a Roma "Contro la violenza sulle donne", senza alcun patrocinio politico. È stata la prima manifestazione su questo argomento che ha ricevuto una forte attenzione mediatica, anche per le contestazioni che si sono verificate a danno di alcuni ministri e di due deputate.[1]                                                                                                    Dal 2006 la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna promuove annualmente il Festival La Violenza Illustrata, unico festival nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ormai centinaia di iniziative in tutta Italia vengono organizzate in occasione del 25 novembre per dire no alla violenza di genere in tutte le sue forme.

*. Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono torturate, massacrate a colpi e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. L'assassinio delle sorelle Mirabal è ricordato come uno dei più truci della storia dominicana.

Teatro delle Donne

IL FUMO DISTENDE

L’articolo che qui pubblichiamo fa apertamente l’apologia del fumo. L’angolazione, diciamo così culturale, è quella della visione liberale che fa dell’individuo arbitro del proprio destino e delle libertà personali un valore assoluto e intangibile. Tutto molto giusto. Un uomo deve essere libero di scegliere come vivere e anche come suicidarsi, quel che conta è che non leda i diritti e le libertà degli altri. Ma dobbiamo anche sapere che detentori del monopolio dei tabacchi in tutto il mondo sono gli Stati e le multinazionali; come lo sono del mercato criminale delle armi e delle droghe. Dobbiamo sapere anche quali e quanti mezzi abbiano a disposizione per la persuasione occulta o palese che sia; sfacciatamente spalancata o perfidamente subliminale. Questo per ridimensionare l’illusione che l’individuo scelga i propri bisogni e i propri desideri in maniera totalmente libera e consapevole. Per il momento non entriamo in merito al peso delle tradizioni e degli stili culturali; alla merda che i produttori di tabacchi (quelli industriali) mettono nelle sigarette per procurare dipendenza, né nelle fosse dei ben forniti cimiteri che ogni anno in tutto il mondo il fumo aiuta a concimare. Chi ha avuto dei morti in famiglia, chi ha visto un discreto numero di amici (intelligenti e colti) finire miseramente divorati dall’asma che li piegava in due e dalle metastasi che se li sono inghiottiti, probabilmente nutre altre visioni. Ma la libertà prima di tutto. E se libertà deve essere è giusto che siano tutelati sia i fumatori che i non fumatori; sia gli adulti che i bambini; sia i sani che i malati: su questo non ci possono essere dubbi di sorta, altrimenti i princìpi liberali vanno a farsi fottere. Dunque, nelle società organizzativamente articolate come le nostre, non si possono garantire questi princìpi, se non si procede ad una vera e propria “apartheid”. Un autobus per fumatori e uno per non fumatori; una classe per studenti fumatori e una per non fumatori; una camerata ospedaliera per fumatori e una per non fumatori… Potete continuare voi stessi il noioso campionario per ogni aspetto della vita sociale. Quanto alla sfera privata, beh, anche qui dovremmo attrezzarci per la difesa dei princìpi individuali: una casa per i fratelli fumatori e una per i non fumatori. Ovviamente occorrerà una misura di tutela per i figli minori di coppie fumatrici, fino al compimento della maggiore età; si potrebbero affidare alla tutela di un organismo neutro, dove i genitori si potrebbero recare per incontrarli con la sigaretta spenta. Sono sicuro che con un po’ di buona volontà l’aspetto organizzativo si risolverà facilmente. Ciascuno ne avrà il suo vantaggio: i fumatori potranno godersi in santa pace la loro dose di veleno quotidiano senza doversi sentire in colpa; i non fumatori eviteranno di farsi intossicare; le multinazionali del tabacco potranno continuare a prosperare; i cimiteri a riempirsi; un buon numero di fumatori a gravare sul Servizio Sanitario Pubblico, e lo Stato impiegare una parte dei 14 miliardi che incassa dal monopolio del tabacco, per curarli. Ci sarà anche un altro sostanzioso vantaggio: un bel numero di cretini che siede in Parlamento, avrà più tempo per occuparsi di questioni meno impegnative, che so, magari dei rifiuti tossici interrati in mezza Italia dalle mafie e del segreto di Stato che li ha ricoperti. Ma voi che dite, si può fare conto sui cretini?


L’8 ottobre il Parlamento Europeo ha votato a Strasburgo la direttiva europea sul tabacco: i pacchetti saranno ricoperti al 65% da foto scioccanti, il mentolo sarà bandito entro il 2022 e spariranno i pacchetti da 10 sigarette. Restrizioni anche sulle sigarette elettroniche che però non saranno “confinate” nelle farmacie. Non verranno invece proibite le sigarette slim. Ora sarà il Consiglio dei Europeo dei Ministri a esprimersi e l’adozione definitiva è attesa entro la fine dell’anno.
Le associazioni della filiera, a partire dalla Federazione italiana tabaccai, hanno protestato contro un provvedimento che, secondo il presidente della Fit Giovanni Risso, sarebbe «distruttivo per l'intero settore e non distoglierebbe le persone dal
fumo ma incentiverebbe l'illegalità».
Risso non è il solo a pensarla così. Da una recente ricerca, condotta dal comitato Save the Choice- attivo nella difesa delle libertà personali e nella campagna contro la direttiva europea sul tabacco, per la quale ha raccolto oltre 20firme inviate direttamente agli euro deputati- in collaborazione con la società specializzata Populus, su un campione rappresentativo di 1008 italiani, emerge che il 68% degli intervistati sostiene che rendere illegali alcune tipologie di sigarette incrementerà il mercato nero e il 52% reputa che l’estensione di norme restrittive sul fumo da parte della Ue evidenzierebbe lo scollamento dalle esigenze della gente comune.
A Montecitorio, nel frattempo, si è formato un intergruppo di 50 parlamentari guidato da Walter Verini (Pd), secondo il quale questa direttiva «colpisce un tabacco, quello italiano, di grande qualità. Che dà lavoro a una filiera che raccoglie circa 200mila addetti».
Martedì 12 novembre Save the Choice e Gruppo Ppe al Parlamento Europeo hanno organizzato, presso la sede del Parlamento Europeo a Roma, la tavola rotonda dal titolo “L’Italia e la direttiva europea sul tabacco. Come conciliare libertà d’impresa e tutela della salute”, nel corso della quale è emerso un “no” unanime al testo europeo da parte di istituzioni e rappresentanti delle categorie produttive. E lo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ha dichiarato a Save the Choice, in occasione del convegno, che «il provvedimento europeo ha presentato alcuni aspetti critici sul ravvicinamento delle disposizioni in materia dei prodotti da tabacco e correlati».
Durante la tavola rotonda, Paolo Bartolozzi della Commissione Ambiente, Sanità e Consumatori del Parlamento Europeo ha affermato: «si è trattato di una misura demagogica. L’Unione Europea dovrebbe informare i consumatori dei rischi connessi al fumo e non incanalare il cittadino verso la 'scelta giusta', come quando si parlava di curvatura delle banane e circonferenza delle zucchine». Oriano Gioglio, presidente di Unitab, ha sottolineato invece le responsabilità dell’Esecutivo: «finora il ruolo del Governo è stato assai debole, come se chi opera nel settore non fosse un degno interlocutore». L’eurodeputata Erminia Mazzoni, presidente Commissione petizioni del Parlamento Europeo, ha stimolato l’Italia «a recuperare la sua identità a fronte di criticità nel testo che penalizzerebbero segnatamente la produzione del nostro Paese». Per il deputato Ignazio Abrignani, vicepresidente della Commissione Attività produttive, «la manifattura italiana del tabacco è un'eccellenza nel mondo ed è dovere della politica difenderla» e l’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Franco Manzato ha definito la direttiva «penalizzante per la sua Regione».
Secondo il comitato Save the Choice, di cui sono la portavoce, il testo uscito dal Parlamento Europeo mantiene alcune criticità: dal rischio di divieto totale degli additivi alla questione della tracciabilità che comporterebbe costi mastodontici per le piccole e medie imprese. Purtroppo prevale un approccio punitivo verso una filiera che solo in Italia impiega 190mila persone e che nel 2012 ha dato 14,2 miliardi di euro allo Stato italiano. Adesso nella fase del “Trilogo” spetterà al Governo italiano prendere posizione in seno al Consiglio dell’Ue. Vorrà assecondare la furia salutistica e illiberale di certe frange estremiste o difenderà le ragioni della libertà e della tutela di un'eccellenza italiana? Ci auguriamo la seconda.

Annalisa Chirico
Portavoce Save the Choice


CHI È SAVE THE CHOICE

Save the Choice è un comitato indipendente e trasversale agli schieramenti politici che nasce dall’incontro di persone che, pur con esperienze e competenze differenti, hanno in comune la passione per l’Europa e le libertà individuali. E’ attivo in campagne di informazione e di sensibilizzazione- da ultime quella sull’agenda digitale e la direttiva europea sui prodotti del tabacco- e promuove petizioni su temi specifici che sono aperte all’adesione singola, indipendentemente dal sostegno al comitato. La filosofia di Save the Choice si basa sull’assunto che il compito delle istituzioni non sia quello di fare da balia ai cittadini, ma garantire le informazioni e i controlli necessari per poter esercitare la libertà di scelta. Sempre con la massima tutela delle diversità e i diritti di tutti, sia delle minoranze sia delle maggioranze.
Save the Choice vuole essere un punto di informazione, discussione e azione, a partire dalla libertà di scelta, dal momento che la decisione su cosa produrre, acquistare e consumare concerne la sfera personale di ciascuno di noi, così come l’accesso alle professioni e ai servizi, la tutela della privacy e delle informazioni che riguardano tutti noi. Il comitato conta, tra i suoi sostenitori, le fondazioni Magna Carta, Italianieuropei, Formiche e l’adesione di numerose istituzioni liberali.
I suoi fondatori sono Salvatore Bruno, Segretario Generale della Federazione Italiana Cuochi, Annalisa Chirico (portavoce comitato) curatrice del blog “Politicamente scorretta” su Panorama.it, Antonio Dalle Rive, alla guida dell’agenzia di comunicazione Anyway, Alberto Gambescia, direttore della Fondazione Mezzogiorno Europa e membro dell’Advisory Board della Fondazione Italianieuropei, Flavia Giacobbe, giornalista professionista e direttore responsabile della rivista Formiche, Francesca Traldi, responsabile Relazioni istituzionali ed Internazionali presso la Fondazione Magna Carta.

Info www.savethechoice.it








Non lasciamolo solo, Vogliamo Giovanni Libero

Giovanni Lo Porto è un cooperante rapito in Pakistan il 19 gennaio 2012 insieme ad un collega tedesco. Giovanni lavorava a Multan per un progetto di aiuto umanitario a favore di centinaia di famiglie in grave difficoltà, dopo le devastanti alluvioni che hanno colpito la zona di Kot Addu nella provincia del Punjab.
Un gruppo armato ha fatto irruzione nell’edificio dove lavorava e viveva con altri colleghi e lo ha sequestrato. Da allora non ci sono più notizie significative sulla sua vicenda.
Il mondo del terzo settore e le ONG hanno scritto una lettera ai Presidenti Napolitano e Letta perché Giovanni possa finalmente tornare a casa.
____________________
Signor Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
Signor Presidente del Consiglio Enrico Letta
Rompiamo il silenzio su Giovanni Lo Porto,  rapito in Pakistan il 19 gennaio del 2012.
Giovanni è stato rapito una sera di 21 mesi fa a Multan, nel Punjab pakistano, dopo una giornata di lavoro. Quattro persone armate hanno fatto irruzione nella casa dove alloggiava con i colleghi e lo hanno portato via insieme ad un altro cooperante tedesco. Quando è stato rapito, Giovanni era in Pakistan con l’organizzazione non governativa Welt Hunger Hilfe. Era partito da pochi giorni da Palermo, sua città natale, per portare cibo e ricostruire case a favore di migliaia di persone colpite dal devastante terremoto e dall’alluvione del 2010.
Quello di Giovanni, al pari di molti altri operatori umanitari, è un aiuto concreto, svolto con competenza e impegno. Attraverso il loro lavoro l’Europa, l’Italia, noi tutti riusciamo ad esprimere solidarietà e soccorso vero alle persone più svantaggiate del mondo, quelle che rischiano la vita, colpite da calamità naturali e devastanti conflitti.
Giovanni è la faccia di un’umanità che si sente unita, che supera i confini, le distanze, i pregiudizi per ribadire che ogni uomo ha diritto ad una vita dignitosa. Gli occhi di Giovanni sono i nostri occhi che non si chiudono e decidono di vedere le difficoltà delle persone più vulnerabili; sono le nostre mani che scelgono di agire per rendere il nostro un mondo più accogliente per tutti, anche per i più umili e dimenticati.
Non lasciamo solo Giovanni. Rompiamo il silenzio che è normalmente richiesto in situazioni delicate come questa, per inviare questo appello a voi, signor Presidente della Repubblica e Signor Presidente del Consiglio, affinché si facciano tutti gli sforzi possibili per riportare finalmente a casa Giovanni, restituirlo alla sua famiglia, a tutti noi e alla certezza che impegnarsi per un mondo più umano è giusto ed è possibile.
 Silvia Stilli, Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI)
Maria Egizia Petroccione, Coordinamento Italiano Network Internazionali
Paolo Dieci, Link 2007 Cooperazione in Rete

Pietro Barbieri, Forum nazionale Terzo Settore

DONNE IN PERICOLO

Donne velate,
Occhi, solo occhi
Neanche gli occhi
dietro una grata
Occhi di clausura
Fantasmi d’Oriente.
Donne nascoste, segregate
nei tuguri o nelle gabbie dorate
Murate vive
Fantasmi viventi Prigioniere e schiave.
Donne sfregiate al vetriolo, assassinate
sulla pubblica piazza, sangue innocente.
Infibulate, lapidate, bruciate.
Non è solo l'Oriente,
donne stuprate, violate, seviziate, uccise.
Il Medio Evo barbarico rivive
ancora nelle nostre società progredite:
né chador, né burqa, donne senza veli, libere
vanno incontro a maschi fuori controllo
regrediti allo stato di belve feroci, cresciuti col germe
del razzismo, il loro peccato originale.
Donne in pericolo, il capro espiatorio, la violenza,
scoppiano all'improvviso virus latenti
serpeggiano nelle notizie sui giornali,
adolescenti assalite da sconosciuti
singoli o in gruppo. E non è raro che
la nostra paura, il dubbio siano
nelle mani di chi ci dorme a fianco.
Assassinate in fuga, corpi coperti
da un velo pietoso.
Viaggio a ritroso. Fruscii, corse, grida, lamenti
fantasmi di un passato remoto
inquietano tutte le donne del mondo.

Graziella Poluzzi

lunedì 18 novembre 2013

Mare Monstrum, guerra ai migranti nel Mediterraneo
di Antonio Mazzeo

Messina. Nel Mediterraneo l’Italia fa la guerra ai migranti. Non dichiarata, certo, ma di guerra indubbiamente si tratta. Perché le strategie, gli attori, gli strumenti, le alleanze e le modalità d’intervento sono quelli di tutte le guerre. E causano morte. Morti, tanti morti.
Qualcuno ha storto il muso per il nome, Il nome, Operazione Mare Nostrum. Si è detto che c’era una caduta di stile, un voler scimmiottare i fausti dell’impero romano. In verità esso risponde perfettamente al senso e agli obiettivi della messinscena ipermuscolare delle forze armate italiane. Il Mediterraneo, per la Fortezza Europa, non è né deve essere un mare di mezzo. Non è il luogo dei contatti, delle contaminazioni, delle solidarietà, delle trasformazioni. Né un ponte di intercultura e pace. È invece il lago-frontiera, noi qua, loro là, un muro d’acqua invalicabile, dove vige la regola del più forte e del più armato. Un’area marittima di conflitti, stragi, naufragi causati, respingimenti, riconsegne e deportazioni manu militari. A chi scampa ai marosi e ai mitragliamenti delle unità navali nordafricane (pagate con i soldi italiani) spetta l’umiliazione delle schedature, delle foto segnalazioni e degli interrogatori a bordo di fregate lanciamissili e navi anfibie e da sbarco. Poi un trasbordo, un altro trasbordo ancora, le soste interminabili su una banchina di un porto siciliano, il tragitto su bus e pulmini super scortati da poliziotti e carabinieri sino alla detenzione illimitata in un centro di prima accoglienza -CIE-CARA, un non luogo per non persone, dove annientare identità, memoria, speranze.
L’Operazione Mare Mostrum fu annunciata dal ministro Mario Mauro dopo la strage del 3 ottobre, quando a poche miglia da Lampedusa annegarono 364 tra donne, uomini e bambini provenienti dal continente africano e dal Medio oriente. Anche stavolta però l’incidente fu un mero casus belli. La nuova crociata contro chi fugge dalle ingiustizie, lo sfruttamento, gli ecocidi, era stata preparata infatti da mesi in tutti i suoi dettagli. Governo e Stato maggiore hanno rispolverato ad hoc l’armamentario linguistico delle ultime decadi: operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita, perché le guerre non devono mai essere chiamate con il loro nome per non turbare l’opinione pubblica e la Costituzione. “Si prevede il rafforzamento del dispositivo italiano di sorveglianza e soccorso in alto mare già presente, finalizzato ad incrementare il livello di sicurezza della vita umana ed il controllo dei flussi migratori”, recita il comunicato ufficiale di Letta & ministri bipartisan. Un contorto giro di parole per mescolare intenti solidaristici a logiche sicuritarie e repressive, dove volutamente restano vaghi i compiti e le istruzioni date ai militari. Niente regole d’ingaggio, perché si possa di volta in volta sperimentare in mare se e come intervenire, se e come soccorrere, se e come allontanare, respingere o scortare a quei “porti sicuri” che il ministro Alfano ritiene esistano pure nella Libia dilaniata dalla guerra civile.
In compenso però, in nome del Sistema Italia, non si contano le veline per descrivere in tutti i loro dettagli i dispositivi e le capacità tecniche dei mezzi impiegati per pattugliare il Mediterraneo. Anche perché, Mare Mostrum, è la migliore vetrina del complesso militare-industriale-finanziario di casa nostra: aerei, elicotteri, missili, unità navali, sommergibili, cannoni che aspiriamo a vendere ai paesi NATO e ai regimi partner della sponda sud mediterranea. Sistemi d’arma che nulla hanno a che fare con quello che in linguaggio militare si chiama “SAR – Search and Rescue”, ricerca e soccorso in mare, ma che invece delineano un modello di proiezione avanzata, aggressiva, di vera e propria penetrazione sino a dentro i confini degli stati nordafricani. Se si vogliono “arrestare i flussi migratori”, come spiegano generali, ammiragli, politici di governo e opinion maker embedded, bisogna impedire infatti a profughi e migranti di raggiungere le coste e le città portuali. Bloccarli nel deserto, detenerli nei lager del deserto e far fare il gioco sporco alle nuove polizie di frontiera che i Carabinieri armano e addestrano in Libia e nelle caserme in Veneto, Lazio, Toscana. Per intercettare e inseguire i rifugiati e  i migranti in transito nel Sahara abbiamo attivato i famigerati “Predator”, aerei senza pilota in grado di volare per decine di ore in qualsiasi condizione meteorologica. L’emblema della spersonalizzazione e della disumanizzazione delle guerre del XXI secolo, automi che spiano e sterminano persone senza il controllo umano. Vittime invisibili che devono restare invisibili. Non persone contro non persone.

Come tutte le guerre, quella ai migranti dilapida ingenti risorse finanziarie. Fonti di stampa filogovernative hanno previsto per l’Operazione Mare Nostrum-Mostrum un onere finanziario di circa 4 milioni di euro al mese ma, conti alla mano, la spesa potrebbe essere più che doppia. Il Sole 24 Ore ha preso a riferimento le “tabelle di onerosità” sul costo orario delle missioni delle unità navali, degli aerei e degli elicotteri impegnati nel Canale di Sicilia. Aggiungendo le indennità d’imbarco dei circa 800 marinai delle unità navali coinvolte (il personale militare destinato al “contenimento” delle migrazioni è però di non meno di 1.500 uomini), il quotidiano di Confindustria ha calcolato una spesa media giornaliera di 300 mila euro, cioè 9 milioni al mese a cui vanno aggiunti 1,5 milioni di euro per le unità costiere già in azione da tempo: totale 10,5 milioni. La rivista specializzata Analisi Difesa ritiene invece che la spesa complessiva sfiorerà i 12 milioni al mese. Dato che il governo non ha previsto stanziamenti aggiuntivi sul capitolo “difesa”, è presumibile che il denaro per alimentare la macchina militare anti-migranti sarà prelevato dal fondo straordinario di 190 milioni di euro messo a disposizione per far fronte alla nuova emergenza immigrazione. Come dire che da qui alla fine dell’anno bruceremo in gasolio e pattugliamenti aeronavali il 20% di quanto è stato destinato per “sostenere”, “soccorrere” ed “accogliere”. In perfetto stile shock economy, dopo le armi e le guerre arriva la ricostruzione: lager e tendopoli dove stipare corpi a cui abbiamo rubato l’anima, la cui mala gestione è affidata alla misericordia di cooperative, Onlus e associazioni del privato sociale. A loro va l’altra metà del business migranti: un affaire di milioni e milioni di euro dove la dignità dell’uomo vale meno di nulla.

sabato 16 novembre 2013

IL RIFIUTO E' VITA!



AVETE ROBA VECCHIA MA IN BUONO STATO? 
NON BUTTATELA, PORTATELA DA NOI.

Ritiriamo: indumenti pesanti, coperte, sacchi a pelo, sciarpe, scarpe, indumenti, biancheria, CD/DVD, piccoli elettrodomestici usati ma funzionanti, giocattoli per bambini in buono stato e funzionanti, libri.

Ci saranno banchetti del MoVimento 5 stelle dislocati in tutte le zone della città.

Le associazioni Provvederanno in seguito a distribuire ai più bisognosi gli indumenti e gli oggetti raccolti.

Questa iniziativa si colloca nell'ambito della nostra strategia: "Rifiuti Zero". Il M5S si batte da sempre infatti per una soluzione sostenibile al problema dei rifiuti attraverso la promozione di quelli che noi riteniamo siano i punti fondamentali per affrontare la questione ovvero le famose 7 R: Riduzione, Riuso, Riciclaggio, Riparazione, Ricerca, Riprogettazione, Responsabilità. 

Di seguitole zone dove si trovano i centri di raccolta:


Zona
Sabato 16 Novembre
Domenica 17 Novembre
1
Piazza Resistenza Partigiana angolo corso Genova (fronte Cucchi) dalle 9 alle 19

2
Piazza Martesana (angolo viale Monza) dalle 9 alle 19

3
Via Crescenzago angolo via Durazzo dalle 10 alle 14
Piazza Don Borotti 5 e via Pisani Dossi dalle 10 alle 14
4
Piazza Medaglie d'Oro (lato Mariposa) dalle 9 alle 19
Piazza Medaglie d'Oro (lato Mariposa) dalle 9 alle 19
5
Via dei Missaglia (angolo via Boifava - Billa) dalle 10 alle 19

6
Piazza Frattini (fronte supermercato SMA) dalle 10 alle 18
Piazza Frattini (fronte supermercato SMA) dalle 10 alle 13
7
Piazza De Angeli (angolo Via Marghera) dalle 9 alle 19
Piazza De Angeli (angolo Via Marghera) dalle 9 alle 19
8
Piazza Gramsci (angolo via Procaccini) dalle 9 alle 19
Gramsci (angolo via Procaccini) dalle 9 alle 19
9

Piazzale Maciachini angolo via Menabrea dalle 9 alle 19

venerdì 15 novembre 2013

IN DIFESA DELLA LAICITÀ

Cari lettori,
questo è un piccolo brano del lungo documento che Gianni Bernardini
dell’Università di Siena, ha approntato per il nostro giornale.
Visto l’importanza dell’argomento, ve ne consiglio la lettura integrale
nella Rubrica  “IL LATO ESTREMO”.
Fatelo girare fra i vostri contatti e fatene un uso più ampio possibile.
(Il Direttore)


Le “nuove regole” della laicità nelle scuole francesi.
Prospettive e problematiche
di Gianni Bernardini (Università di Siena)
0. All’inizio di settembre 2013 e dell’anno scolastico, il ministro francese dell’educazione, Vincent Peillon, ha fatto affiggere in tutte le scuole pubbliche del paese un manifesto (nel senso sia tipografico, sia di scritto programmatico), la Charte de la laïcité à l’école, contenente - detto ora schematicamente - indicazioni tendenti anzitutto a definire i limiti della/e religione/i nell’àmbito scolastico.
            Lo scopo di questo mio articolo vuole essere, prevalentemente, quello di fare un punto su un fatto, e provocare eventualmente un dibattito; piuttosto che trarre conclusioni. Mi propongo, quindi, un intervento soprattutto descrittivo. L’avvenimento oggetto dell’articolo, è appunto la decisione di Peillon di distribuire la Charte nelle scuole, e contestualmente il documento stesso. Più in particolare, vorrei soffermarmi, tra l’altro, sui seguenti punti problematici che emergono nella Charte: a) il paradossale vulnus allo stesso laicismo (nel nome di una “religione repubblicana”); b) un attacco “mirato” all’islamismo; c) una prosecuzione (sia pure) parziale della rivoluzione francese, o meglio un suo “completamento”  (con riferimento, anche, alla opportunità/necessità di una “religione repubblicana” - di cui sub a) -).
            Da parte mia, mi limito, ora, a osservare che la Charte può avere tuttavia una sua precisa funzione e riaffiorante utilità; nel proporsi almeno come promemoria “minimo” per obiettivi, se non altro, in gran parte condivisibili, e come una metodologia per il loro raggiungimento; pure essendo composta con una scrittura di una semplicità che si potrebbe definire, (forse troppo) facilmente, quasi disarmante, nella quale sono formulati princìpi che appaiono tuttaltro che inediti; al punto di sembrare anche, in una parola, come introiettati nei lettori (che li approvino, oppure li avversino). Ci si riferisce, specificamente, a target forse “attualmente” trascurati, o ritenuti rifiniture quasi superflue; solo optional rispetto a elementi strutturali di una società; mentre hanno, invece, anche essi una rilevanza culturale tale da plasmare e caratterizzare basilarmente un contesto…
(Per continuare a leggere vai alla Rubrica “IL LATO ESTREMO”)