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lunedì 4 novembre 2013

LETTERA AL MINISTRO CANCELLIERI

Gentile ministro Cancellieri,

forse fra poco la vicenda che La collega alla famiglia Ligresti sarà dimenticata e questa lettera avrà perso d’attualità: ma fintanto che ne conserva qualche frammento vorrei riflettervi un poco. Di quei fatti sono ormai stati sviscerati, da parte della stampa, pressoché tutti gli aspetti e non restano che pochi scampoli di materiale sui quali è ancora possibile qualche meditazione.
In relazione ai recenti arresti di alcuni membri di quella famiglia Sua amica, Lei ha telefonato a Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti e, tra le altre cose che trascuro, dice “…Guarda, qualsiasi cosa possa fare, conta su di me…” (la Repubblica, 3 novembre 2013).  È un’affermazione molto impegnativa, e non mi dica, come si usa, che questa citazione non ha valore perché estrapolata da un discorso più lungo: quel discorso Lei lo conosce. Delle iniziative successivamente messe in atto, non volendo occuparmene, do qui per completamente giustificata la Sua visione dei fatti: mi interessa solo osservare che, a più riprese, Lei asserisce che esse rispondono a pura motivazione umanitaria. Mi limito qui.
C’è però un grande problema, ministro Cancellieri, ed è proprio quella nobile motivazione. Chi esercita una funzione pubblica è obbligato a guardare le cose secondo un’angolazione che non tiene conto delle opinioni, della visione del mondo, degli affetti, di tutto ciò, insomma, che lo caratterizza in quanto persona. Il funzionario pubblico vive una situazione che, fuori da quel contesto, costituirebbe un grave disturbo psichiatrico: la doppia personalità. Ma chi riveste una carica istituzionale, al contrario, a una personalità doppia, seppure consapevolmente e deliberatamente assunta, è obbligato.
La motivazione umanitaria che Lei invoca - che Le fa onore, se vera, e io non ho difficoltà a crederLe - appartiene però proprio a quella personalità privata dalla quale quella pubblica deve scindersi. Non sto dicendo, intendiamoci, che un ministro dev’essere senza cuore, ci mancherebbe altro! Dico invece che alle lodevoli ragioni del cuore egli deve dare una via di sbocco generale, collettiva e non personale, particolare; dico che esse devono animare la sua azione politica, darle forza nell’interesse di tutti e non costituire appiglio privato, che è intollerabile privilegio.
So bene che costringere se stessi a questo difficile esercizio può essere talora umanamente molto gravoso: ma questo, ahimè, è un costo del potere che si accetta nell’atto stesso di assumerlo, il potere. Solo nei casi in cui quel costo diviene talmente alto da risultare inesigibile la legge stessa esonera - e solo nell’occasione - il funzionario dalla sua funzione. Non si può, evidentemente, chiedere a un magistrato di giudicare e condannare un figlio, magari alla pena capitale laddove questa esista. Per questo tutti i sistemi giudiziari, almeno che io sappia, stabiliscono che tra giudice e imputato non debbano esservi relazioni di parentela.
Ma non mi sembra questo il Suo caso, ministro Cancellieri. Sebbene le ragioni dell’umanità che Lei invoca, possano parerLe pesantissime, non era così drammaticamente difficile rinunciare a fare quella telefonata - Le ricordo che l’iniziativa è stata Sua - e mettersi a disposizione: e qualora l’avesse non fatta ma ricevuta, non sarebbe stato impossibile rispondere: “Per quanto affetto possa nutrire per voi tutti, sono il ministro della Giustizia e vi prego di comprendere la mia impossibilità di assumere atteggiamenti incompatibili con questo ruolo”.
Può darsi che io sbagli a ritenere non insopportabilmente gravoso tutto ciò mentre per Lei, invece, lo è: cosa comprensibile, persino encomiabile. La Sua situazione, in quel caso, non sarebbe molto dissimile da quella del giudice di poc’anzi, per il quale l’esonero è previsto dalla legge. Ma la legge non lo prevede per il ministro della Giustizia.
Che fare, allora?  Una risposta forse c’è.

Con viva cordialità

Francesco Piscitello