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mercoledì 26 marzo 2014

FAVOLA
Di Fulvio Papi

La favola politica di un filosofo che ha il sapore di un apologo contemporaneo
illustrata da Adamo Calabrese




Diversamente dal 1847 quando due giovani intellettuali tedeschi iniziarono un loro splendido libretto e scrissero che per l’Europa si aggirava il fantasma del comunismo (e non era vero), nella mia stanza si ripete quotidiano il ronzio di un moscone che naturalmente non dice niente o non lascia nemmeno immaginare che possa dire qualcosa, ma disturba la nostra lettura con il suo volo fastidioso.
Ma non è nemmeno tutta colpa sua perché non c’era ragione di lasciare la finestra aperta e tanto meno lasciare che qualche sconsiderato abbia buttato un cumulo di immondizie nel giardino prossimo alla finestra, immondizie, per natura, grate al nostro moscone.
Cercheremo di farlo uscire dalla finestra senza alcun danno perché la vita, anche se fastidiosa, è pur sempre figlia di Dio. Ma, soprattutto a costo di farlo noi stessi, dovremo far sparire al più presto l’immondizia che si è accumulata nel tempo sotto la nostra finestra. Sono compiti che in certe circostanze toccano anche a chi di solito manipola incunaboli e pergamene.
E bisognerà anche punire quelli che nascostamente hanno avuto questa volgare trovata. Sinceramente non penso a un rabbuffo o a una indulgenza plenaria, poiché costoro che rovinano il giardino e la casa non mi sembrano simili all’immagine che aveva in mente Pico della Mirandola quando scrive il “De dignitate hominis”. Mi sembra piuttosto che questi malfattori rovinino quel poco che resta dell’ottimismo neoplatonico rinascimentale. Quindi la massima pena, senza tante storie, e senza la concessione della possibile decadenza temporale della pena. Essa può avere senso se richiesta con motivazioni plausibili, esaminata da persone dotate di intelligenza (intelligere = capire), senza nessuna preventiva burocrazia.
Quanto al moscone che continua ad aggirarsi nella stanza con il suo ronzio petulante, ho scoperto, guardando attentamente, che esso, solo nella sua specie, ha un piccolo specchio innanzi a sé in cui può guardare le sue imprese volatili e gioire dei suoi risultati. È il primo moscone narcisistico che si conosca nella sua specie, e, il più bello, è che questa notizia la conosce anche lui e ne approfitta per crescere nella considerazione di se stesso.
E non si può nemmeno dire che c’è qualcosa di sbagliato nell’evoluzione poiché essa è dominata da risultati contingenti e non da finalità in qualche modo antropomorfiche, cioè ideali.

Il problema vero è il rapporto tra la finestra e la spazzatura, ed è il vero rapporto grave e serio. Qui bisogna insistere. Quanto al moscone narcisistico si può consigliargli di prendere in mano i classici dell’economia politica, e se sono troppo difficili, almeno “Culex” che però la critica filologica non ha stabilito se è proprio di Virgilio oppure no.