Vuoi
vedere che torniamo alla sobrietà?
di Antonio Lubrano
Nella foto al centro Antonio Lubrano |
Lo incontro al bar tutte le
mattine. È un pensionato da 500 euro al mese (per sua dichiarazione spontanea),
i capelli color cenere, un recondito accento meridionale. Sorbendo il caffè il
signor Saverio mi fa notare che i sacchetti dei rifiuti qui a Milano sono
sempre più miseri. Dice proprio così: “Miseri”. Nel senso che prima vi si
trovava ancora qualcosa di buono da mangiare, adesso zero. Immagino che lo
abbia constatato di persona. “Ed ecco che forse un barlume di sobrietà sta per
illuminare la nostra quotidianità”. Sembrano dei versi.
Ebbene, fateci caso: questa parola
–sobrietà– torna sempre più di frequente nei discorsi di tutti i giorni. È come
una ipotesi, tesa a neutralizzare gli effetti della recessione. È come
un’aspirazione dopo anni vissuti sopra le righe. È come una rivalutazione del
nostro ieri, perché forse c’è stato un tempo in cui i nostri padri, le nostre
madri, i nostri nonni vivevano in maniera diversa, con più misura.
Per
quelli di una certa età come me, figli di metodi educativi ora considerati obsoleti,
la possibile scoperta o riscoperta della sobrietà ha un valore consolatorio.
Vivaddio! Dunque, non siamo vecchi bacucchi che credono ancora al decoro, al
risparmio, alle regole? Francamente fui sorpreso qualche anno fa dalla notizia
che il non ancora pregiudicato Berlusconi girava proprio con le sue mani
l’interruttore quando lasciava a notte inoltrata l’ufficio di primo ministro a
Palazzo Chigi. Proprio lui che di notte faceva e forse fa ben altro…
Come sarà felice lassù la signora
Clotilde, mia madre, che lungo tutta la mia fanciullezza mi ha tormentato con
un ordine perentorio: “Spegni la luce ogni volta che esci da una stanza!”(lo
faccio tuttora, è un riflesso condizionato). E mi puniva con sonorissimi
schiaffi quando disobbedivo. “Ricordati -aggiungeva-
che tuo padre lavora sull’acqua salata e guadagna il denaro col sudore della
fronte!” Verissimo. Un giorno il
capitano di mare Giuseppe mi regalò una moneta d’argento da cinque lire e io
sentii al tatto che era bagnata...
Va detto, per la storia, che la
tendenza a ripensare i sistemi di vita si è manifestata molto prima della
crisi. Già nel 2004 da un monitoraggio de ‘Il
Sole 24’ ore veniva fuori il graduale mutamento delle “modalità di
consumo” ispirate , scriveva il più importante giornale economico italiano, “a
una maggiore sobrietà e oculatezza”. Nel quinquennio successivo sono nati i
Gas, ossia i Gruppi di acquisto solidale, e in molte famiglie è cominciata la
lotta agli sprechi. Sarà il caso di ricordare qui qualche dato significativo:
nel 2009
la società che gestisce i rifiuti a Milano realizzò una indagine per conto dei
panificatori della città e scoprì che nei sacchi della spazzatura ogni giorno
finivano dai 130 ai 150 quintali di pane. In quello stesso periodo le famiglie
italiane buttavano via il 12% degli alimenti, addirittura il 30% di quel che
mettevano in frigo. Adesso le cose vanno meglio, siamo al trionfo degli avanzi,
come testimonia a suo modo il pensionato Saverio.
E anche questo, a guardar bene, è un
ritorno al passato. Ieri gli spaghetti che restavano a pranzo diventavano
frittata a cena, giusto per fare un esempio. Oggi che la moneta a disposizione
si fa sempre più scarsa, cala anche la tendenza a fare la grossa spesa al
supermercato una volta alla settimana, mentre cresce la spesa giornaliera che
consente di controllare meglio le immediate necessità e di evitare il
superfluo.
All’epoca della prima crisi
petrolifera (1977) fu Enrico Berlinguer, leader del Pci, a indicare al Paese la
strada dell’austerity. Oggi invece è la famosa rivista Time che in copertina parla di “nuova frugalità”(The new frugality
) e vale per tutto il mondo. Negli anni Settanta, oltre alle domeniche a piedi (“liberiamoci
della schiavitù della macchina, la passeggiata fa bene alla salute”, scrivevano
i giornali dell’epoca per incoraggiarci), prendemmo ad apprezzare i surrogati,
l’orzo ad esempio in luogo del caffè. E oggi non ricordano forse i surrogati
quegli alimenti “a marca privata” prodotti dalle grandi catene di supermercati?
Costano meno e peraltro sono ottimi. C’è di più: negli hard discount i prodotti
esposti negli scaffali sono senza nome o hanno marchi a noi sconosciuti. Ieri
suscitavano diffidenza, adesso si assiste alla rivincita dei “negozi a sconto
duro”.
Mutati i
comportamenti anche al ristorante. La Federconsumatori ha condotto una indagine
dalla quale risulta che le cene sono calate del 50%. Diversi ristoratori, sia a
Roma che a Milano e a Napoli, mi hanno raccontato che i clienti raramente ormai
ordinano “il completo”, ossia antipasto, primo, secondo e frutta. Adesso le
ordinazioni si limitano a un piatto base, che sia primo o secondo, e frutta.
Acqua e vino, certo, ma un bicchiere.
La sobrietà. Dove altro può farsi
strada? Nel mondo politico, pensiamo tutti. Giusto. Siamo stufi degli eccessi.
Di fronte al progressivo impoverimento di interi gruppi sociali una maggiore
serietà della classe dirigente si imporrebbe, dunque. Almeno, dico, per aiutarci a sperare che l’Italia saprà sottrarsi al baratro.
ll decoro, infine. La dignità nel
comportamento, nei modi o nell’aspetto non è l’altra faccia della sobrietà?
C’è
sicuramente da registrare qualche segnale. La Regione Abruzzo, per esempio,
proibisce agli autisti delle auto blu di portare “orecchini, piercing visibili,
spille, braccialetti, collane, catene in
genere, anelli”, esclusa ovviamente la fede nuziale. Niente sandali, zoccoli, stivaletti
col tacco, scarpe aperte; banditi i calzini corti, la barba lunga, i capelli
incolti e, pensate un po’, gli abiti di lino che si sgualciscono facilmente.
Be’, se
l’ordinanza della Regione Abruzzo trovasse degli imitatori, potremmo davvero
parlare di ritorno al decoro. Ma solo per gli autisti? Mi colpisce in ogni caso
la chicca dei calzini corti. Come se bastasse a liberarci dalle mezze calzette…