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giovedì 1 maggio 2014

IL FALSO PROBLEMA DELLA GOVERNABILITÀ
di Fulvio Papi


Ho assistito qualche sera fa a una conversazione televisiva alla quale hanno preso parte alcune persone colte, intelligenti, garbate, tutte qualità difficili da ritrovare in altri casi. Gli argomenti erano due: la riforma del Senato e la legge elettorale, temi svolti con competenza e con perizia. Tuttavia a me e parso che, anche apparendo ben poco, ci fosse un altro problema, che condiziona le condizioni della democrazia in Italia (non il solo per carità!) e lo stesso compito di un ceto politico che sia molto cosciente di quello che dovrebbe essere il suo compito. Ed è il tema della “governabilità”
Sarebbe utile fare una piccola ricerca storica su quanto e come sia emersa questa condizione che dovrebbe essere garantita da una legge elettorale e non dalla cultura politica, sociale ed economica del ceto politico. Di solito si dice che occorre trovare il modo per evitare che un piccolo partito possa ricattare un altro partito dal consenso molto più ampio. Ma occorre domandarsi: ricattare a proposito di che cosa, in quale interesse, per quali finalità. Senza voler presumere troppo , sembra che questo “ricatto” abbia avuto luogo fondamentalmente  in direzione dei poteri politici, amministrativi, o dirigenziali all’interno di quella complessa rete di interessi che dipendono talora in modo incongruo (per esempio la Rai) dai poteri politici. Se questa è l’origine storica della parola “governabilità”, essa ha un vizio ideologico di partenza. Inoltre ad essere schietti bisognerebbe domandarsi quale sia oggi in concreto l’area di governabilità di un qualsiasi governo. Anche qui l’analisi è complicata, ma la trasformazione della società attuale mostra che le aree di governo spesso sono esterne ai tradizionali poteri politici o sono settori con i quali la politica deve intrattenere una continua negoziazione o con i quali può intervenire solo a parole perché in realtà non può agire concretamente.
Un’analisi di questo tipo consentirebbe di capire bene quale sia l’area di governo della vita sociale, quella concreta e quella immaginaria (anche dai cittadini). In questo caso noi potremmo avere chiare quali siano nella realtà le varie opzioni. Per esempio le famose tasse: anche i più feroci seguaci delle virtù del mercato potrebbero pensare di sottrarre il paese a spese pubbliche fondamentali che corrispondono a un sentimento pubblico diffuso come la sanità, la scuola, la sicurezza. Ma anch’essi hanno dovuto rendersi conto che in un paese in totale dissesto come il nostro (poniamo a livello idrogeologico) è necessario prevedere una spesa pubblica. Certo si tratterà sempre di limiti, di confini, di differenze rispetto a forze politiche diverse, così come queste hanno appreso che un certo livello del consumo privato può garantire stabilità sociale. In ogni caso mi pare siano tutti problemi trattabili a livello culturale, specialistico, efficiente.
La governabilità? Se si introducesse la famosa legge per cui nessuno può far cadere un governo se non è in grado di presentarne un altro con il necessario consenso parlamentare, il problema sarebbe risolto.
Allora credo che tutti i voti dovrebbero valere allo stesso modo. Quindi la proporzionale pura, la mancanza di ogni sbarramento, il diritto di ognuno di fare le proposte che dipendono dalla sua analisi e dalla sua cultura. È poi compito del ceto politico eletto, qualora sia necessario, trovare un equilibrio quanto al programma governativo che, come dicevo, ha vincoli nella vita sociale e internazionale del paese che sono superiori rispetto ad altri tempi e se possono dare luogo a interpretazioni diverse, la diversità quale spessore può avere in concreto?
Personalmente sono per una vita sociale dove giustizia e libertà abbiano un buon equilibrio. Ma come filosofo so che ogni concetto ha un suo eccesso non governabile. E il curioso è che, con il tempo, abbiamo compreso che Hegel lo sapeva e che Marx lo comprese proprio lavorando faticosamente a “Il Capitale”. Il sospetto dell’eccesso abitua a guardare “materialisticamente” il mondo.
L’immagine che ho della storia italiana è che questo sia quanto è sempre accaduto, anche se con trattative non dette ma a carico del bilancio dello Stato, e con rappresentazioni ideologiche tutt’altro che spregevoli, ma lontane dalle possibilità concrete di azione. Per questo sospetto che proprio il tema sottinteso della governabilità con le conseguenze elettorali che esso comporta, sia in realtà il modo attraverso cui una forza politica è in grado di far valere il proprio potere, più attenta quindi al proprio equilibrio che alla difficile realtà del paese.
Le maggioranze non dovrebbero discutere di “premi” che non hanno niente a che vedere con il voto di ogni elettore, ma di ragionevoli trattative.
Non credo che socialdemocratici tedeschi e democristiani tedeschi, oltre che parlare un’altra lingua siano molto diversi da noi.