IL FALSO PROBLEMA DELLA GOVERNABILITÀ
di Fulvio Papi
Ho assistito qualche sera fa a una
conversazione televisiva alla quale hanno preso parte alcune persone colte,
intelligenti, garbate, tutte qualità difficili da ritrovare in altri casi. Gli
argomenti erano due: la riforma del Senato e la legge elettorale, temi svolti
con competenza e con perizia. Tuttavia a me e parso che, anche apparendo ben
poco, ci fosse un altro problema, che condiziona le condizioni della democrazia
in Italia (non il solo per carità!) e lo stesso compito di un ceto politico che
sia molto cosciente di quello che dovrebbe essere il suo compito. Ed è il tema
della “governabilità”
Sarebbe utile
fare una piccola ricerca storica su quanto e come sia emersa questa condizione
che dovrebbe essere garantita da una legge elettorale e non dalla cultura
politica, sociale ed economica del ceto politico. Di solito si dice che occorre
trovare il modo per evitare che un piccolo partito possa ricattare un altro
partito dal consenso molto più ampio. Ma occorre domandarsi: ricattare a
proposito di che cosa, in quale interesse, per quali finalità. Senza voler
presumere troppo , sembra che questo “ricatto” abbia avuto luogo
fondamentalmente in direzione dei poteri
politici, amministrativi, o dirigenziali all’interno di quella complessa rete
di interessi che dipendono talora in modo incongruo (per esempio la Rai) dai
poteri politici. Se questa è l’origine storica della parola “governabilità”,
essa ha un vizio ideologico di partenza. Inoltre ad essere schietti
bisognerebbe domandarsi quale sia oggi in concreto l’area di governabilità di
un qualsiasi governo. Anche qui l’analisi è complicata, ma la trasformazione
della società attuale mostra che le aree di governo spesso sono esterne ai
tradizionali poteri politici o sono settori con i quali la politica deve
intrattenere una continua negoziazione o con i quali può intervenire solo a
parole perché in realtà non può agire concretamente.
Un’analisi di questo tipo consentirebbe di capire bene
quale sia l’area di governo della vita sociale, quella concreta e quella
immaginaria (anche dai cittadini). In questo caso noi potremmo avere chiare
quali siano nella realtà le varie opzioni. Per esempio le famose tasse: anche i
più feroci seguaci delle virtù del mercato potrebbero pensare di sottrarre il
paese a spese pubbliche fondamentali che corrispondono a un sentimento pubblico
diffuso come la sanità, la scuola, la sicurezza. Ma anch’essi hanno dovuto
rendersi conto che in un paese in totale dissesto come il nostro (poniamo a
livello idrogeologico) è necessario prevedere una spesa pubblica. Certo si
tratterà sempre di limiti, di confini, di differenze rispetto a forze politiche
diverse, così come queste hanno appreso che un certo livello del consumo
privato può garantire stabilità sociale. In ogni caso mi pare siano tutti
problemi trattabili a livello culturale, specialistico, efficiente.
La governabilità? Se si introducesse la famosa legge per
cui nessuno può far cadere un governo se non è in grado di presentarne un altro
con il necessario consenso parlamentare, il problema sarebbe risolto.
Allora credo
che tutti i voti dovrebbero valere allo stesso modo. Quindi la proporzionale
pura, la mancanza di ogni sbarramento, il diritto di ognuno di fare le proposte
che dipendono dalla sua analisi e dalla sua cultura. È poi compito del ceto
politico eletto, qualora sia necessario, trovare un equilibrio quanto al
programma governativo che, come dicevo, ha vincoli nella vita sociale e
internazionale del paese che sono superiori rispetto ad altri tempi e se
possono dare luogo a interpretazioni diverse, la diversità quale spessore può
avere in concreto?
Personalmente sono per una vita sociale dove giustizia e
libertà abbiano un buon equilibrio. Ma come filosofo so che ogni concetto ha un
suo eccesso non governabile. E il curioso è che, con il tempo, abbiamo compreso
che Hegel lo sapeva e che Marx lo comprese proprio lavorando faticosamente a “Il Capitale”. Il sospetto dell’eccesso
abitua a guardare “materialisticamente” il mondo.
L’immagine che
ho della storia italiana è che questo sia quanto è sempre accaduto, anche se
con trattative non dette ma a carico del bilancio dello Stato, e con
rappresentazioni ideologiche tutt’altro che spregevoli, ma lontane dalle
possibilità concrete di azione. Per questo sospetto che proprio il tema
sottinteso della governabilità con le conseguenze elettorali che esso comporta,
sia in realtà il modo attraverso cui una forza politica è in grado di far
valere il proprio potere, più attenta quindi al proprio equilibrio che alla
difficile realtà del paese.
Le maggioranze non dovrebbero discutere di “premi” che
non hanno niente a che vedere con il voto di ogni elettore, ma di ragionevoli
trattative.
Non credo che socialdemocratici tedeschi e democristiani
tedeschi, oltre che parlare un’altra lingua siano molto diversi da noi.