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martedì 23 settembre 2014


TRIVELLE  




Roma. La ricerca di greggio nel mare italiano secondo il presidente del consiglio Matteo Renzi è un elemento determinante per giocare un ruolo decisivo nel dibattito energetico internazionale. Opposto il parere di Legambiente che la ritiene, invece, una scelta energetica assurda e scellerata, un ennesimo regalo alle compagnie petrolifere.
A sostegno del proprio punto di vista l’associazione ambientalista cita i dati che il ministero dello Sviluppo economico pubblica annualmente sulle riserve certe di petrolio. Le quantità stimate sotto il mare italiano sono, infatti, di appena 10 milioni di tonnellate, e visto che il nostro consumo annuo è pari a 61 milioni, si esaurirebbero in soli due mesi. Considerando anche quelle presenti nel sottosuolo, si arriverebbe a 82 milioni di tonnellate di riserve certe, anche in questo caso però durerebbero per poco meno di 17 mesi. Numeri che, per Legambiente, sono più che sufficienti a dimostrare l’insensatezza della strategia che il governo si ostina a portare avanti. Senza contare che a richiedere permessi di ricerca e di estrazione sono per lo più compagnie straniere, e che le aree già interessate dalle attività petrolifere occupano una superficie marina di circa 24mila kmq.
Anche sul fronte dell’occupazione, secondo Legambiente il confronto non tiene: investire oggi in efficienza energetica e fonti rinnovabili porterebbe nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità, cioè 6 volte di più di quello che si otterrebbe con le nuove trivellazioni.
“Invece di ragionare su come aumentare la produzione di petrolio nazionale, avremmo potuto mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili -dice il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza-  
Ad esempio utilizzando i 4 miliardi euro circa che ogni anno regaliamo al settore dell'autotrasporto, come avvenuto nell’ultimo decennio, per una mobilità nuova e più sostenibile. Di certo avremmo avuto riduzioni della bolletta petrolifera e delle importazioni di greggio ben maggiori e durature rispetto al contributo che possono dare le poche quantità presenti nei mari e nel sottosuolo italiano. Continuare a rilanciare l’estrazione di idrocarburi non ci garantisce nessun futuro energetico.
Se veramente si vuole rompere con il passato -prosegue Cogliati Dezza- e giocare un ruolo strategico nel dibattito energetico internazionale, il premier deve portare ben altri dati nel dibattito internazionale. Partendo, ad esempio, dai dati sulle fonti rinnovabili che con oltre 700 mila impianti hanno garantito un terzo dei consumi elettrici del Paese”.

Alice Scialoja (Legambiente)

Legambiente insiste sulla necessità di restituire voce e possibilità di scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie petrolifere. Tra le aree maggiormente colpite dalle trivelle ci sono il mare Adriatico (con 11.944 kmq interessati dalle attività delle compagnie petrolifere, tra cui 2 istanze di concessione, 17 di ricerca e 7 permessi già rilasciati per l’esplorazione dei fondali marini), il canale di Sicilia (dove da 5 piattaforme attive sono estratte 301.471 tonnellate di greggio, il 42% della produzione nazionale a mare, e vi sono 3 richieste di concessione e altre 10 istanze di ricerca), lo Ionio dove oggi non si estrae petrolio ma vi sono 16 richieste per la ricerca di greggio (per un’area complessiva di 10.311 kmq) nel Golfo di Taranto, un’area marina vietata alle attività di ricerca di petrolio fino al luglio 2011. Sono da aggiungere poi i 76419 kmq richiesti dalle società per avviare attività di prospezione, la prima fase di indagine per individuare le aree su cui poi eseguire ricerche più approfondite. Sette le richieste: 3 riguardano l’Adriatico, una lo Ionio, due il canale di  Sicilia e una il mar di Sardegna.
Non a caso la sicurezza delle estrazioni petrolifere off-shore è al centro dell’attenzione dell’Unione europea già dal 2010, dopo il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. La moltiplicazione di queste attività nel Mediterraneo aumenterebbe il rischio di inquinamento da idrocarburi; senza considerare l’impatto che le estrazioni possono avere sulla pesca. Intorno a una sorgente sonora che utilizza airgun, la tecnica geofisica di rilevazione di giacimenti nel sottofondo marino, la diminuzione del pescato può arrivare al 50%.
Ecco perché Legambiente ritiene che l’Italia debba giocare la sua capacità competitiva internazionale promuovendo politiche internazionali di tutela di tutto il mare Mediterraneo invece di seguire le scelte petrolifere di altri Paesi. E, per garantire l’indipendenza energetica al nostro Paese, debba spostare attenzione e risorse su rinnovabili, efficienza e risparmio.

Alice Scialoja - Legambiente