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venerdì 14 novembre 2014

Ridefinire la figura dell’intellettuale
di Giorgio Colombo

Giorgio Colombo al centro della foto
(fra i filosofi De Monticelli e Papi alla  sua sinistra. Scaramuzza alla sua destra,
alla sala del Grechetto della Biblioteca Sormani di Milano, nel Settembre 2013,

 in occasione del decennale del giornale "Odissea". (Foto: Archivio Odissea).
Con questo intervento di Giorgio Colombo, 
prosegue il dibattito sugli intellettuali. 

Anche in riferimento agli amici che mi hanno preceduto, provo a ripensare al significato, oggi, della figura dell’intellettuale.
Parliamo di intellettuali come fosse una categoria ben riconoscibile, come parlassimo di avvocati o di giornalisti. Ma forse non è così.  Provo a riprendere il termine e i suoi vari significati. Chi sono “gli intellettuali”? Adopero il plurale perché mi pare si voglia intendere un gruppo di persone colte, abituate ad esercitare l’intelletto. Ma non basta. Un gruppo di grecisti o di ornitologi è un insieme di persone colte, nella loro specifica cultura, non di intellettuali. Penso  invece, guardando al passato,  a persone di diversa cultura, liberi da vincoli di stretta subordinazione, coinvolti in momenti di particolare cambiamento, preoccupati di un bene comune conculcato che riguardi la società nel suo insieme, società, a sua volta, capace di recepire quelle critiche. Per carità, un tema e un tempo ben conosciuto, che qui sfioro appena, il secolo XVIII, il secolo dell’Illuminismo e una città come Parigi, che deve molto pure a Londra. Si parla di borghesia, di affari, di tecniche e di libertà. Un gruppo sempre più numeroso di liberi professionisti, giuristi, medici, scienziati, insegnanti, storici, letterati formano una realtà a se stante, persone convinte che la sola ragione ‘illumini’ la mente umana, non i comandi di un Dio o di un Monarca. Questi uomini e donne si ritrovano in salotti, associazioni, come la Massoneria, Accademie (magari “dei pugni”), stampano opuscoli e periodici, il cui risultato più vistoso è la grande Encyclopédie, un lavoro di 24 anni, con 35 volumi, in continua crescita nel tempo, tradotta in tutta Europa. Prendono il nome antico di Philosophes, a cui succedono gli Idéologues, studiano l’origine delle idee, la loro sistemazione in conoscenza.
Un altro passo e arriviamo all’affare Dreyfus e al J’accuse sul giornale socialista L’Aurore, gennaio 1898, di Emile Zola. Si parla “d’engagement politique de l’intellectuel”. Un salto alla fine della guerra, anni 1945-50, ed ecco ‘L’intellectuel engagé’ di Sartre. No, non ‘l’intellettuale organico’ al partito. Piuttosto il  ‘maître à penser’. A Sartre si possono aggiungere figure più giovani  come quelle di Barthes e Foucault. Con i suoi strumenti concettuali l’intellettuale prende parte in favore di e contro chi o qualcosa. Si tratta di un contrasto netto contro qualcosa e in favore di qualcosa d’altro, in un momento in cui la società è divisa tra una molteplicità di progetti che si reputano raggiungibili.

Venendo all’oggi la situazione mi sembra stia cambiando. Da una parte esistono ancora, per fortuna, ‘cittadini contro’, ma ‘il gruppo’ si è sfaldato e la risposta sociale è debole, non perché si scontri ad una censura politica – che in certi Paesi pure esiste -, ma perché si è diffuso un ‘individualismo di massa’, un ‘narcisismo da facebook’, una deriva favorita dalla inamovibilità delle figure del ‘potere’, che, quando cambiano, si sostituiscono a quelle precedenti, in una specie di gioco delle parti. Così il ‘cittadino contro’, armato di memoria e di progetto, cioè di passato e di futuro, si trova più solo. Cresce il merito della sua voce e insieme la difficoltà di farsi sentire. Per questo credo che la figura dell’intellettuale si sia trasformata, mancando oggi di alcuni caratteri che la definivano nel passato: la solidarietà del gruppo e la malleabilità, la mobilità dei conglomerati sociali ai quali si rivolgeva. Forse la sua figura andrebbe ridefinita. Un compito non facile, ma indispensabile.