Ridefinire la figura dell’intellettuale
di Giorgio Colombo
Giorgio Colombo al centro della foto |
(fra i filosofi De Monticelli e Papi alla sua sinistra. Scaramuzza alla sua destra,
alla sala del Grechetto della Biblioteca Sormani di Milano, nel Settembre 2013,
in occasione del decennale del giornale "Odissea". (Foto: Archivio Odissea).
alla sala del Grechetto della Biblioteca Sormani di Milano, nel Settembre 2013,
in occasione del decennale del giornale "Odissea". (Foto: Archivio Odissea).
Con questo intervento di Giorgio
Colombo,
prosegue il dibattito sugli intellettuali. |
Anche in riferimento
agli amici che mi hanno preceduto, provo a ripensare al significato, oggi,
della figura dell’intellettuale.
Parliamo di intellettuali come fosse una categoria ben riconoscibile,
come parlassimo di avvocati o di giornalisti. Ma forse non è così. Provo a riprendere il termine e i suoi vari
significati. Chi sono “gli intellettuali”?
Adopero il plurale perché mi pare si voglia intendere un gruppo di persone
colte, abituate ad esercitare l’intelletto. Ma non basta. Un gruppo di grecisti
o di ornitologi è un insieme di persone colte, nella loro specifica cultura,
non di intellettuali. Penso invece,
guardando al passato, a persone di
diversa cultura, liberi da vincoli di stretta subordinazione, coinvolti in
momenti di particolare cambiamento, preoccupati di un bene comune conculcato
che riguardi la società nel suo insieme, società, a sua volta, capace di
recepire quelle critiche. Per carità, un tema e un tempo ben conosciuto, che
qui sfioro appena, il secolo XVIII, il secolo dell’Illuminismo e una città come Parigi, che deve molto pure a
Londra. Si parla di borghesia, di affari, di tecniche e di libertà. Un gruppo
sempre più numeroso di liberi professionisti, giuristi, medici, scienziati, insegnanti,
storici, letterati formano una realtà a se stante, persone convinte che la sola
ragione ‘illumini’ la mente umana, non i comandi di un Dio o di un Monarca.
Questi uomini e donne si ritrovano in salotti, associazioni, come la Massoneria, Accademie (magari “dei
pugni”), stampano opuscoli e periodici, il cui risultato più vistoso è la
grande Encyclopédie, un lavoro di 24
anni, con 35 volumi, in continua crescita nel tempo, tradotta in tutta Europa. Prendono
il nome antico di Philosophes, a cui
succedono gli Idéologues, studiano
l’origine delle idee, la loro sistemazione in conoscenza.
Un altro passo e arriviamo all’affare Dreyfus
e al J’accuse sul giornale socialista L’Aurore, gennaio 1898, di Emile Zola. Si parla “d’engagement
politique de l’intellectuel”. Un salto alla fine della guerra, anni 1945-50, ed
ecco ‘L’intellectuel engagé’ di Sartre. No, non ‘l’intellettuale organico’ al
partito. Piuttosto il ‘maître à penser’. A Sartre si possono
aggiungere figure più giovani come
quelle di Barthes e Foucault. Con i suoi strumenti concettuali l’intellettuale
prende parte in favore di e contro chi o qualcosa. Si tratta di un
contrasto netto contro qualcosa e in favore di qualcosa d’altro, in un momento
in cui la società è divisa tra una molteplicità di progetti che si reputano
raggiungibili.
Venendo all’oggi la
situazione mi sembra stia cambiando. Da una parte esistono ancora, per fortuna,
‘cittadini contro’, ma ‘il gruppo’ si è sfaldato e la risposta sociale è
debole, non perché si scontri ad una censura politica – che in certi Paesi pure
esiste -, ma perché si è diffuso un ‘individualismo di massa’, un ‘narcisismo
da facebook’, una deriva favorita dalla inamovibilità delle figure del
‘potere’, che, quando cambiano, si sostituiscono a quelle precedenti, in una
specie di gioco delle parti. Così il ‘cittadino contro’, armato di memoria e di
progetto, cioè di passato e di futuro, si trova più solo. Cresce il merito
della sua voce e insieme la difficoltà di farsi sentire. Per questo credo che
la figura dell’intellettuale si sia trasformata, mancando oggi di alcuni
caratteri che la definivano nel passato: la solidarietà del gruppo e la
malleabilità, la mobilità dei conglomerati sociali ai quali si rivolgeva. Forse
la sua figura andrebbe ridefinita. Un compito non facile, ma indispensabile.