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martedì 2 dicembre 2014

Eppure la Svizzera non delira
di Giovanni Bianchi


Uomo economico
Nella comunicazione tutta falsata dall'avidità pubblicitaria il delirio dei populismi appare un ottimismo possibile: perché il falso è coerentemente falso (produttore di fantasmi) come l'universo che lo ha partorito e lo culla. Infatti l'uomo non può evitare di sognare, e quindi o fa sogni costruttivamente progettuali, o produce deliri secondo lo spirito del tempo. E nella falsità della comunicazione complessiva tutto il procedimento appare reale e perfino orientato al futuro e alla realizzazione. Que toda la vida es sueño…  
Altrimenti come potrebbe la vetrina di un negozio di Lugano gridare impunemente: "Noi costruiamo il futuro"? Può stare qualsiasi futuro nel business provinciale di una agghindata e ammiccante vetrina? L'incanto pubblicitario merita finalmente un risveglio.
All'incoerenza dei sondaggi risponde il delirio dei voti plebiscitari, per cui è sempre meglio e  saggio seguire quel vecchio cinico di Pareto che invitava in casi simili a giurare piuttosto sul Decamerone.
Il calcolo consiste sardonicamente contro il pensiero e suggerisce (a voce alta e sguaiata) che pensare è inutile. Se l'economia è classicamente la "legge della casa" perché genera in continuazione "senzatetto" e homeless?
Ma ritorniamo sul piano teorico: la filosofia, le scienze e la stessa teologia politica devono rituffarsi in mezzo alla quotidianità, così come l'etica del Parini, gran lombardo, si metteva a rischio di caduta nel fango della vita. Se non si riparte dai comportamenti e dai riferimenti (da punti autorevoli di riferimento) ogni discorso è inutile e ogni prospettiva preclusa. Non solo bisogna weberianamente ritentare l'impossibile, ma il rischio non può essere evitato quando i tempi si fanno stretti e precipitosi, quando la ripartenza dalle periferie propugnata da papa Francesco indica che le chances si danno fuori e lontano dal Vecchio Continente.
Le cifre dell'economico sono da tempo tutte schierate contro di noi. La serva Italia è più che cenerentola, così derelitta e così miope da non trovare la scarpina. Dopo avere distrutta la siderurgia ci stiamo riprovando, ma continuamente strabici e continuamente in cerca di stampelle esterne: la tragedia di Taranto è più che eloquente. Marcegaglia lavora con il leader mondiale del settore, gli indiani di Arcelor Mittal; Arvedi pensa all'ipotesi di allearsi con la Cdp. C'è evidentemente un problema di fiducia degli imprenditori italiani sul futuro del nostro Paese, che dovrebbe essere anche loro. Un'anaffettività e una disaffezione che dura da decenni.
Le aree dismesse di Sesto San Giovanni, ex vertice di un polo industriale ed ex Stalingrado d'Italia, il più grande sito di aree dismesse d'Europa, sono la radice della fine del fordismo italiano, il suo emblema, la dichiarazione di rinuncia a cercare un posto nella divisione del lavoro internazionale. Delle 28 maggiori operazioni dal 2012 ad oggi –come scrive su "la Repubblica" di lunedì 24 novembre 2014 Federico Fubini– in ben 18 casi il compratore era straniero. Ma perfino il commercialista del mio dentista romano che lavora tutto ed essenzialmente sulla piazza di Roma ha provveduto a trasferire i propri uffici contabili in Romania. (E non credo abbia conseguentemente scontato le parcelle dei clienti.)
Non solo questo capitalismo ha vinto. Non solo hanno ragione i più grossi finanzieri americani a scrivere che la lotta di classe esiste e che la loro classe la sta vincendo alla grande, ma tutti i discorsi di rilancio del Paese viaggiano sui binari di disuguaglianze crescenti per rimetterci al passo degli altri capitalismi. La favola è vecchia e la denunciò il solito Obama nel primo discorso di insediamento alla Casa Bianca: non tanto il capitalismo ha vinto –un sistema al quale ci siamo tutti giudiziosamente rassegnati–, ma al primo posto s'è insediata l’avidità finanziaria del capitalismo medesimo. La formula è dunque semplice e perfino schematica: il capitalismo crea l'antropologia globale; spetta alla democrazia provvedere ad educarla.
Ecco perché il problema politico non è destra o sinistra, ma un problema di democrazia. Ecco perché Amartya Sen scrive le cose che scrive da ultimo. Ecco perché mi sono affezionato alla metafora del frigidaire: ognuno degli attori rientra nottetempo affamato, spalanca la porta del frigo e si serve. Mai nessuno che ricarichi il frigidaire della democrazia. Così accadrà un giorno o una notte che apriremo quella porta e troveremo il frigidaire della democrazia desolatamente vuoto…

Ritorno a Lugano
Anche Lugano non è più la Lugano di una volta e quindi non è più la "Lugano bella" degli anarchici. Al posto degli anarchici s'è insediata la 'ndrangheta che l'occhiuta e scorbutica vigilanza delle guardie di frontiera non è riuscita ad evitare. I leghisti ticinesi se la prendono con i frontalieri (65.000 su 250.000 lavoratori) e i comici ne hanno tratto una serie di sketch e perfino un paio di film che imperversano nelle sale del Cantone italiano.
Tutti sappiamo che la Svizzera è il più solido tempio del capitalismo europeo. Che è fondata sulle banche (e il loro scricchiolanti segreti) oltre che sulla cioccolata. Piccola sede di grandissime e potenti multinazionali. Aperta da secoli a più confessioni religiose, ma devotissima del mammona finanziario. Eppure ha mantenuto una lunga serie di fabbriche nel settore della chimica e in quello della meccanica di precisione. Eppure una domenica luganese è in grado di stupire l'italiano frastornato da un capitalismo nazionale che vorrebbe apparire rampante. Perché? Perché, sorpresa!, salvo pochi bar, i negozi di Lugano sono tutti rigorosamente chiusi.
Non è da noi il "domenica siamo aperti" il segno della solerzia e lo squillo d'attenzione al cittadino consumatore esibito con maramalda generosità dai supermercati e dai centri commerciali? Forse gli svizzeri sono meno attenti ai bisogni del consumatore e meno interessati al profitto? Il capitalismo svizzero non è meno selvaggio e corso da animal spirits meno ruggenti di quelli italici. Il problema sta altrove.
Sta nel rapporto tra l'antica democrazia svizzera e le sue regole e lo sviluppo di questo capitalismo. La democrazia non deve essere sempre moderna e à la page per poter efficacemente funzionare. Anche l'intoppo e la lentezza di regole antiche aiutano il suo magistero. Non solo in una piccolissima nazione racchiusa tra i monti dove perfino le vacche sembrano chiedere il permesso sugli alpeggi per le ampie defecazioni che le caratterizzano. Ma anche negli immensi Stati Uniti si continua a votare il martedì dopo il primo lunedì nel mese di novembre nonostante i mutamenti e i pericoli climatici indotti dal riscaldamento del globo che rende intollerabili e talvolta omicide le perturbazioni atmosferiche.
La democrazia cioè funziona anche grazie ai suoi ritardi, perché è pura illusione italiana di risolvere i problemi della politica mettendo continuamente mano alle regole anziché ai soggetti che la politica devono esercitare salvaguardando la democrazia.
È con i referendum e la loro minaccia che gli svizzeri, che amano il danaro più degli italiani, hanno tuttavia messo al riparo le proprie vite e la propria salute fisica, mentale e spirituale. Come non ricordare la barzelletta che costò a De Gaulle una mezza crisi internazionale? "Se vedete che uno svizzero si butta dalla tour Eiffel, seguitelo! C'è senz'altro qualcosa da guadagnare"…
Una sommessa lezione da chi ha fatto dire al segretario di Stato  Maurer in una celebre intervista che gli svizzeri hanno ridotto la politica ad amministrazione.

Ho scritto altra volta che  è una riduzione che non mi piace. Devo oggi aggiungere che la trovo comunque meglio di una democrazia gonfiata e resa velocemente non credibile nei  talkshow. Meglio cioè il silenzio impacciato piuttosto di una narrazione continua che crea il vuoto mentre quotidianamente lo rappresenta. 



LA MATERNITA' NEI SECOLI A PALAZZO MARINO