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sabato 6 dicembre 2014

LA CITTÀ
Quattro domande. Una risposta
Testo e foto
di Paolo Maria Di Stefano*

*Docente di marketing e comunicazione
Membro del comitato scientifico del laboratorio Polis Making
del Politecnico di Milano

Io credo, prima di tentare una risposta -comunque non facile- a queste domande, che occorra fare una breve premessa. Questa: mai nessuna città al mondo è stata ed è il risultato di una progettazione, di una programmazione, di una costruzione pianificata, organizzata e gestita. Non certamente nel suo insieme e, quando qualcosa in questo senso si è tentato, ha riguardato sempre aree più o meno limitate, e non sempre con i risultati ideati e progettati.
Tanto per richiamare i tentativi più vicini a noi, ricorderò l’utopia di Adriano Olivetti e, oggi, quel laboratorio del Politecnico di Milano noto come Polis Making, e del quale il caso ha voluto che in qualche modo mi occupassi.
Il mio Spirito Guida -Alessandra, architetto impegnato in progetti di respiro planetario- mi ha fatto notare come la città non sia mai stata e non sia oggi un puro affare di architettura, bensì qualcosa che va molto oltre e che riguarda in ogni aspetto la “vita” dell’agglomerato e la sua capacità di accogliere al meglio gli abitanti e farlo in un ambiente e con una qualità di vita quanto migliori possibili.
Che è la filosofia delle ricerche di Polis Making – che, per quanto mi riguarda, ho cercato di rendere nel mio “Product Management – dalla gestione del prodotto alla gestione dello scambio” (Franco Angeli 2010) e non è problema esclusivo delle così dette “autorità”. Scrive in proposito Giovanni Ferraro nel suo “Educazione alla speranza”: Il town planning non è semplicemente qualcosa da fornire dall’esterno e dall’alto (…) I desideri e le volontà dei cittadini che aspettano solo di elevarsi in azione efficace, al richiamo delle necessità civiche, sono la vera risorsa da mobilitare (…)
E di tutto questo, l’aspetto estetico non è il principale, anche perché i giudizi in gioco sono sempre e soltanto opinioni, magari anche fondate e colte e forse anche corrette, dell’immediato, e sempre occorre che trascorrano molti anni prima che il giudizio di bello e brutto (con annessi e connessi) in qualche modo diventi oggettivo, frutto della storia e non più della cronaca.

(Piazza Gae Aulenti)





E allora, ecco una prima risposta: Milano, come tutte le città di ogni parte del mondo, si trasforma al di là di ogni pianificazione generale, totalizzante, e di ogni valutazione estetica.

(Piazza Giulio Cesare)



Così, oggi accade che in piazza Amendola si sia costruita questa scultura, (Danza, di Pardi)


e che di fronte all’ingresso della Biblioteca Ambrosiana -piazza Pio XI- sia comparsa questa traduzione del pensiero di Leonardo, opera di Daniel Libeskind, probabilmente giudicabile come “dissonante” ma il cui vero difetto, almeno per me e oggi, è la difficoltà di comprensione da parte dell’osservatore qualunque, quello che rappresenta la maggioranza di noi. Io continuo a credere che qualsiasi opera d’arte debba instaurare un colloquio tra l’artista e l’osservatore e consentire una migliore conoscenza del tempo e dell’ambiente.


E che a Porta Garibaldi abbia sostato, per un brevissimo periodo, una visualizzazione dell’amore con una bambola gonfiabile.

A piazza della Conciliazione, questo “gesto per la libertà” di Carlo Ramous, invece…


Confesso: non sono in grado di giudicare in termini di bellezza e neppure di coerenza o di ambientazione. Posso solo dire che è così, e che bisogna farci l’abitudine e che un giorno, forse…
Posso, invece, sostenere che la fontana-monumento di piazza Croce Rossa non mi piace, e non solo per “sentire personale”: oggettivamente, è assolutamente incombente, riesce a creare uno spazio di buio là dove, invece, la luce dovrebbe esser padrona. Tra l’altro, il suo significato -se ne ha uno- non mi è chiaro. Sarebbe (forse) cosa buona provvedere a spostarla, ridonando così spazio e respiro anche alla via Montenapoleone. Naturalmente, se l’opera fosse veramente priva di significato e di valori estetici, il suo spostamento porterebbe comunque una ferita per l’area interessata. Che è uno dei tanti problemi di fronte ai quali si trova chiunque si occupi, a qualsiasi titolo, della città.
Tornando a piazza Croce Rossa, non starebbe male una fontana meglio dimensionata e, forse, più tradizionale: l’acqua è uno dei migliori pittori in qualsiasi parte del mondo e in ogni tempo.
Come la luce. E come la fantasia.

Ecco, allora, che piazzale Cadorna può esser visto anche in questo modo, così offrendo a chi arriva un orizzonte diverso, inconsueto, certamente in contrasto con il conclamato grigiore della nostra città, ma proprio per questo, forse, in armonia con quel fare e saper fare che la distinguono. E la “danza” di piazza Amendola può diventare così:


E alla scultura- traduzione del pensiero di Leonardo si può guardare da un angolo di visuale inusuale, forse anche meglio rispondente agli intenti dell’Autore, che sembra aver voluto tradurre l’universalità del triangolo come ispiratore e creatore di idee e di cose,


in qualche modo legandosi alle statue del Duomo, se le si osserva tentando di leggerne lo spirito, che sono l’ambiente dal quale Alessandra, il mio Spirito Guida, trae ispirazione per “creare idee”.


Perché la qualità della vita di una città è il risultato della partecipazione del cittadino, e dunque anche della fantasia e della creatività che ciascuno di noi riesce a mettere in gioco.
E dunque, gli artisti o comunque tutti coloro che realizzano qualcosa di proprio, bello o brutto che sia, consonante o dissonante con l’ambiente, nella realtà null’altro fanno se non offrire quello spunto creativo di cui tutti noi abbiamo bisogno assoluto.