LA CITTÀ
Quattro domande. Una
risposta
Testo e foto
di Paolo Maria Di
Stefano*
*Docente di marketing e comunicazione
Membro del comitato scientifico del laboratorio Polis Making
del Politecnico di Milano
Io credo, prima di tentare una risposta -comunque non facile- a
queste domande, che occorra fare una breve premessa. Questa: mai nessuna città
al mondo è stata ed è il risultato di una progettazione, di una programmazione,
di una costruzione pianificata, organizzata e gestita. Non certamente nel suo
insieme e, quando qualcosa in questo senso si è tentato, ha riguardato sempre
aree più o meno limitate, e non sempre con i risultati ideati e progettati.
Tanto per richiamare i tentativi
più vicini a noi, ricorderò l’utopia di Adriano Olivetti e, oggi, quel
laboratorio del Politecnico di Milano noto come Polis Making, e del quale il
caso ha voluto che in qualche modo mi occupassi.
Il mio Spirito Guida -Alessandra,
architetto impegnato in progetti di respiro planetario- mi ha fatto notare come
la città non sia mai stata e non sia oggi un puro affare di architettura, bensì
qualcosa che va molto oltre e che riguarda in ogni aspetto la “vita” dell’agglomerato
e la sua capacità di accogliere al meglio gli abitanti e farlo in un ambiente e
con una qualità di vita quanto migliori possibili.
Che è la filosofia delle ricerche
di Polis Making – che, per quanto mi riguarda, ho cercato di rendere nel mio “Product Management – dalla gestione del
prodotto alla gestione dello scambio” (Franco Angeli 2010) e non è problema
esclusivo delle così dette “autorità”. Scrive in proposito Giovanni Ferraro nel
suo “Educazione alla speranza”: Il town
planning non è semplicemente qualcosa da fornire dall’esterno e dall’alto (…) I
desideri e le volontà dei cittadini che aspettano solo di elevarsi in azione
efficace, al richiamo delle necessità civiche, sono la vera risorsa da
mobilitare (…)
E di tutto questo, l’aspetto
estetico non è il principale, anche perché i giudizi in gioco sono sempre e
soltanto opinioni, magari anche fondate e colte e forse anche corrette, dell’immediato,
e sempre occorre che trascorrano molti anni prima che il giudizio di bello e brutto
(con annessi e connessi) in qualche modo diventi oggettivo, frutto della storia
e non più della cronaca.
(Piazza Gae Aulenti)
E allora, ecco una prima
risposta: Milano, come tutte le città di ogni parte del mondo, si trasforma al
di là di ogni pianificazione generale, totalizzante, e di ogni valutazione
estetica.
(Piazza Giulio Cesare)
Così, oggi accade che in piazza
Amendola si sia costruita questa scultura, (Danza,
di Pardi)
e che di fronte all’ingresso
della Biblioteca Ambrosiana -piazza Pio XI- sia comparsa questa traduzione del
pensiero di Leonardo, opera di Daniel Libeskind, probabilmente giudicabile come
“dissonante” ma il cui vero difetto, almeno per me e oggi, è la difficoltà di
comprensione da parte dell’osservatore qualunque, quello che rappresenta la
maggioranza di noi. Io continuo a credere che qualsiasi opera d’arte debba instaurare
un colloquio tra l’artista e l’osservatore e consentire una migliore conoscenza
del tempo e dell’ambiente.
E che a Porta Garibaldi abbia
sostato, per un brevissimo periodo, una visualizzazione dell’amore con una
bambola gonfiabile.
A piazza della Conciliazione, questo
“gesto per la libertà” di Carlo Ramous, invece…
Confesso: non sono in grado di
giudicare in termini di bellezza e neppure di coerenza o di ambientazione.
Posso solo dire che è così, e che bisogna farci l’abitudine e che un giorno,
forse…
Posso, invece, sostenere che la
fontana-monumento di piazza Croce Rossa non mi piace, e non solo per “sentire
personale”: oggettivamente, è assolutamente incombente, riesce a creare uno
spazio di buio là dove, invece, la luce dovrebbe esser padrona. Tra l’altro, il
suo significato -se ne ha uno- non mi è chiaro. Sarebbe (forse) cosa buona
provvedere a spostarla, ridonando così spazio e respiro anche alla via
Montenapoleone. Naturalmente, se l’opera fosse veramente priva di significato e
di valori estetici, il suo spostamento porterebbe comunque una ferita per
l’area interessata. Che è uno dei tanti problemi di fronte ai quali si trova
chiunque si occupi, a qualsiasi titolo, della città.
Tornando a piazza Croce Rossa,
non starebbe male una fontana meglio dimensionata e, forse, più tradizionale:
l’acqua è uno dei migliori pittori in qualsiasi parte del mondo e in ogni
tempo.
Come la luce. E come la fantasia.
Ecco, allora, che piazzale
Cadorna può esser visto anche in questo modo, così offrendo a chi arriva un
orizzonte diverso, inconsueto, certamente in contrasto con il conclamato
grigiore della nostra città, ma proprio per questo, forse, in armonia con quel
fare e saper fare che la distinguono. E la “danza” di piazza Amendola
può diventare così:
E alla scultura- traduzione del
pensiero di Leonardo si può guardare da un angolo di visuale inusuale, forse
anche meglio rispondente agli intenti dell’Autore, che sembra aver voluto
tradurre l’universalità del triangolo come ispiratore e creatore di idee e di
cose,
in qualche modo legandosi alle
statue del Duomo, se le si osserva tentando di leggerne lo spirito, che sono
l’ambiente dal quale Alessandra, il mio Spirito Guida, trae ispirazione per
“creare idee”.
Perché la qualità della vita di
una città è il risultato della partecipazione del cittadino, e dunque anche
della fantasia e della creatività che ciascuno di noi riesce a mettere in
gioco.
E dunque, gli artisti o comunque
tutti coloro che realizzano qualcosa di proprio, bello o brutto che sia,
consonante o dissonante con l’ambiente, nella realtà null’altro fanno se non
offrire quello spunto creativo di cui tutti noi abbiamo bisogno assoluto.