Pagine

martedì 10 marzo 2015

 CONVERSAZIONE CON GABRIELE SCARAMUZZA

In occasione della pubblicazione del suo libro di memorie, In fondo al giardino, Angelo Gaccione ha conversato con il suo autore, Gabriele Scaramuzza.

Gabriele Scaramuzza alla sala del Grechetto della Biblioteca Sormani di Milano
in occasione dell'incontro per il decennale del giornale "Odissea"
Nella foto anche i collaboratori Dalla Chiesa, Papi, De Monticelli, Bianchi Colombo
e il direttore Angelo Gaccione (27 Settembre 2013) 

Gaccione: In fondo al giardino nasce in un’età più che matura. Arriva un momento in cui non si può più tenere a bada la propria memoria: è cosi? 
Scaramuzza: Certamente sì, e infatti così è stato per me. Devo però dire che ho sempre desiderato di scrivere del mio passato. Cosa che è stata tuttavia di fatto sempre rinviata - a torto - dai troppi impegni che mi ero preso per il lavoro, e che a volte vivevo come eccedenti le mie forze.   
Gaccione: Inzago e non Milano (se non marginalmente); è l’adolescenza che si fissa in noi e poi ritorna, o è qualcosa in più? 
Scaramuzza: A Inzago siamo sfollati, era il paese d’origine della mia famiglia, e anche dopo la guerra, fino all’approssimarsi dell’adolescenza, fu il nostro posto di vacanze; lì si sono formate le prime impressioni, che resteranno poi per tutta la vita. A un certo punto ho creduto di essermi emancipato da quell’ambiente, davvero estraneo a quello incontrato poi. A Milano sono nato alla vita della cultura (oltre che anagraficamente), mi sono sentito rinascere. Ma era un’illusione credere di essersi del tutto liberati da condizionamenti profondi, che sopravvivono comunque.  
Gaccione: Inzago sono le tue radici, in fondo. I tuoi genitori vengono da lì e vi hanno a lungo vissuto. Hai ricomposto, seppure per frammenti, per brandelli, la memoria di luoghi, odori, umori, visi, corpi… in una parola: vite.
Scaramuzza: soprattutto la mia ricostruzione è per frammenti, non ha continuità, né linearità. Siamo un fascio di realtà e di possibilità che fatichiamo a ricondurre, come vorremmo, a un unico centro. Un’autobiografia in questo senso mi è impossibile. La biografia impossibile non a caso è il titolo di un libro di Fulvio Papi a me caro. Farei valere anche nel mio caso quanto vi trovo scritto: “biografie che immaginino di raccontare la verità di una esistenza sono impossibili. […] Restano immagini, ricordi, emozioni, personaggi, ossessioni, racconti, frammenti”. Ed è di questo solo che mi sono sentito di scrivere, di qui il termine “ritagli” nel sottotitolo.      
Gaccione: Se dovessi dire che cosa hai irrimediabilmente perduto di quella stagione, di quel mondo, qual è la parola che più profondamente potrebbe definirlo e perché?  
Scaramuzza: Il libero respiro della campagna, oggi contaminata anche a Inzago. Allora era la nostra possibilità di fuga dagli spazi soffocanti della città, dall’inquinamento, dagli incubi ambientali. Ed è rimasto un messaggio, solo un miraggio forse, ma sempre vivo.    
Gaccione: Parlando del suo periodo di povertà nella Parigi di Montmartre, (siamo tra la Belle Epoque e la Grande Guerra), Picasso lo ricorda con profonda nostalgia, come il più felice della sua vita, rispetto a quello dorato del successo e della ricchezza venuto dopo. Nel libro anche tu lo metti a confronto con gli anni milanesi successivi alla guerra, e hai lo stesso atteggiamento. Tuttavia Milano resta il luogo della tua carriera intellettuale, delle migliorate condizioni sociali, il tuo ingresso nel mondo accademico e le intense e proficue relazioni con i luoghi della cultura…
Scaramuzza: Certo, è così; anche se un confronto con Picasso sarebbe troppo per me. Dire però che ho profonda nostalgia per quel luogo comunque complesso, non privo di disagi e di lati problematici, sarebbe solo edulcorante.
Gaccione: Io sono molto affascinato dai dialetti, dalle lingue madri. Nel libro si sente che ne sei impastato. Lo usi ancora?
Scaramuzza: no, non lo uso, non l’ho mai usato. A casa mia i miei lo parlavano, ma a mia sorella e a me era proibito, “perché dovevamo studiare”. A torto, perché il nostro italiano era estremamente misero rispetto alla ricchezza espressiva del dialetto. Anche per questo il dialetto mi resta comunque dentro, in qualche caso ci ritorno, per espressioni saporite insostituibili; o per contare, non so perché ma i numeri mi vengono sempre in dialetto.  
Gaccione: Cosa vorresti che il lettore cogliesse da queste pagine? 
Scaramuzza: Non è da tacere che le ho scritte in primo luogo per me, è stato un sollievo e vorrei trasparisse. Soprattutto vorrei che qualcuno ci si riconoscesse, e poi anche che si capisse il desiderio di raccontare quel mondo, ora apparentemente così lontano. Per questo sono grato innanzitutto a mia sorella, che ora non è più, e cui ho dedicato il libro; mi ha incoraggiato, ha seguito la stesura del libro e mi ha dato consigli insostituibili. Naturalmente mi ha fatto poi piacere che qualcuno apprezzasse, fino ad aiutarmi a pubblicare queste mie memorie. E qui il mio grazie va innanzitutto in particolare a Mimesis, nella persona di Stefano Raimondi, che con grande sensibilità mi ha introdotto a “La vita di Sophia”.    


Gabriele Scaramuzza
In fondo al giardino
Mimesis Edizioni, 2014
Pagg. 134 € 14,00

Copertina del libro di Scaramuzza