CONVERSAZIONE CON GABRIELE SCARAMUZZA
In occasione della
pubblicazione del suo libro di memorie, In
fondo al giardino, Angelo Gaccione ha conversato con il suo autore,
Gabriele Scaramuzza.
Gaccione: In fondo al giardino nasce in un’età più
che matura. Arriva un momento in cui non si può più tenere a bada la propria
memoria: è cosi?
Scaramuzza: Certamente
sì, e infatti così è stato per me. Devo però dire che ho sempre desiderato di
scrivere del mio passato. Cosa che è stata tuttavia di fatto sempre rinviata -
a torto - dai troppi impegni che mi ero preso per il lavoro, e che a volte
vivevo come eccedenti le mie forze.
Gaccione: Inzago
e non Milano (se non marginalmente); è l’adolescenza che si fissa in noi e poi
ritorna, o è qualcosa in più?
Scaramuzza: A
Inzago siamo sfollati, era il paese d’origine della mia famiglia, e anche dopo
la guerra, fino all’approssimarsi dell’adolescenza, fu il nostro posto di
vacanze; lì si sono formate le prime impressioni, che resteranno poi per tutta la vita. A un certo punto ho
creduto di essermi emancipato da quell’ambiente, davvero estraneo a quello
incontrato poi. A Milano sono nato alla vita della cultura (oltre che
anagraficamente), mi sono sentito rinascere. Ma era un’illusione credere di essersi
del tutto liberati da condizionamenti profondi, che sopravvivono comunque.
Gaccione: Inzago
sono le tue radici, in fondo. I tuoi genitori vengono da lì e vi hanno a lungo
vissuto. Hai ricomposto, seppure per frammenti, per brandelli, la memoria di
luoghi, odori, umori, visi, corpi… in una parola: vite.
Scaramuzza: soprattutto
la mia ricostruzione è per frammenti, non ha continuità, né linearità. Siamo un
fascio di realtà e di possibilità che fatichiamo a ricondurre, come vorremmo, a
un unico centro. Un’autobiografia in questo senso mi è impossibile. La biografia impossibile non a caso è il
titolo di un libro di Fulvio Papi a me caro. Farei valere anche nel mio caso
quanto vi trovo scritto: “biografie che immaginino di raccontare la verità di
una esistenza sono impossibili. […] Restano immagini, ricordi, emozioni,
personaggi, ossessioni, racconti, frammenti”. Ed è di questo solo che mi sono
sentito di scrivere, di qui il termine “ritagli” nel sottotitolo.
Gaccione: Se
dovessi dire che cosa hai irrimediabilmente perduto di quella stagione, di quel
mondo, qual è la parola che più profondamente potrebbe definirlo e perché?
Scaramuzza: Il
libero respiro della campagna, oggi contaminata anche a Inzago. Allora era la
nostra possibilità di fuga dagli spazi soffocanti della città, dall’inquinamento,
dagli incubi ambientali. Ed è rimasto un messaggio, solo un miraggio forse, ma
sempre vivo.
Gaccione: Parlando
del suo periodo di povertà nella Parigi di Montmartre, (siamo tra la Belle
Epoque e la Grande
Guerra ), Picasso lo ricorda con profonda nostalgia, come
il più felice della sua vita, rispetto a quello dorato del successo e della
ricchezza venuto dopo. Nel libro anche tu lo metti a confronto con gli anni
milanesi successivi alla guerra, e hai lo stesso atteggiamento. Tuttavia Milano
resta il luogo della tua carriera intellettuale, delle migliorate condizioni
sociali, il tuo ingresso nel mondo accademico e le intense e proficue relazioni
con i luoghi della cultura…
Scaramuzza: Certo,
è così; anche se un confronto con Picasso sarebbe troppo per me. Dire però che
ho profonda nostalgia per quel luogo comunque complesso, non privo di disagi e
di lati problematici, sarebbe solo edulcorante.
Gaccione: Io sono
molto affascinato dai dialetti, dalle lingue madri. Nel libro si sente che ne
sei impastato. Lo usi ancora?
Scaramuzza: no,
non lo uso, non l’ho mai usato. A casa mia i miei lo parlavano, ma a mia
sorella e a me era proibito, “perché dovevamo studiare”. A torto, perché il
nostro italiano era estremamente misero rispetto alla ricchezza espressiva del
dialetto. Anche per questo il dialetto mi resta comunque dentro, in qualche
caso ci ritorno, per espressioni saporite insostituibili; o per contare, non so
perché ma i numeri mi vengono sempre in dialetto.
Gaccione: Cosa
vorresti che il lettore cogliesse da queste pagine?
Scaramuzza: Non è
da tacere che le ho scritte in primo luogo per me, è stato un sollievo e vorrei
trasparisse. Soprattutto vorrei che qualcuno ci si riconoscesse, e poi anche
che si capisse il desiderio di raccontare quel mondo, ora apparentemente così
lontano. Per questo sono grato innanzitutto a mia sorella, che ora non è più, e
cui ho dedicato il libro; mi ha incoraggiato, ha seguito la stesura del libro e
mi ha dato consigli insostituibili. Naturalmente mi ha fatto poi piacere che
qualcuno apprezzasse, fino ad aiutarmi a pubblicare queste mie memorie. E qui
il mio grazie va innanzitutto in particolare a Mimesis, nella persona di
Stefano Raimondi, che con grande sensibilità mi ha introdotto a “La vita di Sophia”.
In fondo al
giardino
Mimesis Edizioni, 2014
Pagg. 134 € 14,00
Copertina del libro di Scaramuzza |