Pagine

martedì 30 giugno 2015

Khalida Jarrar: Lettera dal carcere
Khalida Jarrar, arrestata in occasione delle irruzioni dell’esercito sionista della notte del 2 aprile a Ramallah e a Betlemme, e tuttora detenuta, lancia in suo appello chiedendo sostegno internazionale attraverso un’accorata lettera.

Khalida Jarrar
Negli ultimi anni ho continuamente parlato della causa dei prigionieri palestinesi, dei loro numeri, delle loro condizioni di detenzione, delle statistiche, cifre e percentuali. Ho parlato del milione di palestinesi che dal 1967 è passato per le carceri israeliane. Questo dato significa che un palestinese su quattro è stato arrestato almeno una volta nella vita. Ho parlato delle donne arrestate a centinaia, tra queste 24 sono tuttora prigioniere; ho parlato delle migliaia di bambini arrestati in violazione di tutte le leggi e le convenzioni internazionali. Ad oggi, tra i 6.000 prigionieri palestinesi, 240 sono bambini. Nelle carceri ci sono anche prigionieri con gravi malattie incurabili, alcuni dei quali molto anziani, praticamente dei condannati a morte. Altri circa 600 prigionieri scontano periodi di detenzione amministrativa, senza alcuna giustificazione legale o accusa a loro carico, una pratica risalente al periodo del mandato britannico in Palestina 70 anni fa, lo stesso periodo della fine del periodo nazista, quel periodo che malauguratamente ricorda la nostra epoca per tutto ciò che ho descritto. Per più di 9 anni, in qualità di membro eletto dal popolo palestinese nella sua lotta per la liberazione, all’interno del Consiglio legislativo Palestinese ho ricoperto la carica di presidente della Commissione incaricata delle questioni dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. In precedenza, per 13 anni, sono stata la direttrice generale dell’associazione Addameer per i diritti dei prigionieri e i diritti umani, una delle più importanti associazioni la cui missione è la difesa dei prigionieri. Questo significa che ho dedicato gli ultimi miei 20 anni di vita nel sostenere i prigionieri della Palestina nelle carceri dell’occupante, per la libertà negata ai prigionieri dall’occupazione coloniale, l’ultima esistente al mondo. Durante tutti questi anni, e soprattutto dopo la mia elezione, che mi ha permesso di essere un rappresentante del popolo, ho difeso con tutte le mie forze i prigionieri, i loro diritti, la lotta contro le condizioni del loro arresto, contro i metodi utilizzati durante gli interrogatori e le confessioni estorte, le false accuse. Ho difeso il loro diritto ad avere accesso alle cure mediche, il diritto alla vita e alla liberazione, perché sarebbero colpevoli solo di difendere la libertà del loro popolo oppresso, un’azione riconosciuta da tutte le leggi internazionali e dalle Nazioni Unite, le cui leggi e convenzioni si applicano a tutti noi.
Mi sono sempre rivolta ai popoli di tutto il mondo chiedendo ai deputati rappresentanti del popolo, ai rappresentanti dei governi e presidenti, di schierarsi al fianco dei detenuti palestinesi, di schierarsi dalla parte di coloro che sono alla ricerca di giustizia, libertà, valori e diritti umani. Ho sempre chiesto la condanna dell’occupazione, la sua sanzione e la sua fine. Continuo a credere che questo sia dovere di tutti, è vostro dovere come lo è per noi palestinesi. Oggi affermo di non essere cambiata: le mie posizioni, la mia convinzione e la mia volontà restano intatte, sebbene la mia posizione ora sia diversa: osservo la questione da un’altra prospettiva e da questa prospettiva vedo le cose in modo più chiaro. Oggi sono parte delle 24 prigioniere di cui ho parlato in precedenza, dei 6000 prigionieri, uno dei tanti prigionieri che soffrono la violenza carceraria e che sopportano il peso dell’ingiustizia ogni giorno, ogni ora, in ogni momento. Oggi, dopo essere stata arrestata in casa mia, davanti alla mia famiglia e a mio marito, ho tolto qualcosa al mio popolo privandolo del mio dovere nel servire chi mi ha eletto. Oggi, ho consapevolezza di come arrivano i soldati dell’occupazione, armati di tutta la loro “tenacia” e “mostruosità”, sono arrivati a casa mia nel cuore della notte, mi hanno ammanettato, bendato gli occhi e portato in un posto che non conosco.
Oggi mi è stato comunicato che la mia detenzione amministrativa è stata confermata, la detenzione ai sensi di un decreto più vecchio di me, un decreto che non rappresenta l’umanità del nostro tempo. Oggi il governo dell’occupante ha cominciato a tremare, dopo aver subito la vostra pressione e quella dei liberi di questo mondo che condannano il mio arresto insensato. Questo però non ha impedito all’occupante di applicare le sue leggi più razziste, così sono stata mandata in un tribunale che tutti sappiamo illegittimo, dinanzi a giudici di cui tutti noi conosciamo l’incompetenza, perché un carnefice non potrà mai essere il giudice della sua vittima. Anche se sappiamo essere in grado di trovare difetti nelle loro leggi obsolete, resta l’ultima parola ai rappresentanti della loro entità d’occupazione, il pubblico ministero, perché non vi è alcuna autorità superiore a quella della colonizzazione con le sue ingiuste leggi. Poco male; questo è il prezzo che noi paghiamo per la nostra libertà, per la nostra dignità e per quella del mondo. Noi ci armiamo del vostro sostegno e, quando sentiamo la vostra voce di solidarietà con la nostra resistenza, in noi crescono forza e fermezza. Oggi vi scrivo da prigioniera non sapendo ancora quale sarà il mio destino, quanto tempo rimarrò in questa prigione sporca che non è fatta per gli esseri umani. Non so nemmeno se troverò un medico degno del suo titolo una volta malata, non so se il cibo che mi danno è inquinato o se l’acqua è avvelenata, non so quando il mio carceriere piomberà nella mia cella per tenermi sveglia e violare la mia intimità. Non so quando potrò prendere le mie bambine, Yafa e Suha, tra le braccia, non so quando bacerò mio marito né quando potrò essere abbracciata da mia madre e quando potrò baciare la fronte di mio padre. So che per tutto questo ho bisogno di voi, di ogni voce libera in questo mondo che ripeta assieme a me e al mio popolo: Abbasso l’occupazione, e che possa il popolo palestinese godere della libertà!

***
UNA BUONA NOTIZIA
Khader Adnan sarà liberato il 12 luglio

Manifestazione per la libertà di Khader Adnan
Prigioniero politico palestinese in sciopero della fame per un lungo periodo, ha ottenuto la vittoria per la seconda volta con la sua lotta e determinazione. Nel primo mattino del 29 giugno, dopo 55 giorni di sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione amministrativa senza né accusa né processo, la moglie di Adnan, Randa, ha annunciato che è stato raggiunto un accordo con i carcerieri israeliani per la sua liberazione che avverrà il 12 luglio. Ha inoltre affermato che ci si impegnerà per porre fine all'uso della detenzione amministrativa, in base al quale Adnan è stato arrestato per oltre 6 anni attraverso molteplici arresti. Khader Adnan, 37 anni, panettiere di Jenin e militante politico, è stato anche rilasciato dalla detenzione amministrativa israeliana senza accusa e senza condanna nel 2012 dopo uno sciopero della fame di 67 giorni che ha suscitato ampio sostegno palestinese ed internazionale, contribuendo a rivitalizzare il movimento di massa per la libertà dei prigionieri palestinesi. Uscito il 17 aprile 2012, è stato nuovamente arrestato l'8 luglio 2014 e da allora è trattenuto senza alcuna accusa nelle carceri israeliane. Ha iniziato il suo nuovo sciopero della fame lo scorso 5 maggio per protestare contro il rinnovo della sua detenzione amministrativa fino a raggiungere una fase critica di salute. Randa Adnan, i figli e il padre hanno visitato Khader all'ospedale di Assaf Harofeh, dove è detenuto, con mani e piedi incatenati al suo letto d'ospedale dopo l'annuncio dell'accordo.
Venerdì, centinaia di Palestinesi avevano marciato attraverso il complesso di al-Aqsa a sostegno del prigioniero amministrativo Khader Adnan, al suo 53° giorno di sciopero della fame. I manifestanti si erano diretti verso la Cupola della Roccia, cantando slogan e chiedendo l’immediato rilascio di Adnan, divenuto il simbolo dei detenuti amministrativi, senza accuse e senza processo, vittima dell’ingiustizia israeliana. Lo sciopero è una protesta contro la detenzione amministrativa, con la quale i detenuti sono trattenuti ad oltranza senza accuse o processi. Israele ha imprigionato migliaia di palestinesi durante gli anni con questo tipo di procedura, per periodi che vanno da alcuni mesi a diversi anni. Il più alto numero di detenzioni amministrative è avvenuto durante la prima Intifada, nel 1989, quando ha raggiunto i 2000 prigionieri. Il movimento del Jihad islamico, a cui Adnan è affiliato, aveva dichiarato venerdì che se il prigioniero fosse morto in carcere, il cessate-il-fuoco stipulato con Israele ad agosto del 2014, dopo 51 giorni di offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, sarebbe stato a rischio.