MILANO. MONTE STELLA-GIARDINO
DEI GIUSTI
Continua il
confronto
Stefano Levi Della torre
risponde a Giancarlo Cosonni
Stefano Levi Della Torre |
Caro Giancarlo,
la più
profonda amicizia, stima e fiducia che ho per te da decenni inducono il
dispiacere per un dissenso che mi sembra dividerci e vorrei precisarne i
termini, oltre a quanto ho già esposto nella lettera pubblicata, insieme con la
tua, su “Odissea”.
A- Il Giardino dei Giusti non ha da essere un discreto e silenzioso parco
delle rimembranze, ma un luogo in cui si sono svolte e si dovranno svolgere
delle attività di informazione, comunicazione, e discussione che coinvolgano
soprattutto i giovani e le scuole. E queste attività richiedono certe
attrezzature, in particolare un luogo di seduta collettiva.
Il motivo del dissenso che mi sembra
sussistere tra noi su questo aspetto riguarda la natura stessa del Giardino dei
Giusti. Mi è parso affiorare un equivoco, là dove nella tua lettera parli della
“tragedia che non si vuole sia dimenticata”, e sembra che tu alluda allo
sterminio degli ebrei. Non è così. Non si parla di una tragedia, ma di molte tragedie, anche in corso; e i Giusti non
sono solo quelli che hanno salvato degli ebrei mettendo a rischio la propria
vita e la propria famiglia, ma tutti coloro che hanno fatto o fanno la stessa
cosa a favore di chiunque sia ingiustamente perseguitato, ieri come oggi. E di
persecuzione è pieno il mondo. Questa impostazione, che condivido pienamente,
ha creato una dura polemica tra Gariwo da un lato, lo Yad Vashem di Gerusalemme
e una parte del mondo ebraico dall’altro, timorosi che una tale
generalizzazione o universalizzazione del concetto di “Giusti” possa annacquare
e sminuire l’idea di Giusti, che ha preso le mosse in riferimento alla Shoà.
Ora, il Giardino dei Giusti non è un luogo di rimembranza dovuta solo a una
culminante tragedia del passato, la Shoà; è invece un luogo in cui si parla sia
di storia sia di attualità del dramma. E quella istituzione che ha una funzione
fondamentale e principale nel confronto e convivenza tra culture, che è la
scuola, ha da trovare nel Giardino dei Giusti un luogo in cui i giovani di
varia provenienza sentano parlare e possano ragionare sulle tragedie, le virtù,
le testimonianze che riguardano i paesi del mondo, e i loro stessi paesi di
provenienza. Un luogo in cui l’accento delle testimonianze si sposta dal dramma
alle possibilità quanto meno di arginarlo quando sia in corso.
L’attribuire
a queste funzioni la svilente qualificazione di “indottrinamento” a me pare del
tutto fuori luogo. E, come sempre, per comprendere appieno la validità di una
simile critica, si tratta di sapere quale sia l’alternativa.
Dunque, il
Giardino dei Giusti deve svolgere delle attività, delle funzioni, e di
conseguenza ha bisogno di attrezzature che le consentano.
B- Il Giardino dei Giusti ha bisogno di un’immagine. Non vogliamo chiamarla
“monumentale”, perché sa troppo di enfasi retorica? E allora non chiamiamola
così. Ma il Giardino deve avere un suo segno che lo distingue. È all’origine di
molti altri Giardini in giro per l’Europa, nati con lo stesso spirito
universalistico che ho spiegato sopra. E la sua immagine ha da rispondere sia
al rispetto dovuto al Monte Stella, sia alla riconoscibilità internazionale di
questo Giardino originario. Il quale ha messo radici sul Monte Stella fin dal
2003, se non sbaglio, tanto da costituirne già una tradizione.
Quanto
all’immagine, a me sembra ottima l’idea di Gariwo di invitare artisti delle
arti plastiche a esporre gratuitamente un’opera (ogni tre anni ad es., e
attraverso selezione anche internazionale) in un luogo definito del Giardino.
Il quale, più che di recinti, ha bisogno di una polarità centrale
significativa. E questo impegno di arte e cultura darebbe ulteriore lustro
tanto al Giardino quanto al Monte.
Mi sembra che
il Monte Stella e il Giardino dei Giusti possano facilmente trovare una
convergenza e un potenziamento reciproco dei rispettivi messaggi: il Monte
Stella come riemersione creativa dai disastri della guerra, il giardino dei
Giusti come prospettive aperte al futuro, come brecce nell’oscurità delle
persecuzioni di ieri e di oggi, e di domani.
Dunque, la
collocazione del Giardino dei Giusti nel luogo in cui è nato si basa su tre
ragioni: 1- perché è ormai consuetudine e
tradizione, e non mi sembra il caso che gli alberi già piantati in onore dei
giusti vengano spodestati da tale prerogativa ed origine; 2- perché l’attività che vi si svolge è del tutto
coerente con il messaggio originario del Monte Stella; 3-
e anzi l’attività del Giardino può di continuo attualizzare il senso
dello stesso Monte. Al di là delle sue asprezze, la discussione in corso
suggerisce l’idea di mettere in maggiore evidenza la convergenza tre il
messaggio del Monte e quello del Giardino. E quanto alla proposta di istituire
un secondo Giardino in piazza Fontana mi sembra porre la domanda: quale
rapporto tra i due Giardini? Perché alcuni giusti qui e altri là? E come
gestire entrambi i luoghi? Non si trattava di fare sull’argomento proprio un
discorso trasversale e unitario? Oppure la proposta consiste nella dismissione
e trapianto in Pizza Fontana del Giardino di Monte Stella?
È vero, mi
sono occupato di monti sacri, del Sinai, del Golgota, dell’Olimpo; mi sono
occupato anche di Sacri Monti, a cominciare da quello di Varallo. Mi sono
occupato anche di giardini sacri, dall’Eden a quello delle Esperidi. Ma non mi
sono mai sentito esentato dal mantenere un atteggiamento laico al cospetto
della sacralità di monti o giardini. Pure la polemica attuale mi sembra aver
raggiunto i toni di crociata, con accuse reciproche di tradire i valori più
sacri.
C- Nell’impostazione
dell’intervento a Monte Stella c’è un difetto
di procedura: la progettazione “a chiamata”
invece che “a concorso” su una questione che riguarda il pubblico e al pubblico
è destinata. L’associazione che ha promosso l’iniziativa, pur includendo il
Comune di Milano, oltre all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) e a
Gariwo, si è mossa con criteri decisionistici. Questo è negativo. Il lato positivo
della procedura sta però nella gestione
dei costi: Gariwo si è assunto l’onere di sostenere le spese, a proprio carico
e tramite sottoscrizione cittadina, mentre l’architetto Stefano Valabrega,
designato “a chiamata”, ha accettato di lavorare gratis, o più precisamente a
sostenere a proprie spese gli ingenti costi della progettazione, delle sue
modifiche e dei collaboratori regolarmente stipendiati. Non so se questa esenzione
del pubblico dai costi sarebbe stato conseguibile con procedure diverse. E non
so neppure se metta conto di rispondere a quell’obbiezione che qualcuno ha mosso
nel corso della polemica, secondo cui gli oneri sul pubblico, cioè “sui nostri
soldi”, sarebbero comunque ricaduti a causa dell’illuminazione aggiuntiva del
luogo: può essere evidente a tutti che un’oasi di luce non potrebbe che
migliorare la sicurezza e la fruibilità del Monte anche di notte o di inverno.
D- Confesso
che il mio sogno, da ultimo arrivato, sarebbe quello di rilanciare il confronto
in termini civili con la disponibilità a ridiscutere diversi aspetti del progetto.
Il consenso ottenuto presso la Soprintendenza e il Comune possono indurre
Gariwo e l’arch. Valabrega ad accontentarsi del risultato istituzionale. Ma non esiste solo questo livello.
Più importante ancora è che la cosa non si sviluppi in mezzo a tanta
ostilità, che è del tutto in contrasto con il senso del Monte e del Giardino, e
che si è piegata ormai a toni di accusa e sospetto personali. Il credito alla
buona fede delle parti è molto più fondato dell'accusa reciproca di malafede
che ha preso il sopravvento come arma polemica. L'assenso istituzionale non è sufficiente per un argomento di
tale portata.
In un sopralluogo con l’arch. Valabrega alla balza del Monte ho formulato le mie
seguenti considerazioni: 1- che i disegni
presentati, almeno quelli che conosco, danno
una visione falsata e autolesionista del progetto, in particolare nella sua
proporzione e contestualizzazione rispetto all' insieme di Monte Stella e nel
rapporto tra parti nuove e parti già esistenti, nonché nella natura dei
materiali usati; 2- che occorre dare maggiore
enfasi all'idea dell'opera periodica degli artisti scultori, perché la caratterizzazione
del luogo sia data più dalla sua polarità simbolica interna, dal suo
"ombelico" espressivo, piuttosto che dalla sua delimitazione; 3- che
i giovani che hanno frequentato in questi anni il Giardino hanno spontaneamente
già tracciato certi percorsi e il luogo delle sedute collettive, e su queste
indicazioni mi parrebbe utile continuare la discussione. Da ultimo
arrivato, dixi et servavi animam meam.
Stefano Levi Della Torre (29 giugno 2015)