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venerdì 12 giugno 2015

Renzismi
di Giovanni Bianchi

La scena e la diagnosi
La società continua ad essere evidentemente liquida, resa tale dai poteri che la dominano da sopra e da fuori. Anzi, più probabilmente siamo assoggettati al potere finanziario, un continuum, che ha eliminato gli altri poteri disseminati e li ha riassunti concentrandoli.
È questa struttura che ha creato e determina la società liquida. Sulle onde e sui marosi di questa liquidità viaggiano i populismi politici, mentre sono andati progressivamente sparendo i soggetti e i conflitti, ridotti, secondo il parere di Carlo Galli, a "manifestazioni di rabbia transitoria".
Ciò spiega la rapidità con la quale gli occupay qualcosa si sono presentati e poi via via eclissati. In un quadro siffatto la politica appare come lo sforzo di creare ordine dal nulla, meglio, questa dovrebbe essere e continuare ad essere la vocazione tradizionale della politica e soprattutto dalla grande politica. Evidentemente le cose non stanno svolgendosi in questo modo e le leadership hanno bisogno del nichilismo e del disordine per legittimare il carattere personale dei rispettivi poteri. Meglio, provano a presentarsi come instauratrici di un ordine nuovo. In effetti la loro frenesia rappresentativa, l'inseguimento del consenso tra i cittadini non più cittadini e sempre più consumatori, propone nuove rappresentazioni a ritmo frenetico, passando da una scena all’altra, e tralasciando di rottamare sul serio.
Che fine hanno fatto le Province in Italia? Dovevano rappresentare un dimagrimento  razionalizzatore. Sono ancora lì: inerti, con le ferite aperte e l'inutilità della putredine.
Così pure da sempre il partito, non soltanto in Italia, appariva come l’instauratore classico di un ordine nuovo. L'attuale partito "gassoso" galleggia invece come un hovercraft sul nuovo disordine. Senza sarcasmo viene fatto di pensare che si sia finalmente realizzata la profezia del Sessantotto parigino: l'immaginazione al potere.
La verità è che all'ansia di governare si è sostituito il bisogno e addirittura la volontà di potenza di apparire governanti. Il consumo più diffuso sulle steppe di un'antica politica è quello di una gloria effimera.  Lo scettro per un'ora, anzi il microfono, non si nega a nessuno, tanto meno alla casalinga di Voghera, all'inventore da strapazzo, al bullo di periferia che ha bisogno di una comparsata su qualche canale televisivo, ai troppi che aspirano ad essere qualcuno e per questo sono disponibili a danzare non una sola estate, ma una mezz'oretta magari non tutta felice in cerca di talento e non tutta ben riuscita. La globalizzazione mette in scena lo strapaese. L'inglese maccheronico si sposa benissimo con i dialetti regionali. Le presentatrici con dizione da pescivendola (non si sono date il disturbo di un breve corso di dizione) cercano di parlare più con gli arti inferiori, lasciati abbondantemente scoperti, che con le labbra. Gli antichi soggetti che aspiravano alla potenza sono stati sostituiti da uno sgangherato teatro dei pupi che aspira soltanto alla rappresentazione se non al lazzo. L'autonarrazione di un sistema ha sostituito il sogno di una cosa. Prenderne atto è d'obbligo, come pure provare a mettere in campo qualche marchingegno per la sortita. Altrimenti si ricadrebbe nella maledizione di quello che papa Francesco ha definito l'eccesso diagnostico: una diagnosi perfetta che, senza intervenire neppure con un'aspirina, definisce perfettamente il cadavere.

Il nichilismo ottimistico
La cosa più curiosa è che su una scena ingombra di non poche macerie vanno in onda diversi nichilismi ottimistici in contesa tra di loro. Una strana rappresentazione colta con acume da Massimo Cacciari nell'ultima intervista a "Repubblica", con la voglia che ti prende di fermarti alla diagnosi e alla prima osteria dicendo che non c'è alternativa a tanto nichilismo.
In effetti siamo sempre nel congedo rimosso dal Novecento. Potrebbe anche dirsi, con uno scialo di antiche categorie, che si tratta di una condizione generalizzata "di destra" che ha eliminato anzitutto tutti i centri moderati, che le erano più prossimi, e sta enfaticamente divorando anche la sinistra. Nella piattezza uniforme non ci sono variazioni né speranze?
Torniamo alla cara immagine paterna di papa Francesco. Lui cerca un ordine pacifico e per questo, essendo semplicemente evangelico, può apparire di sinistra... Torna in campo prepotentemente il rapporto tra Chiesa e Illuminismo. Il riferimento a Rousseau pare d'obbligo, ma intanto a dilagare -oramai da decenni- è il superomismo di massa, che è ancora la definizione di Umberto eco di tanti anni fa. È lui che ha vinto nella società liquida che scorre sotto il cielo perennemente "sereno" dei consumi. Di fiera in fiera, di sconto in sconto, da cassa a cassa. Il messaggio è: "Siate avidi, perché l'avidità è buona". Competition is competition. La competizione non solo è necessaria ma è anche gratificante.
Ma fanno capolino un problema e una constatazione: a vincere possono essere "pochi". Vincono oggi e dilagano (si fa per dire) i superuomini dell'immagine, che invano tentano di far dimenticare di essere i "piazzisti" di Hannah Arendt.
E alle masse cosa spetta e cosa resta?
Ti puoi sempre identificare con il leader. Come ti identifichi con il calciatore che vince il campionato nazionale o il Pallone d'Oro. Sempre più il calcio è magister vitae: anche negli oratori ambrosiani, dove oramai ci sono più mister e mistresse che preti educatori.
Tutti stiamo cessando di essere cittadini (quel poco che ci era concesso di essere) per diventare tifosi. Anche nelle chiese. Pensate ai cori per papa Wojtyla, alle sette protestanti enfatiche, a Scientology. Sono tornati gli stregoni e hanno sostituito i ministri del culto. I pellegrinaggi (in sé buoni e indubbiamente popolari) rimpiazzano la santa messa. Il miracolo sostituisce l'ascesi e l'amore per il prossimo. Il prete riuscito non fa più il direttore spirituale, ma il santone e il guru. Anche i migliori si sono dimenticati di don Lorenzo Milani, che aveva abolito i biliardini, e si circondano di ragazzini in carriera calcistica, rivestiti di tutto punto consumistico. I benefattori si sono a loro volta trasformati in sponsor. Il paganesimo ci ha invasi e metamorfosati, e noi viviamo nelle parrocchie "alla corinzia", reinventandone ascesi e percorsi pedagogici.  Così i nostri leaders possono inventare gli 80 euro di successo elettorale, non ristrutturare il welfare come ci consiglia Stiglitz. Matteo viene da Firenze, la Firenze di don Milani e di La Pira, ma il suo modello è Della Valle, uno che si occupa dei piedi della gente foderandoli di scarpe alla moda. La dimensione emozionale nulla ha da spartire con la ruminazione della scelta e con la saggezza del politico (antico) che prima medita e poi decide ed interviene. I pensionati sestesi ex Pci, che nella piazza sotto casa disquisiscono ogni mattina della filosofia del pallone, si scagliano giustamente contro gli emolumenti dei politici, ma si augurano ad alta voce che il padrone della squadra del cuore la spunti con cifre da capogiro acquistando alla borsa calcistica quel calciatore, magari "di colore", sottratto dal tifo mondiale globalizzato alla pastorizia in savana. Come a codificare, anche di fronte alla coscienza nebbiosa di chi ha fatto le lotte, che nell'ambito del consumismo competitivo c'è posto per tutti, anche per i poveracci, purché stiano alle regole del gioco e non mettano in discussione la logica del narcisismo acquisitivo. La ripetizione seriale, ed anche africana e subsahariana, del mito statunitense, per il quale qualsiasi americano può diventare presidente della Repubblica, purché ovviamente dia garanzie di muoversi nell'american way of life.
Detto alla plebea e senza malizia, plaudono al turbocapitalismo che sta facendo a pezzi lo Stato e lo Stato Sociale. Mettono tra parentesi che i nuovi circenses fanno parte del gioco e dell'ideologia che il gioco legittima insieme alle sue fonti. Potrebbe anche funzionare, ma ponendo mente a una qualche sostituzione...

In chiave europea
Nell'Europa ordoliberista gli Stati non potendo svalutare l'euro, svalutano di lavoro.
Il lavoro che a mio giudizio è nel cuore ineliminabile del cattolicesimo democratico, della dottrina sociale della Chiesa, del magistero di papa Francesco. E dovrebbe far riflettere la circostanza che un papa sudamericano, dichiaratamente impolitico (fu estraneo o addirittura si oppose alla teologia della liberazione), un uomo di Dio, esclusivamente fondato sul Vangelo, riesca a proporre quotidianamente politica nell'orizzonte di una politica autocelebrativa, immemore della storia, della radice dei problemi e soprattutto dei poteri, spensierata al punto da non rendersi conto di camminare e sbandare continuamente sul confine che la separa dall'antipolitica. Io non sono sicuro che il cattolicesimo democratico esista ancora, ma sono certo che è meglio e perfino "più resistente" di questi partiti politici.
Il lavoro, per la nostra Costituzione, è in sé politico, e se diminuisce il lavoro deperisce la politica. Dove la diminuzione del lavoro non considera soltanto la sua quantità, ma anche il livello di garanzie sociali e la qualità umana.
Carlo Galli, in un interessantissimo articolo su "Appunti di cultura politica" (n. 2, 2015), riprende il concetto di Bildung, indubbiamente centrale nella filosofia tedesca.
Parola chiave in Kant, Humboldt e Hegel. E mi pare possa bastare.
Bildung significa grosso modo "formazione". E quindi ci si forma attraverso il lavoro, in esso si acquisisce dignità e consapevolezza, "relazionalità, concretezza, diritti: mentre c'è chi pensa che l'essere umano sia una variabile proprio in quella dimensione che dovrebbe, invece, essere centrale per la sua formazione; c'è chi pensa, insomma, di potere dare la democrazia fuori dalla fabbrica, ma non in fabbrica". Sottoscrivo.
Anzi ho sottoscritto e forse anticipato da tempo. Non è una fisima o un'arretratezza della dottrina sociale della Chiesa pensare che il lavoro sia per l’uomo e non viceversa, che l'economia sia per l'uomo e non viceversa, che la politica sia per l'uomo e non viceversa. L'idolatria quotidiana nasce dalla dimenticanza e dallo svisamento di questo principio. 
E anche l'ateo credo abbia capito da gran tempo che l'idolo uccide. Probabilmente per questo –  e cioè considerando le religioni positive idolatriche – l'ateo "ha ragione" di dichiararsi tale. Non a caso sostengo con qualche amico filosofo che vi è tra gli atei una lucidissima e simpatica genia degli Scajola del credere: e cioè dei veri credenti a loro insaputa. (Ovviamente lascio aperto e spalancato, anche per me, il problema su che cosa voglia dire credere oggi.)
Dunque, formazione in senso profondo e "totale" della persona. Contro la globalizzazione – e colonizzazione dei soggetti – distrutti e ricompattati a modo suo dal capitale. Che ne è infatti delle moltitudini di Toni Negri? Dunque papa Francesco non fa solo il sinistro e il sociologo quando dice che senza lavoro non c'è dignità. Non c'è dignità per l'uomo intero. E c'è pure da riflettere su questa capacità abrasiva e di vuoto (autentico vuoto spinto) del consumismo di erodere dignità, lasciandoti un guscio vuoto e, se va bene, se ce la fa in qualche modo, fregato e contento.
Ripeto: non c'è dignità per un uomo intero; che è l'uomo in carne ed ossa, credente o non credente, piacente o non piacente, intelligente o un poco inconsapevolmente down, eterosessuale o tra i molti che pensano che oramai i sessi principali siano due, che continua a credersi di destra o di sinistra, che studia o non studia, in ricerca o seduto sul ciglio della strada, in attesa di un buon samaritano che nel frattempo ha cambiato a sua volta religione e atteggiamento verso il prossimo e staziona nella hall dell'aeroporto...
E allora, che facciamo? Perché il problema, non solo per il vescovo di Roma, è non morire di eccesso diagnostico. Non qual è la diagnosi, ma anche qual è la terapia. Il potere in carica -il cui continuum ci sfugge e ha l'astuzia di presentarsi ad intermittenza, dopo essersi assestate le parrucche- minaccia e si appresta nei casi critici a spegnere il desiderio che ha ovunque suscitato e la sua illusoria disponibilità seriale: questa è la crescita; e la crescita è a rischio.
È toccato ai greci (che sognavano un sogno diverso da quello cullato nei miti intramontabili dai loro antenati troppi secoli fa), poi toccherà ad altri essere prima colpevolizzati e poi privati del sogno.
Forse Christine Madeleine Odette Lagarde ha già stilato la lista di proscrizione. E forse l'ha firmata dal parrucchiere parigino, tra uno shampoo e una messa in piega. E per favore non dite in giro sorridendo che i gufi stanno tornando.
Spiace, ma il nostro poeta maggiore non è il Giusti, ma quel Giacomo Leopardi notoriamente pessimista ed ipocondriaco (forse perfino saturnino), ed è sua l'espressione, evocata da Carlo Galli, che dice: "l'arido vero".
Arriva il momento in cui bisogna scegliere tra verità (quel che resta) ed emozioni. Quanto lontani dagli uomini veri della Lotta di Liberazione che abbiamo ricommemorato dopo settant'anni. Quanto lontani dai "cittadini". Oramai non sappiamo che consumare, anche se il nulla è da tempo il nostro pane quotidiano. (E l'Expo? Per ora lasciamo perdere.)
Per questo la democrazia dei cittadini è un culto senza fedeli e le sue cerimonie -voto platealmente incluso- sono sempre meno frequentate.
Non è un caso che non si riesca più a tenere una riunione di un ex partito in contemporanea con la partita di Champions. Se Dio è morto, l'idolo merita le danze, l’incenso, i canti, il tifo e il guadagno. E chi si contenta gode.