Papa
Francesco (secondo tempo)
di Giovanni Bianchi
Ricomincio dai greci
Ricomincio
dai greci e da Tsipras. Cosa poteva venire di buono da questa Atene di
taroccatori di bilanci? Da governi che
non sono riusciti a far pagare le tasse agli armatori? Cosa hanno da spartire con
Socrate, Pericle e Platone i personaggi di questa nuova politica ellenica? Ha
voglia il giovane leader di citare l’Antigone...
Chi
la pensa così considera la storia come già scritta una volta per tutte.
Monotona come un libro mastro o un frenetico computer invaso dai listini delle
Borse.
Duemila
anni fa qualche saggio d’Israele si chiedeva cosa poteva venire di buono da
Nazareth. E invece c'è sempre qualcosa di inatteso ed imprevisto e la storia
sciorina ogni volta nuove sorprese, non di rado a partire dalla quotidianità e
perfino dalla politica.
È
su questa lunghezza d'onda che si colloca il paradosso di papa Francesco. Ed è
quasi naturale che gli interrogativi si affollino.
Da
dove arriva questo Papa oltre che "quasi dalla fine del mondo"?
Perché un uomo che da 25 anni non vede la televisione, "per un
fioretto", "buca" il video meglio di tutti? Dove andrà? Che
l'operazione culturale sta facendo? La mia ipotesi di lavoro è che si tratti di
una vistosa innovazione e rottura dentro la tradizione cattolica.
L'economista
statunitense Ben Senauer diceva quindici giorni fa in un intervento alla
Cascina Trivulzia dentro l'Expo che papa Francesco è indubbiamente la
personalità più prestigiosa a livello mondiale. Eppure prima di riuscire eletto
dal conclave il cardinale Bergoglio non lo conosceva nessuno. Se andate a
sfogliare i giornali del totopapa nei giorni precedenti la clausura dei
porporati nella Cappella Sistina troverete scarsissima attenzione nei suoi
confronti. Ricordo quattro righe su "laRepubblica" dove grosso modo
si diceva trattarsi dell'arcivescovo di Buenos Aires, gesuita, che si occupava
dei poveri. Insomma non riscuoteva nessuna attenzione da parte degli
scommettitori abituati a esercitarsi sul papato come sulle partite della
Champions League. Anche in questo caso funzionano le dietrologie. Si parla di
una tessitura incominciata dal cardinale Martini già nel precedente conclave.
Si dice che Martini fosse il grande elettore già allora dell'arcivescovo di
Buenos Aires e che, vista crescere nei sondaggi cardinalizi la candidatura di
Camillo Ruini, abbia dirottato i propri voti sul bavarese Ratzinger
"contrattando" una riforma necessaria in molti settori della Chiesa
cattolica. Si dice anche che il patto sia stato ribadito nella curia di Milano
nell'ultimo incontro tra Ratzinger e Martini in occasione della presenza del Papa
tedesco in un avvenimento milanese che ebbe il ruolo dalla famiglia nel focus
dell'attenzione. Un ruolo sussurrato, ma probabilmente efficace. Posso anche
testimoniare di aver preso parte con don Virginio Colmegna e Salvatore Natoli a
un incontro, coronato dalla celebrazione della santa messa, per il decennale
della Casa della Carità di via Brambilla. Oltre a celebrare la messa Martini
svolse in quell'occasione una sorprendente omelia. Sorprendente perché
nell'ultima parte, lasciando il copione già scritto, si produsse in un inatteso
panegirico di papa Ratzinger, dicendo che un simile pontefice ci avrebbe
riservato proprio nell'ultima parte del suo pontificato interessanti sorprese.
Disse letteralmente:
"Questo
Papa vi stupirà".
Le dimissioni
Non
è che a papa Ratzinger mancassero i supporter e gli estimatori. Non pochi
furono sorpresi dall'apparire di un manifesto redatto dai cosiddetti
"marxisti ratzingeriani". Firmavano il manifesto, che ebbe ampio
risalto su "Avvenire", il quotidiano dei vescovi italiani, e anche su
"Il Foglio" di Giuliano Ferrara, Giuseppe Vacca, presidente
dell'Istituto Gramsci, Mario Tronti, il mentore dell’operaismo italiano, Paolo
Sorbi e Piero Barcellona. Tuttavia il gesto, umile e titanico ad un tempo delle
dimissioni ha lasciato l'intera opinione pubblica mondiale senza fiato. Per
quel che riguarda il filo del discorso che stiamo svolgendo si può dire
senz'altro, senza eccessivi tributi a Lapalisse, che senza le dimissioni di
Ratzinger non avremmo papa Francesco. Proverei a riproporre una riflessione sul
quadro che ha suggerito e consentito le dimissioni del Papa. E per farlo vale
la pena di riandare a una particolare visione del potere che è tipica della
teologia e della teologia politica tedesca, in particolare quella di matrice
luterana. Secondo questa versione si tratta ogni volta di fare i conti con
"il potere demoniaco del potere". Da questa concezione discende anche
la posizione kantiana sull'albero storto
della natura umana col quale la politica e la democrazia sono chiamate a fare i
conti. Grande teologo e grande intellettuale, Ratzinger ha indubbiamente
assorbito e fatto proprio questo punto di vista. A dire il vero esiste,
laicizzata, una traduzione della posizione tedesca e luterana che è quella
rappresentata dal filosofo Emanuele Severino:
"Non
noi prendiamo il potere, ma i poteri prendono noi".
La rottura
Non
v'è dubbio che il papato di Francesco rappresenti una rottura. Una rottura
tuttavia che muove sicuramente all'interno della grande tradizione della Chiesa
cattolica, perché nella Chiesa funziona il concetto di Traditio che si distende nei secoli fino ad attraversare il
Concilio Ecumenico Vaticano II. In esso anche le svolte e le fratture si
ricompongono in un disegno complessivo, al punto che la grande innovazione
rappresentata da Alberto Magno viene considerata un elemento inscindibile dalla
grande tradizione cattolica. In particolare quella di papa Bergoglio si
presenta come una rottura pastorale.
In che senso? Nel senso che prende le distanze da un atteggiamento
prevalentemente e non di rado arcignamente dottrinale. Gli italiani ricordano
probabilmente ancora, quelli più attempati, i punti fermi dettati dal cardinale Ottaviani contro la formula
politica del centrosinistra. Più vicino a noi l'uso fatto dal cardinale Camillo
Ruini dei cosiddetti "principi non negoziabili". La dottrina cioè
viene chiamata a stabilire la norma, e le prossimità e gli allontanamenti
vengono misurati rispetto al confine tracciato dalla dottrina medesima. La
svolta pastorale e storica è rappresentata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Lo si evince chiaramente da una circostanza inconfutabile. Per consentire e
orientare la discussione papa Giovanni XXIII fece compilare dalla curia 74
schemi preparatori. È sufficiente osservare che non uno solo di quei 74 schemi
riuscì ad arrivare in porto, perché i padri conciliari li bocciarono tutti. Pastorale
è anche il giubileo indetto da papa Bergoglio. Pastorale il sinodo sulla
famiglia. Pastorale l'approccio quando il Papa dice: "Chi sono io per
giudicare un gay"? E basterà osservare che un'autentica marea di nuovi
problemi pastorali si presentano per le condizioni della famiglia. Un dato
soltanto tra le migliaia possibili: il 52% delle attuali famiglie di Milano è
monoparentale: è presente in esse cioè soltanto uno dei coniugi, e si intende
per circostanze che non tutte discendono da una condizione di vedovanza.
Il ruolo e il senso della
dottrina sociale della Chiesa
La
dottrina sociale della Chiesa è sempre storicamente risultata oggetto di
contesa e di confronto all'interno dei gruppi dirigenti dell'associazionismo
cattolico. Anche nelle Acli. Ricordo l'ultima intervista che mi concesse don
Luisito Bianchi, infermiere e prete operaio, scrittore prolifico e di grande
livello. Di fronte a un mio interrogativo don Luisito, con sconsolata ironia,
se ne uscì con questa frase: "Come può un atto d'amore folle come quello
del Nazareno crocifisso istituire una dottrina"? Può forse risultare utile
a questo punto richiamare le preoccupazioni di papa Bergoglio e le diverse fasi
che proprio la dottrina sociale della Chiesa ha attraversato.
Quanto
alle preoccupazioni del Papa un riassunto e insieme una pista di lavoro può
essere rappresentata da un articolo su "la Repubblica" firmato da
Paolo Rodari il 23 dicembre 2014. Dopo avere osservato che la curia è sovente
il luogo dei cortigiani, l'articolista elenca le 15 malattie curiali secondo Francesco. Può bastare il freddo elenco
a suggerire il perché di un intervento chiaro ed incessante e il perché di una
preoccupazione che non demorde. Queste sarebbero le 15 malattie curiali secondo
Francesco: "desiderio di immortalità; martalismo:
dall'atteggiamento di una delle sorelle di Lazzaro, troppo affaccendata e
quindi condotta dalla dispersione lontano dal discernimento; impietrimento
mentale e spirituale, ossia eccessiva pianificazione e funzionalismo; sindrome
del mal coordinamento; "Alzheimer spirituale"; rivalità; vanagloria;
schizofrenia esistenziale; malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei
pettegolezzi; malattia del divinizzare i capi; l'indifferenza verso gli altri;
faccia funerea; malattia dall'accumulare; circoli chiusi; profitto mondano ed
esibizionismi. Un elenco nutrito come si vede, nutrito anche di metafore
giocate su piani diversi, indubbiamente spietato e tale da muovere all'azione
correttiva. Le frasi forti non sono fuori luogo se papa Francesco ha affermato
che si diventa "come Satana", che "semina zizzania", quello
stesso Satana citato anni fa da Paolo VI in un discorso evocato, non a caso, in
una nota a margine di un testo ufficiale con il quale il Papa in carica
stigmatizzava le malattie sopraelencate.
Le scansioni
Può
essere di una qualche utilità ripercorrere a questo punto le tappe salienti nell’itinerario
ininterrotto della dottrina sociale della Chiesa che ha inizio con l'enciclica "Rerum Novarum" di papa Leone
XIII. Due bussole possono aiutarci nella ricognizione, due bussole rappresentate
dall'enciclica "Centesimus
Annus" di papa Giovanni Paolo II e dal testo, acuto e critico ad un
tempo, di Edoardo Benvenuto dal titolo Il
lieto annunzio ai poveri.
È
noto che la "Rerum Novarum"
rappresentò una sorpresa anzitutto per il mondo ecclesiale. Lo dice bene George
Bernanos nel Diario di un curato di
campagna. Fu un vero "colpo di tuono", una sorpresa assoluta, al
punto che molti parroci italiani evitarono di leggere l'enciclica dal pulpito e
qualcuno tra di essi indisse novene per la salute del Papa uscito di senno...
Scopo
dall'enciclica leonina era mettersi al passo con le cose moderne, con le
difficoltà del mondo del lavoro, e costituire prioritariamente un argine nei
confronti del socialismo dilagante. L'enciclica "Quadragesimo Anno" di Pio XI è la più solida dal punto
di vista della struttura culturale. Basti pensare che è nel suo testo che
compaiono per la prima volta il concetto e la parola sussidiarietà. Non faccia cioè l'ente superiore quello che è in
grado di fare l'inferiore. Senza sussidiarietà non avremmo l'Europa e i suoi
trattati portanti.
Papa
Pacelli non ebbe probabilmente né il tempo né la voglia per una grande
produzione di dottrina sociale. Di lui si ricordano con particolare attenzione
il radiomessaggio del 1942 sulla democrazia
e l'enciclica che egli scrisse nel 1939 per l'episcopato degli Stati Uniti
d'America e pubblicò nella festa di Tutti i Santi: la Sertum laetitiae.
In
essa l'ultima parte del testo riguarda una "questione
di ponderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo
agita fortemente gli Stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e
di mutua ostilità". Non si tratta che di poche pagine, ma in esse il
pensiero sociale di Pio XII era esposto con singolare chiarezza ed efficacia.
Questo almeno è il parere di Edoardo Benvenuto il cui libro – Il lieto annunzio ai poveri. Riflessioni
storiche sulla dottrina sociale della Chiesa (Dehoniane 1997) – considero
lo strumento più ricco di arnesi apparso nella letteratura italiana, e non solo,
in materia, adatto a penetrare i meccanismi della dottrina sociale della
Chiesa. In proposito e in riferimento al secondo periodo del lungo regno di
papa Pacelli Edoardo Benvenuto riprende un giudizio puntualissimo di
Marie-Dominique Chenu: "Gli scontri
ideologici della guerra fredda (1950-1956) contribuiscono a irrigidire in lui
il sospetto non soltanto contro i "cristiani progressisti", sedotti
dall'ideologia marxista infiltrantesi
ovunque (decreto contro ogni tipo di collaborazione con i partiti comunisti,
1949) ma anche contro i militanti cristiani sensibilizzati verso la
socializzazione. La soppressione dei preti operai, in Francia (1954), manifesta
questo rinchiudersi di una Chiesa sacralizzante più che evangelica. Se i
"cattolici sociali", come vengono definiti (Settimane sociali, Azione
Cattolica), trovavano nelle encicliche di Pio XI direttive molto aperte,
l'insegnamento corrente restava ancora individualista".
La chiave di Edoardo
Benvenuto
Niente
di celebrativo dunque. Forse vale la pena ricordare che il testo di Benvenuto
che sto usando fu stroncato da una recensione dell'"Osservatore
Romano" il giorno medesimo dei suoi funerali. E tuttavia non manca di
sorprendere in questo grande intellettuale genovese (preside della facoltà di
Architettura e autore di manuali sulle macchine) la capacità di muovere
costantemente in senso contrario, proponendo squarci interpretativi assolutamente
pertinenti e originali. Nella visione di Benvenuto -della quale si sarà capito
sono fortemente debitore- un ruolo ineditamente innovatore viene svolto proprio
da Pio XII, del quale peraltro non vengono sottaciute le ombre, come l'aspro
intervento vaticano nella controversia sulla partecipazione degli operai alla
gestione delle imprese in Germania (1951).
Ed
ha pure ragione il teologo milanese Angelini quando afferma che, nell'ottica di
Pio XII, la dottrina sociale non si distingue formalmente dalla "più
consapevole dottrina cattolica". Non a caso proprio Edoardo Benvenuto
richiama il monito di San Tommaso, così attuale oggi nello scialo della dizione
"beni comuni" operata da tutte le vulgate politiche e sociali:
"L'uomo non deve
possedere beni esterni come propri, ma come comuni".
Circostanza
che consente al Benvenuto di proporre come chiave interpretativa di tutta una
fase della dottrina sociale della Chiesa il termine "ineguaglianza":
così prossimo a quello coniato da papa Francesco nella Evangelii gaudium di inequità.
Edoardo
Benvenuto evidenzia anche quello che per lui rappresenta lo snodo non soltanto
del pensiero di un pontefice, ma una sorta di svolta storica di tutta la
dottrina sociale della Chiesa (che certamente abbonda in curve). Ecco il passo:
"Punto fondamentale
della questione sociale è questo, che i beni creati da Dio per tutti gli uomini
equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della
carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e
poveri; e l'inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così
sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il
regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi,
se sono retti e probi, assolvono l'ufficio di dispensatori e di procuratori dei
doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano
gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo
spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni
tabernacoli".
Un
testo non proprio progressista, e non soltanto perché riletto con il senno di
poi. Niente che si discosti apparentemente dalla memoria di un papa Pacelli
dottrinario e soprattutto schierato nell'anticomunismo. Ma tanto basta allo
sguardo fine e non progressista di Edoardo Benvenuto per vedervi, con
argomentazioni assolutamente pertinenti, il punto di svolta di tutta una fase
della dottrina sociale della Chiesa, che altre fasi aprirà, svilupperà e
conoscerà. Ed ecco l'espressione chiave: "Decisamente affermo che questa
pagina della Sertum laetitiae rappresenta
la parola più alta del magistero in materia sociale. Invano ne cercammo una di
pari dignità nei pontefici sinora esaminati; invano ne cercheremo un'altra nei
documenti dei pontefici successivi."
Inutile
appare dilungarsi a illustrare l'innovazione e l'accelerazione magisteriale e
pastorale rappresentata dalle encicliche Mater
et Magistra (15 maggio 1961) e Pacem
in terris
(11
aprile 1963). In esse
spira impetuoso il vento del Concilio Ecumenico Vaticano II. Papa Montini
invece non cessa di apparire grande e grande segno di contraddizione. Tre testi
fanno da poli e cartelli indicatori nella sua produzione e nel giudizio che ne
viene dato: la Popolorum Progressio
(26 marzo 1967) e la lettera apostolica Octogesima
Adveniens (14 maggio 1971), due vertici del moderno, e l'Humanae Vitae (25 luglio 1968), grande segno di contraddizione in campo
etico. Dal Papa bresciano più culturalmente moderno e problematico viene
l'invito a interrogarsi sulla natura e la ricaduta dei testi vaticani: una
problematizzazione della materia che non nasconde il dubbio sull'orientamento e
la ricaduta delle encicliche medesime e della dottrina sociale della Chiesa in
generale. La produzione cioè continua, ma un interrogativo la attraversa circa
il suo destino e l'efficacia.
Il rilancio della dottrina
sociale
Un dubbio decisamente superato dal Papa
polacco. Giovanni Paolo II infatti rilancia alla grande le encicliche e la
dottrina sociale della Chiesa con testi quali la Redemptor Hominis (4
marzo 1979),
Laborem Exercens (14
settembre 1981)
e Centesimus Annus (1
maggio 1991). In quest'ultima in particolare Giovanni Paolo II pone
esplicitamente il problema della natura della dottrina sociale della Chiesa.
Non si tratta di un'ideologia, neppure di una teoria economica, ma di una
branca della teologia morale: quella che si occupa dei comportamenti. Toccherà
a papa Ratzinger completare il quadro con tre encicliche di grande spessore ed
elevata scrittura (Beppe Vacca ha dichiarato di considerarlo il più grande
intellettuale europeo vivente) al cui vertice si colloca la Caritas in veritate (29 giugno 2009). Si è già detto della innovazione, non
soltanto nello stile, rappresentata dalla Evangelii
Gaudium. Resta ancora tutto da dire della Laudato Si’ di papa Bergoglio, l'enciclica che si occupa
diffusamente di ecologia da un punto di vista rigorosamente sociale. Un testo
dai mille echi, fondato esplicitamente e non per analogia sui fondamenti di
diverse discipline e inteso altrettanto esplicitamente a commuovere e muovere
l'umanità verso un destino che tocca costruire. E forse può riassumere il punto
di vista del nuovo sorprendente vescovo di Roma un'affermazione da tempo
corrente in ambienti cattolici, ma mai prima d'ora così esplicita sulle labbra
e nella penna di un papa: "Dio non è cattolico".