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lunedì 13 luglio 2015

Papa Francesco (secondo tempo)
di Giovanni Bianchi

Ricomincio dai greci
Ricomincio dai greci e da Tsipras. Cosa poteva venire di buono da questa Atene di taroccatori di  bilanci? Da governi che non sono riusciti a far pagare le tasse agli armatori? Cosa hanno da spartire con Socrate, Pericle e Platone i personaggi di questa nuova politica ellenica? Ha voglia il giovane leader di citare l’Antigone...
Chi la pensa così considera la storia come già scritta una volta per tutte. Monotona come un libro mastro o un frenetico computer invaso dai listini delle Borse.
Duemila anni fa qualche saggio d’Israele si chiedeva cosa poteva venire di buono da Nazareth. E invece c'è sempre qualcosa di inatteso ed imprevisto e la storia sciorina ogni volta nuove sorprese, non di rado a partire dalla quotidianità e perfino dalla politica.
È su questa lunghezza d'onda che si colloca il paradosso di papa Francesco. Ed è quasi naturale che gli interrogativi si affollino.
Da dove arriva questo Papa oltre che "quasi dalla fine del mondo"? Perché un uomo che da 25 anni non vede la televisione, "per un fioretto", "buca" il video meglio di tutti? Dove andrà? Che l'operazione culturale sta facendo? La mia ipotesi di lavoro è che si tratti di una vistosa innovazione e rottura dentro la tradizione cattolica.
L'economista statunitense Ben Senauer diceva quindici giorni fa in un intervento alla Cascina Trivulzia dentro l'Expo che papa Francesco è indubbiamente la personalità più prestigiosa a livello mondiale. Eppure prima di riuscire eletto dal conclave il cardinale Bergoglio non lo conosceva nessuno. Se andate a sfogliare i giornali del totopapa nei giorni precedenti la clausura dei porporati nella Cappella Sistina troverete scarsissima attenzione nei suoi confronti. Ricordo quattro righe su "laRepubblica" dove grosso modo si diceva trattarsi dell'arcivescovo di Buenos Aires, gesuita, che si occupava dei poveri. Insomma non riscuoteva nessuna attenzione da parte degli scommettitori abituati a esercitarsi sul papato come sulle partite della Champions League. Anche in questo caso funzionano le dietrologie. Si parla di una tessitura incominciata dal cardinale Martini già nel precedente conclave. Si dice che Martini fosse il grande elettore già allora dell'arcivescovo di Buenos Aires e che, vista crescere nei sondaggi cardinalizi la candidatura di Camillo Ruini, abbia dirottato i propri voti sul bavarese Ratzinger "contrattando" una riforma necessaria in molti settori della Chiesa cattolica. Si dice anche che il patto sia stato ribadito nella curia di Milano nell'ultimo incontro tra Ratzinger e Martini in occasione della presenza del Papa tedesco in un avvenimento milanese che ebbe il ruolo dalla famiglia nel focus dell'attenzione. Un ruolo sussurrato, ma probabilmente efficace. Posso anche testimoniare di aver preso parte con don Virginio Colmegna e Salvatore Natoli a un incontro, coronato dalla celebrazione della santa messa, per il decennale della Casa della Carità di via Brambilla. Oltre a celebrare la messa Martini svolse in quell'occasione una sorprendente omelia. Sorprendente perché nell'ultima parte, lasciando il copione già scritto, si produsse in un inatteso panegirico di papa Ratzinger, dicendo che un simile pontefice ci avrebbe riservato proprio nell'ultima parte del suo pontificato interessanti sorprese. Disse letteralmente:
"Questo Papa vi stupirà".

Le dimissioni
Non è che a papa Ratzinger mancassero i supporter e gli estimatori. Non pochi furono sorpresi dall'apparire di un manifesto redatto dai cosiddetti "marxisti ratzingeriani". Firmavano il manifesto, che ebbe ampio risalto su "Avvenire", il quotidiano dei vescovi italiani, e anche su "Il Foglio" di Giuliano Ferrara, Giuseppe Vacca, presidente dell'Istituto Gramsci, Mario Tronti, il mentore dell’operaismo italiano, Paolo Sorbi e Piero Barcellona. Tuttavia il gesto, umile e titanico ad un tempo delle dimissioni ha lasciato l'intera opinione pubblica mondiale senza fiato. Per quel che riguarda il filo del discorso che stiamo svolgendo si può dire senz'altro, senza eccessivi tributi a Lapalisse, che senza le dimissioni di Ratzinger non avremmo papa Francesco. Proverei a riproporre una riflessione sul quadro che ha suggerito e consentito le dimissioni del Papa. E per farlo vale la pena di riandare a una particolare visione del potere che è tipica della teologia e della teologia politica tedesca, in particolare quella di matrice luterana. Secondo questa versione si tratta ogni volta di fare i conti con "il potere demoniaco del potere". Da questa concezione discende anche la posizione kantiana sull'albero storto della natura umana col quale la politica e la democrazia sono chiamate a fare i conti. Grande teologo e grande intellettuale, Ratzinger ha indubbiamente assorbito e fatto proprio questo punto di vista. A dire il vero esiste, laicizzata, una traduzione della posizione tedesca e luterana che è quella rappresentata dal filosofo Emanuele Severino:
"Non noi prendiamo il potere, ma i poteri prendono noi".

La rottura
Non v'è dubbio che il papato di Francesco rappresenti una rottura. Una rottura tuttavia che muove sicuramente all'interno della grande tradizione della Chiesa cattolica, perché nella Chiesa funziona il concetto di Traditio che si distende nei secoli fino ad attraversare il Concilio Ecumenico Vaticano II. In esso anche le svolte e le fratture si ricompongono in un disegno complessivo, al punto che la grande innovazione rappresentata da Alberto Magno viene considerata un elemento inscindibile dalla grande tradizione cattolica. In particolare quella di papa Bergoglio si presenta come una rottura pastorale. In che senso? Nel senso che prende le distanze da un atteggiamento prevalentemente e non di rado arcignamente dottrinale. Gli italiani ricordano probabilmente ancora, quelli più attempati, i punti fermi dettati dal cardinale Ottaviani contro la formula politica del centrosinistra. Più vicino a noi l'uso fatto dal cardinale Camillo Ruini dei cosiddetti "principi non negoziabili". La dottrina cioè viene chiamata a stabilire la norma, e le prossimità e gli allontanamenti vengono misurati rispetto al confine tracciato dalla dottrina medesima. La svolta pastorale e storica è rappresentata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo si evince chiaramente da una circostanza inconfutabile. Per consentire e orientare la discussione papa Giovanni XXIII fece compilare dalla curia 74 schemi preparatori. È sufficiente osservare che non uno solo di quei 74 schemi riuscì ad arrivare in porto, perché i padri conciliari li bocciarono tutti. Pastorale è anche il giubileo indetto da papa Bergoglio. Pastorale il sinodo sulla famiglia. Pastorale l'approccio quando il Papa dice: "Chi sono io per giudicare un gay"? E basterà osservare che un'autentica marea di nuovi problemi pastorali si presentano per le condizioni della famiglia. Un dato soltanto tra le migliaia possibili: il 52% delle attuali famiglie di Milano è monoparentale: è presente in esse cioè soltanto uno dei coniugi, e si intende per circostanze che non tutte discendono da una condizione di vedovanza.

Il ruolo e il senso della dottrina sociale della Chiesa
La dottrina sociale della Chiesa è sempre storicamente risultata oggetto di contesa e di confronto all'interno dei gruppi dirigenti dell'associazionismo cattolico. Anche nelle Acli. Ricordo l'ultima intervista che mi concesse don Luisito Bianchi, infermiere e prete operaio, scrittore prolifico e di grande livello. Di fronte a un mio interrogativo don Luisito, con sconsolata ironia, se ne uscì con questa frase: "Come può un atto d'amore folle come quello del Nazareno crocifisso istituire una dottrina"? Può forse risultare utile a questo punto richiamare le preoccupazioni di papa Bergoglio e le diverse fasi che proprio la dottrina sociale della Chiesa ha attraversato.
Quanto alle preoccupazioni del Papa un riassunto e insieme una pista di lavoro può essere rappresentata da un articolo su "la Repubblica" firmato da Paolo Rodari il 23 dicembre 2014. Dopo avere osservato che la curia è sovente il luogo dei cortigiani, l'articolista elenca le 15 malattie curiali secondo Francesco. Può bastare il freddo elenco a suggerire il perché di un intervento chiaro ed incessante e il perché di una preoccupazione che non demorde. Queste sarebbero le 15 malattie curiali secondo Francesco: "desiderio di immortalità; martalismo: dall'atteggiamento di una delle sorelle di Lazzaro, troppo affaccendata e quindi condotta dalla dispersione lontano dal discernimento; impietrimento mentale e spirituale, ossia eccessiva pianificazione e funzionalismo; sindrome del mal coordinamento; "Alzheimer spirituale"; rivalità; vanagloria; schizofrenia esistenziale; malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi; malattia del divinizzare i capi; l'indifferenza verso gli altri; faccia funerea; malattia dall'accumulare; circoli chiusi; profitto mondano ed esibizionismi. Un elenco nutrito come si vede, nutrito anche di metafore giocate su piani diversi, indubbiamente spietato e tale da muovere all'azione correttiva. Le frasi forti non sono fuori luogo se papa Francesco ha affermato che si diventa "come Satana", che "semina zizzania", quello stesso Satana citato anni fa da Paolo VI in un discorso evocato, non a caso, in una nota a margine di un testo ufficiale con il quale il Papa in carica stigmatizzava le malattie sopraelencate.

Le scansioni
Può essere di una qualche utilità ripercorrere a questo punto le tappe salienti nell’itinerario ininterrotto della dottrina sociale della Chiesa che ha inizio con l'enciclica "Rerum Novarum" di papa Leone XIII. Due bussole possono aiutarci nella ricognizione, due bussole rappresentate dall'enciclica "Centesimus Annus" di papa Giovanni Paolo II e dal testo, acuto e critico ad un tempo, di Edoardo Benvenuto dal titolo Il lieto annunzio ai poveri.
È noto che la "Rerum Novarum" rappresentò una sorpresa anzitutto per il mondo ecclesiale. Lo dice bene George Bernanos nel Diario di un curato di campagna. Fu un vero "colpo di tuono", una sorpresa assoluta, al punto che molti parroci italiani evitarono di leggere l'enciclica dal pulpito e qualcuno tra di essi indisse novene per la salute del Papa uscito di senno...
Scopo dall'enciclica leonina era mettersi al passo con le cose moderne, con le difficoltà del mondo del lavoro, e costituire prioritariamente un argine nei confronti del socialismo dilagante. L'enciclica "Quadragesimo Anno" di Pio XI è la più solida dal punto di vista della struttura culturale. Basti pensare che è nel suo testo che compaiono per la prima volta il concetto e la parola sussidiarietà. Non faccia cioè l'ente superiore quello che è in grado di fare l'inferiore. Senza sussidiarietà non avremmo l'Europa e i suoi trattati portanti.
Papa Pacelli non ebbe probabilmente né il tempo né la voglia per una grande produzione di dottrina sociale. Di lui si ricordano con particolare attenzione il radiomessaggio del  1942 sulla democrazia e l'enciclica che egli scrisse nel 1939 per l'episcopato degli Stati Uniti d'America e pubblicò nella festa di Tutti i Santi: la Sertum laetitiae.
In essa l'ultima parte del testo riguarda una "questione di ponderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli Stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità". Non si tratta che di poche pagine, ma in esse il pensiero sociale di Pio XII era esposto con singolare chiarezza ed efficacia. Questo almeno è il parere di Edoardo Benvenuto il cui libro – Il lieto annunzio ai poveri. Riflessioni storiche sulla dottrina sociale della Chiesa (Dehoniane 1997) – considero lo strumento più ricco di arnesi apparso nella letteratura italiana, e non solo, in materia, adatto a penetrare i meccanismi della dottrina sociale della Chiesa. In proposito e in riferimento al secondo periodo del lungo regno di papa Pacelli Edoardo Benvenuto riprende un giudizio puntualissimo di Marie-Dominique Chenu: "Gli scontri ideologici della guerra fredda (1950-1956) contribuiscono a irrigidire in lui il sospetto non soltanto contro i "cristiani progressisti", sedotti dall'ideologia marxista  infiltrantesi ovunque (decreto contro ogni tipo di collaborazione con i partiti comunisti, 1949) ma anche contro i militanti cristiani sensibilizzati verso la socializzazione. La soppressione dei preti operai, in Francia (1954), manifesta questo rinchiudersi di una Chiesa sacralizzante più che evangelica. Se i "cattolici sociali", come vengono definiti (Settimane sociali, Azione Cattolica), trovavano nelle encicliche di Pio XI direttive molto aperte, l'insegnamento corrente restava ancora individualista".

La chiave di Edoardo Benvenuto
Niente di celebrativo dunque. Forse vale la pena ricordare che il testo di Benvenuto che sto usando fu stroncato da una recensione dell'"Osservatore Romano" il giorno medesimo dei suoi funerali. E tuttavia non manca di sorprendere in questo grande intellettuale genovese (preside della facoltà di Architettura e autore di manuali sulle macchine) la capacità di muovere costantemente in senso contrario, proponendo squarci interpretativi assolutamente pertinenti e originali. Nella visione di Benvenuto -della quale si sarà capito sono fortemente debitore- un ruolo ineditamente innovatore viene svolto proprio da Pio XII, del quale peraltro non vengono sottaciute le ombre, come l'aspro intervento vaticano nella controversia sulla partecipazione degli operai alla gestione delle imprese in Germania (1951).
Ed ha pure ragione il teologo milanese Angelini quando afferma che, nell'ottica di Pio XII, la dottrina sociale non si distingue formalmente dalla "più consapevole dottrina cattolica". Non a caso proprio Edoardo Benvenuto richiama il monito di San Tommaso, così attuale oggi nello scialo della dizione "beni comuni" operata da tutte le vulgate politiche e sociali:
"L'uomo non deve possedere beni esterni come propri, ma come comuni".
Circostanza che consente al Benvenuto di proporre come chiave interpretativa di tutta una fase della dottrina sociale della Chiesa il termine "ineguaglianza": così prossimo a quello coniato da papa Francesco nella Evangelii gaudium di inequità.
Edoardo Benvenuto evidenzia anche quello che per lui rappresenta lo snodo non soltanto del pensiero di un pontefice, ma una sorta di svolta storica di tutta la dottrina sociale della Chiesa (che certamente abbonda in curve). Ecco il passo:
"Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni creati da Dio per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l'inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l'ufficio di dispensatori e di procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli".
Un testo non proprio progressista, e non soltanto perché riletto con il senno di poi. Niente che si discosti apparentemente dalla memoria di un papa Pacelli dottrinario e soprattutto schierato nell'anticomunismo. Ma tanto basta allo sguardo fine e non progressista di Edoardo Benvenuto per vedervi, con argomentazioni assolutamente pertinenti, il punto di svolta di tutta una fase della dottrina sociale della Chiesa, che altre fasi aprirà, svilupperà e conoscerà. Ed ecco l'espressione chiave: "Decisamente affermo che questa pagina della Sertum laetitiae rappresenta la parola più alta del magistero in materia sociale. Invano ne cercammo una di pari dignità nei pontefici sinora esaminati; invano ne cercheremo un'altra nei documenti dei pontefici successivi."
Inutile appare dilungarsi a illustrare l'innovazione e l'accelerazione magisteriale e pastorale rappresentata dalle encicliche Mater et Magistra (15 maggio 1961) e Pacem in terris (11 aprile 1963). In esse spira impetuoso il vento del Concilio Ecumenico Vaticano II. Papa Montini invece non cessa di apparire grande e grande segno di contraddizione. Tre testi fanno da poli e cartelli indicatori nella sua produzione e nel giudizio che ne viene dato: la Popolorum Progressio (26 marzo 1967) e la lettera apostolica Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), due vertici del moderno, e l'Humanae Vitae (25 luglio 1968), grande segno di contraddizione in campo etico. Dal Papa bresciano più culturalmente moderno e problematico viene l'invito a interrogarsi sulla natura e la ricaduta dei testi vaticani: una problematizzazione della materia che non nasconde il dubbio sull'orientamento e la ricaduta delle encicliche medesime e della dottrina sociale della Chiesa in generale. La produzione cioè continua, ma un interrogativo la attraversa circa il suo destino e l'efficacia.

Il rilancio della dottrina sociale
Un dubbio decisamente superato dal Papa polacco. Giovanni Paolo II infatti rilancia alla grande le encicliche e la dottrina sociale della Chiesa con testi quali la Redemptor Hominis (4 marzo 1979), Laborem Exercens (14 settembre 1981) e Centesimus Annus (1 maggio 1991). In quest'ultima in particolare Giovanni Paolo II pone esplicitamente il problema della natura della dottrina sociale della Chiesa. Non si tratta di un'ideologia, neppure di una teoria economica, ma di una branca della teologia morale: quella che si occupa dei comportamenti. Toccherà a papa Ratzinger completare il quadro con tre encicliche di grande spessore ed elevata scrittura (Beppe Vacca ha dichiarato di considerarlo il più grande intellettuale europeo vivente) al cui vertice si colloca la Caritas in veritate (29 giugno 2009). Si è già detto della innovazione, non soltanto nello stile, rappresentata dalla Evangelii Gaudium. Resta ancora tutto da dire della Laudato Si’ di papa Bergoglio, l'enciclica che si occupa diffusamente di ecologia da un punto di vista rigorosamente sociale. Un testo dai mille echi, fondato esplicitamente e non per analogia sui fondamenti di diverse discipline e inteso altrettanto esplicitamente a commuovere e muovere l'umanità verso un destino che tocca costruire. E forse può riassumere il punto di vista del nuovo sorprendente vescovo di Roma un'affermazione da tempo corrente in ambienti cattolici, ma mai prima d'ora così esplicita sulle labbra e nella penna di un papa: "Dio non è cattolico".