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sabato 18 luglio 2015

Papa Francesco (terzo tempo)
di Giovanni Bianchi



Un Papa incontenibile
Pensavo di dedicarmi finalmente all'enciclica Laudato Si’, ma questo Papa incontenibile ci ha sorpresi ancora una volta con il discorso ai movimenti popolari radunati a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia. Come al solito non è andato per preamboli e subordinate ed ha dichiarato senza tante perifrasi che "le cose non stanno andando bene in un mondo dove ci sono tanti contadini senza terra, molte famiglie senza casa, molti lavoratori senza diritti, molte persone ferite nella loro dignità". Lo spreco cioè susseguente alla mancanza per la povera gente di terra, di casa e di lavoro: le famose "tre ti" in idioma castigliano.
C'è in questo discorso un Papa totalmente a suo agio tra la gente, direi quasi a ruota libera, che riprende perfino una spruzzatina demodé di sessantottismo recuperando il feticcio di un "Sistema" da abbattere.  Se ripenso alla confidenza di padre Bartolomeo Sorge che, inviato dal Pontefice alla Conferenza di Puebla (1979), vi incontrò molti giovani gesuiti argentini un poco arrabbiati con l'arcivescovo di Buenos Aires che li invitava al Vangelo piuttosto che alla politica, sono chiamato ancora una volta riflettere sugli effetti del lavoro dello Spirito e sulle conseguenze del default argentino in una personalità tanto attenta ed onesta.
Anche i vescovi si convertono, anche i papi: e a provvedere alla bisogna sono i popoli e uno Spirito del quale non ci è concesso prevedere le vie, dal momento che soffia quando gli pare e dove vuole. L'analisi del Papa, che non si iscrive alla categoria degli ottimisti, ma neppure a quella dei gufi, è oltremodo realistica: parla di guerre insensate e di una violenza fratricida nei quartieri. Il tutto frutto di un sistema globale che genera esclusione.
E dopo avere osservato che oggi l'interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali, sbotta con un invito da archimandrita: "Diciamolo senza timore: abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento".
Dunque dopo il discorso ecologico contenuto nella Laudato Si’ circa il clima e l'assetto della terra, ecco la nuova frontiera di Francesco: gli uomini si aspettano un cambiamento che li liberi da questa tristezza individualista che rende schiavi.
Non è casuale che alla tristezza contribuiscano i danni irreversibili prodotti all'ecosistema. E qui il Papa mette i panni del dotto uomo di fede con una citazione imprevista, puntuale, molto immaginifica e quasi in grado di stuzzicare i sensi degli ascoltatori: "Dopo tanto dolore e distruzione, si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea -uno dei primi teologi della Chiesa- chi amava lo "sterco del diavolo". L'ambizione sfrenata di denaro che domina. Questo è lo "sterco del diavolo". E il servizio al bene comune passa in secondo piano".
Non so se soltanto a me, che pure mi ritengo filotedesco e non maligno, sono venute in mente le estenuanti trattative dei signori di Bruxelles con la Grecia di Tsipras. Anche là i richiami evocavano l'etica, un'etica rigorosa da sbattere in faccia ai taroccatori ellenici. Un'etica che allude in qualche modo al cristianesimo e scomoda un latinorum non proprio ecclesiastico: l’ordoliberalismus. La differenza con il lessico boliviano di papa Francesco è che a Bruxelles e prima ancora a Berlino quell'etica era chiamata a difendere proprio lo "sterco del diavolo".
Accade così, argomenta il Papa, quando il capitale diventa un idolo e l'avidità del denaro controlla l'intero sistema socio-economico, fino a minacciare la "casa comune": la sorella Madre Terra.

Un'analisi impietosa
Alexander Langer
Ma lo sguardo di Francesco non si placa. Il Papa vede in questo sistema mondiale il distendersi di una "sottile dittatura". Essa ha  molteplici mezzi a propria disposizione e non lesina le pressioni e gli interventi attraverso i mezzi di comunicazione di massa, al punto che scorrendo la cronaca nera di ogni giorno siamo convinti che non si possa far nulla. E invece, rassicura il Papa, "voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell'umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative".
E, dopo aver ricordato la partecipazione attiva ai grandi processi di cambiamento, cambiamenti nazionali, cambiamenti regionali e cambiamenti globali, lancia una parola d'ordine dai molti echi e che richiama qualche assonanza: "Non sminuitevi"!
Quando più avanti il Papa ricorda che è necessario comunque cambiare il cuore, non mi è venuto in mente niente di pio, ma l'invito già ricordato di Alex Langer: quando senti che nel mondo si muore di fame, non mangiare di meno, ma affrettati a pensare di più.
Sono i soliti dati che si affollano nella mente e sul foglio da quando Raul Follerau ha introdotto nella modernità questo tipo di sconcertanti dati statistici. Ci sono al mondo 805 milioni di persone poco e mal nutrite; l'1% della popolazione detiene la ricchezza mondiale; produciamo cibo per 12 miliardi di persone, mentre calcano questa terra 7 miliardi di uomini.
Quale spreco e quante esclusioni allora dietro l'insensatezza di un avidità parossistica e miope... Che il grido degli esclusi si senta finalmente in tutta la terra, denunciando problemi e situazioni che hanno una radice globale e che nessuno Stato è in grado di risolvere.
Ecco perché abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento. Perché le esclusioni sono unite da un filo invisibile in un sistema globale che ha imposto da sopra e da fuori la logica del profitto: esclusione sociale e distruzione della natura.

Tre grandi compiti
Papa Francesco, oramai abbiamo imparato a conoscerlo, non è tuttavia l'uomo che si diletta di studi accurati e di statistiche, e tanto meno di grida manzoniane. Per questo l'ultima parte, non breve, del discorso di Santa Cruz de la Sierra è dedicata a tre grandi compiti.
Il primo compito è quello di mettere l'economia al servizio dei popoli. Il secondo compito è  di unire i popoli nel cammino della pace e della giustizia. Il terzo compito, forse il più importante che dobbiamo assumere (parole sue), è quello di difendere la Madre Terra.
C'è qualcosa di militante in questa chiamata alla riscossa planetaria. E ci sono pure gli accenti biblici di una creazione che non a caso -l'apostolo Paolo l'aveva notato- geme nelle doglie del parto. Capita spesso al vescovo di Roma di smettere di analizzare il "Sistema" per guardare i volti, non soltanto di chi gli sta di fronte, e pensare agli stomaci che stanno sotto a quei volti.
Così pure gli accade sovente di pensare ai troppi scenari di guerra aperti nel mondo: quasi testimonianza di guerre che si aprono in continuazione e che poi nessuno è in grado di chiudere. Per questo anche in questo discorso boliviano papa Francesco torna a parlare di una terza guerra mondiale, questa volta definita "a rate", e arriva a sottolineare che persino il  crimine e la violenza si sono globalizzati. Dunque, ancora una volta, il conflitto tra interessi che sono "globali", ma non universali. Ma Francesco, insieme realista e speranzoso, dopo avere affermato ancora una volta che questa economia è escludente, arriva a coniare un'espressione strepitosa che descrive il cammino nel quale i movimenti popolari hanno un ruolo essenziale, non solo nell'esigere o nel reclamare, ma fondamentalmente nel creare. Perché è intenzione del Papa rintracciare e contribuire a ricreare soggetti storici.
Dice, anzi urla: "Voi siete poeti sociali: creatori di lavoro, costruttori di case, produttori di generi alimentari, soprattutto per quanti sono scartati dal mercato mondiale".
Per chi pratica le lettere e la poesia e non ha mai dimenticato l'etimo greco del poetare questa nuova attitudine è insieme consolante, umilissima e titanica. Dio salvi il Papa!