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sabato 18 luglio 2015

ANCORA SULL’EXPO
di Basilio Rizzo*

Dopo gli interventi di Emilio Molinari e di Gianni Barbacetto,
pubblichiamo quello di Basilio Rizzo, presidente del Consiglio Comunale 
di Milano

Basilio Rizzo

Il nostro Convegno si pone, ovviamente, in continuità a quello del febbraio scorso a Palazzo Marino. Oggi, come allora, non vuol essere solo una riflessione fine a se stessa, ma un’azione politica. Allora ci ponevamo con forza il compito di recuperare il valore del tema dichiarato di Expo 2015 “nutrire il pianeta, energia per la vita” a fronte di una evidente deriva verso un evento affaristico/commerciale. Oggi, a quasi un terzo di evento svolto, vogliamo evitare che i guasti di quella scelta gravino anche sul futuro della città. Non ci siamo in passato auto-confinati, né abbiamo permesso che ci confinassero nella etichetta “no-expo”, limitativa e fuorviante; figuriamoci oggi che l’evento c’è. Di certo però continuiamo a rivendicare, con più forza di prima, il nostro no al sistema economico, politico e sociale dei “grandi eventi” che destina ingenti risorse pubbliche in direzioni lontane dai reali bisogni del paese.
Continuiamo a dire no ad una insinuante narrazione che affronta i nodi del problema epocale del cibo ed all’acqua non, riferendoli alle scelte di politica economica, alle relazioni internazionali diseguali, al potere delle multinazionali, alla finanziarizzazione dei prodotti alimentari, alle ricette del Fondo Monetario Internazionale, ma ad una sorta di auspicio del pentimento e della redenzione della parte ricca ed obesa del mondo che rinuncia di sua spontanea volontà allo spreco, in favore degli affamati e degli assetati del pianeta.
Expo 2015 è costruita su quelle fondamenta sbagliate.
E tuttavia non senza alcune crepe, alcune contraddizioni che compaiono e che sarebbe un errore non cogliere perché sono il segno della forza delle nostre ragioni. Perché sviliremmo il ruolo del vasto e variegato mondo dei movimenti -quello che vorremmo fosse unito e che rispettiamo in tutte le sue articolazioni- che ha scavato nelle coscienze, ha costruito saperi, valori e passioni, ed ha convinto ed ha lasciato inequivocabilmente il segno. A partire dal linguaggio. Non più solo nei nostri convegni si parla di sovranità alimentare, di nuova agricoltura, di ruolo dei contadini, di tutela della biodiversità, di rapina delle terre. Ho ascoltato (da presidente del Consiglio mi tocca, ogni tanto, andare a queste iniziative) l’elogio del “buen vivir” nel discorso con cui il Presidente del Senato, Grasso, salutava nella giornata dell'Ecuador, in Expo, il Presidente Correa.
Abbiamo sentito ieri il Presidente Morales. Ci sono state le parole di Papa Francesco inviate alla cerimonia di apertura di Expo lo scorso 1° maggio. Ci sono le parole di Carlin Petrini e la proposta per ottobre di “invasione” dei contadini del mondo.
Il Vaticano dice “il nostro padiglione sarà la spina nel fianco di Expo”. E se si visita il Paglione Zero, la narrazione non mi pare sia distante dalla nostra. Il guaio è che il modo con cui si svolge Expo non ruota attorno alla missione di trasmettere la forza del messaggio “nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Al netto degli sforzi lodevoli delle Associazioni di Cascina Triulza, di qualche padiglione ben ispirato e poco altro, visitando il sito, questo limite si avverte nettamente. Prevale la logica dell’evento in sé, del giro turistico tra gli stand (siano essi dei paesi o delle aziende), del pellegrinaggio etno-gastronomico.
A febbraio avevamo descritto la storia di Expo fin dalla fase di candidatura come il paradigma del sistema “grandi eventi” che nei suoi canoni, nei suoi criteri, nelle sue pratiche aveva ben presto preso il posto del fascino visionario del tema “nutrire il pianeta”; avevamo invocato il cambio di rotta come nostro obiettivo: non è stato così. Ma allora bisogna trarne alcune conseguenze logiche, prima ancora che politiche. Se l’impiego di ingenti risorse pubbliche è stato giustificato dalla prospettiva di importanti ricadute economiche, dalla creazione di rilevanti occasioni di lavoro, da vantaggi proiettati stabilmente nel tempo per le attività produttive del territorio, vantaggi che sarebbero stati sostenuti da un flusso imponente di visitatori e spenditori in città…  se quello, non noi, ma loro  hanno scelto come metro, bisogna accettarne le relative misurazioni.
Non mi pare che esse siano confortanti. Anzi: si legge di delusione e sconforto fra molti operatori in città, di risultati inferiori alle attese. Ed è inaccettabile, quasi una provocazione, che non si forniscano dati ufficiali e certificati sugli ingressi. E’ bene dire qui ed ora, a scanso di equivoci, che nessuno di noi spera che l’Expo sia un flop economico. Speriamo sinceramente che alla fine i conti tornino perché siamo perfettamente consapevoli che le conseguenze di un buco graverebbero sui bilanci degli enti locali, e dunque a pagare, sarebbero ancora i cittadini…
Peraltro avendo un io ruolo di amministratore quando chiedo dati ed informazioni lo faccio per potere contribuire a correggere in corsa eventuali errori o manchevolezze, non per il gusto di denigrare.
E qui è stato detto, apro una parentesi, io faccio, non per la mia persona, il presidente del Consiglio, è incredibile, intollerabile che non mi vengano dati, pur avendoli richiesti, non dico i dati delle persone che sono entrate a Expo (che sanno all'unità) ma neppure i dati di quanti hanno preso il biglietto e hanno superato i tornelli della metropolitana, anche quelli sono conosciuti all'unita, ATM dice di averli, ATM dice di averli che li ha dati all'assessore; ripeto io che rappresento tutti i consiglieri comunali non riesco avere questi dati, mi hanno scritto ieri, perché sapevano che c'era il convegno, che me li daranno dopo la prima settimana di luglio, la giunta comunicherà  i viaggi tra maggio e giugno sulla linea metropolitana.
Noi non abbiamo mai pensato che il successo di Expo 2 dovesse essere correlato al numero di visitatori o alle cifre del bilancio consuntivo.
Quando riaffermiamo che consideriamo prioritario il tema originario di Expo, consegue, per noi, che il successo è determinato dall’ampiezza e dalla profondità con cui sono trasmessi (e recepiti da chi è venuto a visitare l’esposizione) i valori di “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Conta il suo impatto culturale ed ideale, le relazioni che si sono sapute instaurare. Conta se si amplia la condivisione dei valori di equità sociale, dei diritti d’accesso all’acqua, al cibo, all’energia per tutti. Se si fanno progressi nell’ingresso, nelle legislazioni degli stati e nelle relazioni fra gli stati di norme sulla tutela dei beni comuni, e così via. Questi sono i valori che per noi contano di gran lunga di più. E si ci lamentiamo è perché non hanno abbastanza forza in questa Expo. Se però veniamo portati sul terreno delle convenienze economiche e si sostengono quelle priorità, come fanno loro, ecco che da questo convegno avanziamo un semplice ma stringente richiesta: sia programmata da subito, perché possa essere operativa immediatamente dopo il 31 ottobre, la predisposizione di una relazione accurata ed esaustiva sul bilancio economico di Expo che confronti previsioni e risultati. Senza omissioni e senza occultamenti. Sia affidata ad un comitato di esperti, autorevoli a prova di opinione pubblica, estranei alle società ed ai soggetti decisori di Expo 2015. Chiediamo che questa relazione sia disponibile entro il primo trimestre 2016, per sottrarre, con dati certi ed inoppugnabili, la verità dei fatti alle possibili speculazioni elettorali.

E veniamo al post-Expo. Anche qui l’ottica con cui lo si inquadra è determinante.
Dentro il canone “Grandi Eventi” la via è obbligata: insediare progetti che assicurino la massima resa finanziaria e chiudere così l’avventura speculativa, aperta con l’acquisto delle aree. (Non aggiungo altro alle cose dette da Barbacetto e ha detto ieri Piero basso). E la mossa successiva, sono pronto a scommettere, è quella di chiudere il cerchio pilotando abilmente la scelta sulla destinazione delle aree. Così che esse giungano nelle mani di interlocutori graditi, sperando nel soccorso dei nostri soldi, dei soldi dei depositi postali dei cittadini (ovvero la Cassa Depositi e Prestiti) che sarebbero usati per coprire le follie di amministratori pubblici infedeli al loro mandato.
Nel sistema “grandi eventi” decidono i pochi, “i mitici commissari” sciolti da ogni forma di controllo democratico ed istituzionale. Per noi devono decidere “i molti, i più”: i cittadini.
Quindi: ben un soggetto pubblico autorevole ed indipendente raccolga progetti credibili e sostenibili (non tarpati e strozzati dai debiti contratti per mala gestione) ma la scelta definitiva sia affidata ai cittadini, che con la saggezza collettiva sanno far bene e sanno evitare costose follie. Avrebbero mai i cittadini pensato al colossale spreco delle vie d’acqua? I commissari sì. Abbiamo la fortuna che nel 2016 si vota. Perché nella stessa domenica i cittadini non devono poter scegliere anche quale sarà l’eredità dell’Expo, visto che le risorse sono prevalentemente pubbliche ed in ogni caso spetta al popolo, come ci ricordava il presidente Morales,  decidere del proprio territorio?
Nel merito di cosa insediare su quelle aree, noi riproponiamo con forza un postulato generale: a qualunque insediamento si pensi esso deve essere in concreta, riconoscibile continuità con il tema dell'Expo ed esserne l’eredità. Sembrerebbe un’ovvietà, in realtà sarà, se ci riusciremo, una dura conquista. Lo diciamo da sempre, e siamo scesi da anni anche nei particolari. Chiedevamo (e chiediamo) un’azione politica nazionale ed internazionale forte perché sull’onda di Expo, Milano sia candidata ad essere la sede di una nascente Autorità Mondiale dell’Acqua, bene comune e diritto naturale dell’umanità. Il Presidente Prodi ne fu a suo tempo autorevole propositore e sostenitore. La politica ad alto livello in questi anni non ha fatto granché per coltivarla… più attenta alla nomina di questo o quel commissario o sub-commissario, a qualche casella nell’organigramma dei CdA. Noi continuiamo a riproporla: anche nelle varianti possibili e propedeutiche di oggi, di insediamento di agenzie internazionali permanenti sui beni comuni cibo e acqua. Fondazioni che a ciò siano dedicate, Associazioni, in una parola Milano operi per conquistarsi stabilmente il ruolo di capitale del mondo su questi temi. E’ del tutto evidente che una presenza in via permanente di delegazioni, di studiosi, di congressisti, di ospiti, oltre al prestigio garantirebbe alla nostra città, ricadute economiche ben più realistiche di altre opzioni per l’utilizzo delle aree. In questo quadro (ed è incredibile che ciò non sia stato pensato per tempo!) andrebbe coltivata una riprogettazione urbanistica a partire da categorie di riuso e riconversione intelligente dell’esistente o di sue parti. Siano essi alcuni padiglioni o l’utilizzo dell’avanzata infrastrutturazione tecnologica della piastra. Altro che abbattere indiscriminatamente e ricostruire! Una simile scelta potrebbe fra l’altro, indurre alcuni paesi a mantenere una presenza nel sito ove davvero prendesse corpo l’affermarsi di una centralità duratura di Milano a livello internazionale sui temi dell’Expo.
In ogni caso, e lo diciamo per tempo, va garantito nel sito il  mantenimento senza interruzioni di spazi attivi e vitali al di là del 31 ottobre è indispensabile e va predisposto per tempo. Con progetti, affidamenti, iniziative per evitare il rischio abbandono o degrado del sito (e, aggiungo, conseguente ricorso a costi ingenti di guardiania e controllo: affare assai appetito da soliti noti!).
Fra le ipotesi di riuso e di sviluppo, in feconda continuità con i temi dell’esposizione, pensiamo a spazi e strutture per una piattaforma logistica che favorisca l’incontro tra i produttori agricoli di prossimità e gli utenti/consumatori del territorio. Anche noi abbiamo la nostra sovranità alimentare da curare.
Avevamo affrontato a febbraio, mentre stava muovendo i primi passi, l’ipotesi di insediamento nell’area di un polo Universitario. Poiché il progetto si è consolidato -almeno a livello di pubbliche dichiarazioni-, e sottolineo a livello di pubbliche relazioni, è bene ritornarci, chiarendo: bene l’Università ma occorrerà un progetto unitario che comprenda anche una definizione correlata e simultanea del destino delle aree di Città Studi che verrebbero liberate. Non credo siano proponibili soluzioni che suonino come uno stop a velleità speculative, in un luogo per altro ormai troppo “scoperto”, ma che ne creano, sottotraccia, simili appetiti altrove, in Città Studi situazioni speculative. L’insediamento universitario dovrebbe assumere (e quindi progettarsi con questo taglio) come ruolo di luogo di incontro di studenti e studiosi, di apertura al territorio ed a relazioni internazionali ad ampio spettro, corollario e stimolo a quella prospettiva di fare di Milano il centro di organismi internazionali sul tema dell’acqua e del cibo (e di riflesso dell’ambiente, dell’energia, della ricerca scientifica). Onestamente, e dico questo con molta chiarezza, non so se il pur affascinante, e, speriamo, realizzabile in Italia progetto di acceleratore di elettroni di cui si parla, abbia quelle caratteristiche. Il gestore dell’operazione: chi sarebbe? Quale il ruolo degli enti locali e dei cittadini? E le risorse? Quali sarebbero le interazioni con i privati?
Voglio tuttavia tornare a dire, dopo questi punti fermi, che ritengo sia giusto confrontarsi su una proposta articolata di campus universitario, anche pensando al corollario di residenze universitarie, di servizi offerti agli studenti, di spazi in cui convivono ricerca ed attività produttive. Tutti aspetti assai interessanti per una città che ormai ha nelle sue Università e nelle attività della conoscenza, della scienza e della tecnologia un riferimento per il suo sviluppo non secondario rispetto ad altri più celebrati (finanza, moda, design).
E non scherzo quando dico finanza, perché sapete, alla presentazione della relazione annuale del presidente della Consob, che ha detto, tra le ipotesi dell'utilizzo della area post Expo un'agenzia europea per le informazioni finanziarie sulle piccole e medie imprese potrebbe rappresentare la risposta ottimale la città di Milano ed il sito di Expo in particolare rappresentano il luogo ideale per insediare le agenzie.
Ritorno sulle aree e quello che tutti ormai chiamano il “peccato originale” (il copyright è nostro), ancorché i decisori di allora scelsero consapevolmente di peccare (come ha ricordato Barbacetto) ed hanno continuato a vivere nel peccato rimandando in là il problema del futuro delle aree. Sperando in tempi migliori che però non sono arrivati. Mentre cresceva l’attenzione della magistratura su tutto quanto riguardava Expo.


Quando le aree, ricordava Piero Basso, sono state offerte al mercato con un’asta pubblica (e ci dicevano: dobbiamo crederci, era l'agosto del 2014 con una conferenza stampa in agosto, in una città praticamente deserta) ad un valore che aveva in pancia la cifra per rientrare dal debito (315 milioni di euro) ovviamente non si è presentato nessuno. Squagliatisi i privati (che però io penso solo in momentanea ritirata, pronti alla zampata finale se dovesse tornare la soluzione classicamente immobiliaristica…), con la spada di Damocle della Corte dei Conti incombente c’è chi non dorme sonni tranquilli.
Paradossalmente, ma non troppo, un forte intervento pubblico, scelta che noi condividiamo, ma nelle forme che dirò, è anche per qualcuno dei vecchi registi l’ultima speranza per completare la ”stangata”.
Ecco perché l’ovvietà di dire che la regia sulla destinazione delle aree deve essere pubblica non può bastare.
Il “pubblico” possono essere la Società Expo e la società Arexpo nella configurazione che hanno oggi?
Il “pubblico” può essere il “bancomat” alla rovescia che eroga alle banche quanto è servito a remunerare in anticipo le proprietà originarie dell’area? Non credo proprio.
Il pubblico a cui noi pensiamo sono innanzitutto le istituzioni elettive, il Comune in primo luogo: che recuperata una sovranità integrale -e non limitata dai paletti del debito- sul destino delle aree, potrà elaborare progetti in sintonia con il tema e nell’interesse della collettività. Ma sono, come ho detto,  soprattutto i cittadini tutti che devono poter dire una parola definitiva scegliendo sulle opzioni compatibili in campo. Se arriveranno nuove risorse pubbliche, esse non dovranno servire a far uscire lautamente pagati i “privati” (nel caso Fondazione Fiera che si auto-pensa disinvoltamente privata o pubblica a seconda delle convenienze e che è il prototipo delle propaggini affaristiche dell’intreccio tra filiere di potere della politica ed attività economiche), ma queste risorse dovranno finanziare la reale virata verso l’interesse collettivo. L'avevo detto a febbraio, con una soluzione alla greca. Rinegoziando il debito, facendo ovviamente chiarezza sulle opacità del passato e lasciando che facciano il loro corso -se ne sarà il caso- altre istituzioni (Corte di Conti o la Magistratura) sul peccato “originale” e sulle sue reiterazioni.
Spero che i primi ha convenire con noi siano i soggetti governativi diretti e indiretti, Cassa Depositi e Prestiti, che si dice pronti a scendere in campo, il ministro Martina ha detto diteci che cosa fatte ed interviene la CDP, così come penso la pensino i primi autorevoli propositori dell’opzione Università.
Ho concluso lo stretto merito del mio intervento ma mi permetto di suggerire brevemente altri tre punti di riflessione non correlati ma compresi nella questione Expo.
Nel mondo intero si parla di lotta alla corruzione come piaga da estirpare e dunque la necessità di rimuovere le condizioni che la promuovono o comunque la consentono. Nella realtà dei grandi eventi, è scoppiato clamoroso il caso Fifa Blatter, per l’assegnazione dei mondiali di calcio. Posso sommessamente dire: a quando un’occhiata alle modalità di assegnazione delle Esposizioni Universali, a quel festoso intreccio di stati, sponsor, casta del  BIE favori clientelari etc? E’ accettabile ed ha una logica il fatto che nella legislazione speciale grandi Eventi si giunga al paradosso che il Commissario Expo, quando (era dicembre 2014) era del tutto chiaro che neanche un metro di metropolitana sarebbe stata pronta per l’evento, abbia potuto decidere, surrogando o meglio cancellando i poteri del Consiglio Comunale, su un’opera quale M4 che metterà a dura prova i bilanci del Comune stesso per il prossimo decennio? In quale altro paese, mi rivolgo ai gentili ospiti stranieri ciò sarebbe stato possibile?
Occorre sanare la pericolosa, gravissima ferita inferta alla democrazia con le modalità di indagine sui lavoratori potenziali sull’area, emersa nelle ultime settimane. Non sono accettabili vere e proprie violazioni dei diritti costituzionali, disinvolti utilizzi di deroghe correlate alla natura di “obiettivo sensibile” attribuita al sito Expo. Non è solo, anche se è importante (e ringraziamo la CGIL ed il compagno Lareno che  ha seguito il problema), come diritto soggettivo al lavoro, è  molto di più e dunque occorre ripristinare al più presto la legalità. Abbiamo appreso che sostanzialmente ci sono fascicoli sulle persone senza che le persone lo sappiano. Chi ha male operato faccia i necessari passi indietro, spieghi se può, e si scusi come deve.

Come vedete molto c’è ancora da fare, e molto dobbiamo vigilare. Ci sforzeremo di farlo.