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sabato 29 agosto 2015

Dalla Russia con stupore
di Giovanni Bianchi

Un puntuale ed illuminate reportage di Giovanni Bianchi sulla Russia


La scivolata del rublo
In un anno la Russia di Putin ha dimezzato il valore del rublo scivolando lungo la montagna di sapone della perdita di valore sui mercati del petrolio. C'entrano le sanzioni, centrano le manovre dei sauditi, come pure il rinnovato confronto con l'Occidente della Nato e di Obama. La Russia, che fa parte dei Brics, ne segue dunque la china e la musica. In un concerto globale nel quale sono le impreviste stonature a dare il clima e a creare l’atmosfera. Mentre tutto l'apparato dei media osanna o almeno asseconda il potere sempre più concentrato degli oligarchi, qualche perplessità e perfino -nelle fraternità e nelle chiese- qualche cenno apocalittico comincia ad emergere. I russi oramai vestono come noi "occidentali" e hanno diminuito la frequentazione al ristorante esattamente come noi. Parallelismi? Parallelismi che la propaganda cerca di ottundere e deviare. E allora? E allora ho abbandonato ancora una volta i numeri delle statistiche finanziarie o del Pil per occuparmi, dopo una decina di giorni di permanenza tra amici di fede ortodossa a San Pietroburgo e a Mosca, degli uomini in carne ed ossa. Come vanno i russi? Meglio la demografia e l'antropologia valgono a capire i processi sociali in atto e le trasformazioni rispetto ai calcoli e all’avidità finanziaria che li determina. Considero infatti da tempo la vita media o speranza di vita uno degli indicatori più credibili ed efficaci nel dar conto di come funzioni la salute di un popolo e quali siano quindi le sue chances di futuro.

La vita media
La vita media dei russi è tra le più basse in Europa, ed è peggiorata vistosamente negli ultimi quindici anni. La speranza di vita di un russo è oggi di 64 anni. Anzi, ad essere precisi, 58 anni campano in media i maschi e 71 anni vivono in media le donne russe. Tredici anni di differenza tra l'uno dell'altro sesso rappresentano una distanza e uno scarto notevole, irrintracciabile in altre popolazioni, dove la differenza si aggira sui cinque anni (quattro in Italia e Giappone). Le ragioni di questa fragilità del maschio russo? C'è chi punta l'indice contro l'uso di alcool. Ogni russo consuma statisticamente ogni anno 12 litri di alcool puro. Riproducendo una condizione ad Est che vede spessissimo quello che dovrebbe essere il capo famiglia debilitato dall'alcolismo, mentre la conduzione della casa viene mandata avanti dalle donne. La storia di molte badanti ucraine e moldave approdate nel nostro Paese ripete questo cliché. È a partire da questo quadro non incoraggiante che le previsioni danno una diminuzione della popolazione russa destinata a passare dagli attuali 147 milioni di abitanti (12 milioni nella sola Mosca) a 123 milioni di abitanti nel 2030. Con una perdita di 24 milioni di cittadini, pari al 6% in 15 anni. Insomma, le prospettive non sono rosee e tutto sembra attendere all'orizzonte i nuovi russi tranne il sole dell'avvenire. Eroi non si rimane. E neppure bolscevichi o internazionalisti, quasi a decretare, anche nella terra immensa che fu teatro dell'esperimento di Lenin, che la stagione storica è irrimediabilmente cambiata, la globalizzazione finanziaria è davvero globale, e che il congedo dal Novecento non esclude niente e nessuno.  Si dice da quasi sempre che la Russia è San Pietroburgo, Mosca, e poi tutto il resto: intendendo per tutto il resto le lande immense, le steppe e i borghi dispersi nel più grande Stato del mondo. E in questa terra che non finisce di stupire ritrovi il senso di una storia che ha dolorosamente sperimentato nei secoli il dolore quotidiano di legioni di contadini e servi della gleba, insieme alle più spericolate avventure del progresso che hanno tentato di dare l'assalto al cielo, fino a volerlo accartocciare in una mano. Da Rasputin, che non riusciva a morire, a Kandinsky, dai soviet più l'elettrificazione, alla "democratura" di Putin, che rischia di estendere il contagio ben oltre i confini dell'impero.


La lontananza e la vicinanza
Quanto lontani dal discorso sulla "casa comune" europea che fu comune al Gorbaciov della perestrojka e a quel Papa polacco che voleva una costruzione politica a "due polmoni", e che per favorirne la nascita non trovò di meglio che affiancare ai due patroni cattolici, Benedetto e Caterina, i due slavi Cirillo e Metodio. Tutto finito? Non credo. Putin e gli oligarchi hanno puntato su una crescita economica della quale Eltsin aveva disperato, affidando, alla russa, il proprio sconforto a dosi non consigliabili di vodka. Hanno anche pensato, diversamente da Gorbaciov, un rilancio dell'idea imperiale. Un'idea lunga nei secoli e dai molti echi nel cuore della gente, perché non va dimenticato che proprio gli imperi e le città sono stati storicamente il fattore maggiore per creare cittadinanza, prima e più degli Stati. Gli stili di vita paiono avvicinare, anche se ovunque accanto alle fogge sportive e alla stessa griffe si accompagna il vuoto inestinguibile del pensiero unico. Anche questa è similitudine. Tuttavia nessuna pubblicità e nessun guadagno finanziario possono impedire il sogno. Quello che due statisti italiani posero a fondamento del proprio progetto europeo: che l'Europa cioè risultasse la prima tappa di un progressivo governo mondiale. Quei due statisti litigavano tra loro quasi su tutto, salvo che sulla passione e il progetto d’Europa. Si chiamavano Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Gli amici russi della comunità ortodossa, progressiva e trasgressiva di Sretenie (Trasfugurazione), mi hanno anche sottoposto una serie di sondaggi, raccolti per capirne di più circa le propensioni attuali del popolo russo. Tutti concordi nel dire che testimoniare vale più che insegnare, predicare, pubblicizzare. La gente ha bisogno ovunque di indicatori credibili, è stata anche nauseata da propagande ridotte a pubblicità inconsistente.


Quale composizione sociale?
Avrei tuttavia molte incertezze nell'indicare un profilo sociologico di questa Russia. Mi riesce estremamente difficile coglierne la nuova composizione sociale. Capire quale sia oggi, nella terra che Lenin volle rivoluzionare a dispetto delle previsioni marxiane, una composizione di classe che non si allontani troppo dalle trasformazioni in atto. Tutte cose che la crisi del rublo e le infinite spregiudicate manovre degli oligarchi non sono in grado di spiegare. Sono i poveri e gli impoveriti una nuova componente di classe che attraversa la globalizzazione  e i suoi effetti? Sono quei russi che tornano alla religione ortodossa cercando amicizia e fraternità per ottenere solidarietà… Lo dicono le loro mense, senza vodka e senza alcool, ineditamente ricche di verdure e di insalate russe che cercano di occultare l'assenza di pietanze più ricche di proteine. Ho capito subito che per i miei ospiti non si trattava di un problema dietetico. È vero: la Russia continua ad essere tre  cose e a dividersi come la Gallia di Cesare in partes tres: Mosca, San Pietroburgo e il resto. L'incertezza delle metropoli in costante in espansione collega gallerie d’arte  frequentate da  giovani russi e da turisti italiani di tutte le età. Mosca continua a mostrare al mondo la più bella metropolitana che sia stata mai concepita: frequentatissima a tutte le ore, ricca d'arte, di velocità tecnologica, di un sogno di mondo che ha cercato di deviare il senso religioso dal Dio della Bibbia agli idoli della tecnica.
Ma fuori dalle due grandi metropoli è difficile capire come l'eco di questo sforzo faustiano sia in grado di arrivare e di permanere. Nelle mense periferiche gli operai hanno ancora l'aspetto dei contadini. Sembrano tolti dalle pagine di Gogol e di Gorkj piuttosto che da quelle di Bulgakov o di Platonov. Fanno parte di quella terza parte della Russia che continua ad arrancare e talvolta la giudicheresti chissà come stremata. All'epopea del kolkhoz si sono sostituite terre incolte in eccesso. E mi è venuto da pensare che nella Russia che non è più di Tolstoj una bella riforma agraria dovrebbe pur essere messa all'ordine del giorno. Mi sono commosso di fronte a qualche orto familiare, che però familiare non era, perché coltivato dalle monache dell'antico monastero di Vladimir. E mi sono ancora più stupito di qualche serra dalla quale occhieggiavano pomodori di stazza ostentatamente doppia rispetto a quelli en plein air. Forse il torto è di avere guardato alla grande madre Russia con l’occhio più del letterato o del critico figurativo, anziché con quello dell'economista. Ma la Russia che ho amato non è soltanto una grande nazione di proletari costretta a sua volta, come tutti, a congedarsi dal Novecento.


Il congedo dal Novecento
Dentro questo possibile e doveroso congedo non possiamo guardare a prescindere da questa sterminata successione di boschi che appartiene anche alla nostra storia, insieme ai suoi grandi romanzi, senza dei quali non è possibile continuare a pensare Europa.
Nessun gattopardismo. Ma neppure nessuna fuga in avanti. La politica non può fare a meno di tutte le sue fonti se non vuole produrre mostri. È la regina delle tecniche e, proprio davanti alla terra russa, dovrebbe ricordarsi d'essere, o di poter essere, anche la regina delle arti. Perché è su questo terreno che la comunicazione è destinata a continuare. Con i suoi capolavori e con le patacche, che pure fanno parte di una quotidianità irrimediabilmente internazionalizza. La globalizzazione ha ragioni che sfuggono agli stessi globalizzatori. Per cui ti capita su un ponte  di Mosca di imbatterti in una serie di alberelli che sono lì a dire le ragioni per cui quel ponte viene chiamato dalla gente, se ho capito bene, "il ponte dei baci".
È stato l’italiano Federico Moccia a scatenare nel mondo intero la mania degli innamorati di comprare un lucchetto che ne dichiara l'amore indissolubile e poi gettare nelle acque del fiume -in questo caso la Moscova- la chiave di un amore.
Un gesto di significato incommensurabilmente superiore al valore del romanzo, Tre metri sopra il cielo. Eppure così i giovani si parlano, sbriciolano i confini, promuovendo il libro  da un enorme boom di diffusione tra i licei romani a una grande notorietà internazionale. Non solo milioni di copie (come in Spagna), ma anche la ripetizione di gesti che nella loro iterazione inaugurano comuni comportamenti. Un'umanità globalizzata può anche funzionare così: ignorando il suo destino e cercando tuttavia i segnali attraverso i quali riconoscersi. Vale la pena di dare fiducia a quei gruppetti di ragazzi e soprattutto di ragazze, "vestite come da noi", che frequentano le pizzerie disseminate un po' dovunque e con le insegne in cirillico. E pazienza se a elemosinare nei tunnel della metropolitana qui sono i vecchi piuttosto che gli extracomunitari e gli zingari.