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lunedì 12 ottobre 2015

DOPO LA SCOMPARSA DI PIETRO INGRAO
di Fulvio Papi
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Nella triste occasione della morte di Pietro Ingrao ho letto con attenzione sulla stampa molti articoli che ne mostravano, come si dice comunemente la figura e l’opera. La sua dedizione al partito comunista, il suo rapporto affettivo con la base popolare, la schiettezza intellettuale, il desiderio di non abbandonare la possibilità di dubitare, immagino specie dopo l’errore storico di valutazione della insurrezione ungherese del 1956 contro l’invasione sovietica, scelta che forse derivò da un inevitabile conformismo che si rimproverò poi per tutta la vita. E poi l’amore per la poesia e per il cinema nel cui ambiente intellettuale si era aperto al mondo. Anzi qualcuno ha scritto che animo poetico e animo politico tendevano a convivere, probabilmente non sbagliava se per poesia si intende l’attraversare il mondo con una propria, sempre rinnovata, passione. Devo però confessare che nessuno scritto riusciva a varcare quella soglia secondo cui “la historia si può definire una guerra illustre contro il tempo”, come si legge nella introduzione dei “Promessi Sposi”.                  La storia, in questi scritti su Ingrao non proponeva una contemporaneità, ma diventava una narrazione che precipitava nel tempo suscitando tutta l’inquietudine della memoria percossa dalla irreversibilità temporale. Così che questo passaggio dalla contemporaneità al consumo del tempo, leggendo gli apprezzamenti per Ingrao, non riguardava solo il personaggio, ma noi stessi lettori di quei ricordi. La sensazione era quella di doversi decidere ad essere in un teatro del tempo di cui la nostra memoria costruiva i personaggi. Siamo proprio in un altro secolo, dove ogni evento passato, ogni partecipazione, ogni passione diventa solo oggetto di pensiero. Questo significa togliersi la parola, e, in questo silenzio, varcare certe porte che conducono alla solitudine. Se non si riesce a vivere nella “historia” allora ogni nostra nota suona stonata nell’orchestra comune. Eppure, eppure rimane una possibilità di giudizio che riesce con buona chiarezza a distinguere il bene dal male, gli onesti dai ladri, gli intelligenti dagli imbecilli. Sempre con una prudente incertezza, com’è necessario. Ma questa possibilità esiste e si può frequentarla con tutti i suoi limiti. Può sembrare starno, ma per evadere dalla destinazione del “tempo perduto” ci vuole un certo coraggio.