Pagine

martedì 20 ottobre 2015

IN MORTE DI MORANDO MORANDINI
Ricordi per un amico
di Angelo Gaccione

Morando Morandini (Foto: Fabiano Braccini - Odissea)


“Ma tu, Morando, quanti anni hai?” gli chiese Ugo Ronfani. Eravamo usciti dall’Osteria dell’Acquabella di via San Rocco, nel quartiere di Porta Romana, dove eravamo andati a cenare. Eravamo cinque in tutto: Morandini, Ronfani, Giuseppe Bonura, io e Francesco Piscitello: una discreta colonna del giornale “Odissea” che veleggiava a gonfie vele, e che in quel quartiere aveva la sua “Carboneria”. Ronfani abitava alla Maggiolina, il quartiere dei giornalisti, e Morandini stava ancora in piazzale Biancamano al numero 1 e li stavamo accompagnando entrambi. Bonura era autonomo, aveva la macchina e poteva agilmente rientrare in via Delle Camelie, un quartiere periferico dove si è sempre sentito in esilio: basta leggere con quanta ironia ne scrive in quel fortunato libro che è stato “Milano. La città narrata”, che avevo curato alcuni anni prima. Anche Morandini aveva scritto per quel libro ed aveva raccontato i suoi spostamenti nelle varie zone della città, a partire dal 1951 dopo il matrimonio. Ma poi era rimasto in via Tasso per trent’anni, come ricorda nel libro, una via blasonata in un quartiere alto-borghese. Ironia della sorte, qualche anno dopo quella cena Morandini verrà ad abitare proprio a ridosso delle mura spagnole, a due passi dalla Porta e a due passi dall’Osteria. La risposta di Morandini era stata spiazzante e ci aveva anche divertiti per la laconicità: “Non ne ho più -disse- mi godo i tempi supplementari.” Io sapevo che era del 1924 ed aveva già allora una bella età; ma io ho sempre considerato l’intelligenza e la sensibilità dei miei amici postuma e giovanilissima, e dunque separata dal fardello che il tempo accumula sulle loro spalle. Per me amici come il poeta e studioso d’arte Arturo Schwarz, il filosofo Fulvio Papi, il critico letterario Gian Carlo Ferretti, per fare qualche nome, sono ora così giovani nelle idee e nel lavoro che continuano a produrre, più di quando avevano vent’anni, e dunque non riesco ad entrare nell’idea che possano invecchiare. Il tempo li può abbattere, come ci abbatte tutti, ma invecchiare proprio no. Forse Morandini, nella sua saggezza, voleva dirci che era preparato al peggio e che non è possibile farsi troppe illusioni davanti alla minaccia delle Parche; dunque accogliere il tempo residuo con distaccato scetticismo e una dose di sana ironia. Preparando anche qualche contromisura: perché come ognuno di noi temeva l’imponderabile, e non avrebbe accettato, se gli fosse accaduto, di sopportare più del necessario. Lo so per certo perché un paio di anni fa mi consegnò una specie di testamento biologico perché lo conservassi, e che, mi disse, aveva dato anche ai suoi figli. Ha continuato a lavorare, Morando, con la stessa lena e senza risparmiarsi, ed ha continuato ad andare al cinema per le sue puntuali note critiche: a volte vedeva tre film in una sola giornata, e poi batteva con la sua macchina da scrivere dai nastri consumati. Dove diavolo riuscisse ancora a trovarli era un mistero. Per tutti i 10 anni di “Odissea” in edizione cartacea, ha battuto i testi della sua Rubrica con quei nastri. A volte le parole erano sbiadite e si faceva fatica; ero sempre io che li trasferivo al computer, ed ero sempre io che andavo da lui in via Ripamonti se qualche passaggio risultava poco chiaro. Abitavamo vicini e per me era una semplice passeggiata. Ha continuato a lavorare senza risparmio e ha continuato a fumare senza risparmio. Il suo studio galleggiava di fumo e quando ne uscivi ne eri impregnato in ogni anfratto. Ricordo quando nel 2011 pubblicammo nelle edizioni della Piccola Biblioteca di Odissea il suo libretto antiberlusconiano: “Litania per il signor B.”; arrivato a casa, mia moglie completamente intollerante all’odore del fumo, prese la busta con il dattiloscritto che aveva cosparso tutta la casa con il suo acre odore di tabacco e lo appese fuori dalla finestra. Ho sempre pensato, guardandolo fumare, che fosse dotato di una fibra invidiabile e che se avesse smesso, avrebbe superato i cent’anni di vita. La sua è stata davvero “una vita al cinema”; ha vissuto parte al buio (il buio della sala cinematografica) e parte “immobile” (seduto alla sua macchina per scrivere). Ma le sue idee immobili non lo erano, perché Morandini non era un semplice recensore di film, era un critico nel senso pieno della parola, cioè uno che sta da una parte e sa bene che ogni prodotto estetico (un film in modo particolare), vive dentro un contesto storico, sociale, politico, economico, di costume, e dunque non va mai isolato da quel contesto, pena l’incomprensibilità, l’inutilità della tua lettura, il servilismo. Questa consapevolezza Morandini ce l’ha chiarissima, come documenta in quel magnifico libro che è “Non sono che un critico” (e dove Morandini c’è tutto intero: come intellettuale e come uomo), e senza mezzi termini annota: “ Nello scrivere su un giornale mettiti dalla parte dei poveri, non dei ricchi e dei potenti”. Con la stessa determinazione aveva rintuzzato quella fallace visione che vuole un’arte priva di idee e scrive: “È  vero: da Henry James in poi è considerato volgare per un narratore avere  - abbassarsi ad avere – delle idee. E allora? Anche questa è un’idea, e da snob. Bisogna cominciare a parlare della volgarità degli snob”. È una vera e propria miniera di concetti e di intuizioni profonde quel libro, e bisogna tenerlo a portata di mano. Per Morando la critica è anche un’opera di resistenza all’establishment, all’arte-industria oggi dominante: “(…) Per il critico, se ha la schiena dritta, vengono i rari giorni della rivalsa, effimeri deliri di onnipotenza. Mentre mette fine alla stroncatura di una bufala ad alto costo, gli viene in mente il produttore e pensa: maneggia miliardi, ha la villa al mare e lo yacht, si sposta da un continente all’altro, riceve attrici famose e divette formose pronte al suo squillo, ma contro la recensione, contro la macchina da scrivere o il Modem di qualcuno come me, a magro stipendio fisso, non può fare niente”. Perché Morandini era rimasto quel che era sempre stato “un liberalsociaslista con un retroterra cristiano, un fondo di scetticismo critico e risvolti anarchici-libertari” come scrive di sé, ed era per questo che sulle pagine di “Odissea” si sentiva a casa. Ora se n’è andato e la città è più vuota; è più vuoto il cinema ed è più vuota la cultura. È più vuoto anche un modo d’essere della cultura: serio, rigoroso, coerente, lontano dai divismi e dalle mode effimere. Se n’è andato prima di potergli fare una sorpresa che avrebbe di certo gradito. Avrei voluto portargli una copia del numero monografico della rivista “Capoverso” dedicato ai quarant’anni della scomparsa di Pasolini. Un fastidioso contrattempo ne ha tardato l’uscita e sarà pronta per i primi di Novembre. Vi avrebbe trovato, fra le tante, la foto di un incontro al Circolo Turati di Milano in via Brera nel novembre del 1972. In quell’infuocata serata si parlava di libertà d’espressione, di pornografia e di censura cinematografica; la pietra dello scandalo era, ancora una volta, il regista bolognese. Al tavolo assieme a Pasolini ci sono il poeta Giovanni Raboni, il critico Gian Carlo Ferretti e Morandini. A Ferretti e alla vedova di Raboni (la poetessa Patrizia Valduga) avevo mandato in anteprima quella preziosa foto, a Morando volevo portare la rivista di persona. Le Parche sono arrivate prima. 

Piccolo Album Morandiniano
Proponiamo ai lettori di “Odissea” una serie di foto che ritraggono Morando Morandini.
Quelle nel suo studio sono state scattate dal fotografo di “Odissea” Fabiano Braccini il 27 Giugno 2014 e fanno parte di un gruppo molto più nutrito, conservate nell’archivio del giornale. Le altre portano nella didascalia, data e indicazioni di chi le ha eseguite. Quella scattata nella casa di don Luigi Pozzoli (anch’egli collaboratore di “Odissea” fino alla morte), assieme ad altre sono state pubblicate in appendice al volume di Giuseppe Bonura: “Satyricon” (Ed. Odissea 2011). La foto è stata eseguita la sera dell’8 Giugno 2007 dalla nipote di don Luigi, Elena Zappa. Quella sui gradini del monumento a Pertini a Milano, il 25 Ottobre del 2014, per festeggiare il 1° anniversario in Rete del giornale, è stata scattata da Livia Corona (altra fotografa e collaboratrice del giornale). Infine quella con Pasolini, è stata scattata la sera del 10 Novembre 1972 al Circolo Turati di Milano, da Letizia Battaglia ed è stata pubblicata nel numero monografico della rivista “Capoverso” (2015) in occasione del 40° della morte di Pasolini (Ed. Orizzonti Meridionali) in uscita.

Foto 2

Foto 3



Foto 4

Morandini alle sue spalle Gaccione
Gaccione, Morandini e la sfinge
Morandini mentre legge
Morandini consulta un suo testo
Morandini terzo a sin. con Ronfani, Bonura, don Pozzoli,
Piscitello e Gaccione in fondo (8 Giugno 2007)
Un gruppo di naviganti di "Odissea". Morandini col cappello
in prima fila, si piega per accendere l'ennesima sigaretta.
Milano 25 Ottobre 2014



Ultima foto in basso. Da sinistra il poeta Giovanni Raboni
con al suo fianco il critico letterario Gian Carlo Ferretti, 
il poeta e regista P. P. Pasolini e Morando Morandini.
Milano, 10 Novembre 1972. Circolo Turati di Milano.