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martedì 20 ottobre 2015

Ricardo Hausmann, un economista nel paese dei campanelli
di Claudio Zanini


L’economista venezuelano Ricardo Hausmann, intervistato da Il foglio dell’8 luglio, cita la seguente frase di papa Francesco (dal discorso tenuto nel suo viaggio in luglio in America Latina):
“Sappiamo che tale sistema (capitalistico) ha imposto la logica del profitto, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura. (…) Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi. E non lo sopporta più la Terra”.
Secondo Hausmann, il papa sbaglia perché, all’opposto, ci vorrebbe più capitalismo e più mercato per debellare la povertà. A suo parere, “il mercato è un sistema in cui tutti cercano di vivere facendo cose che altre persone vogliono e ritengono utili.”
Ci si chiede se Hausmann, pur insegnando a Harvard, non viva nel paese dei campanelli, o forse parla del suo mercatino di quartiere.
L’Africa, per esempio, è stata dal XIX secolo un magnifico mercato. La cartina geografica di quel periodo e fino alla seconda metà del ‘900, mostra come sia suddivisa in tante aree multicolori. Non sono tendoni di bancherelle. A ogni colore corrisponde uno stato europeo: Francia, Inghilterra, Germania, Belgio, Portogallo, Spagna e Italia; stati che si sono serviti del grande mercato africano di materie prime e prodotti pregiati. Naturalmente l’acquisizione di tale immenso mercato non è stata ottenuta attraverso eque trattative, bensì con l’occupazione armata, brutali genocidi e l’espropriazione fraudolenta. Il saccheggio non è si è esaurito con la fine della colonizzazione, ma continua tutt’oggi, con il pagamento del debito contratto negli anni dagli ex governi coloniali. Debito che aumenta, poiché le rate sono pagate con ulteriori prestiti, che aumentano il debito e così via, in un’oculata operazione di strozzinaggio messa in opera dalle banche e dalla finanza internazionale (dal Capitale finanziario mondiale). L’esito di tale politica è consistito (consiste) nello smembramento di equilibri etnici e politici, nel soffocamento di culture, nella riduzione alla miseria e alla morte per fame di intere popolazioni.
L’occupazione imperialista dell’India da parte della Gran Bretagna, con la distruzione dell’industria tessile e del mercato (dell’economia) locale per imporre il proprio; e le guerre dell’oppio del Regno Unito contro la Cina per conquistarne i mercati, sono due esempi, tra gli infiniti che si potrebbero fare, di imperialismo economico. Allora, professor Hausmann, qual è il mercato giusto? Quello inglese, quello indiano o quello della Cina? Lei non potrà negare che è quello che impone il suo dominio sugli altri attraverso la forza degli eserciti. Ma, allora la democrazia e la libertà che (a Harvard) celebrate, tanto da volerla imporre agli altri, a cosa si riduce?
Il professore potrebbe protestare, obiettando che qui si mette in luce solo la parte negativa del colonialismo, misconoscendo i suoi lati positivi. Replico con le parole della nota scrittrice indiana Arundhati Roy: «discutere di colonialismo è un po' come dibattere i pro e i contro dello stupro».
Questo, vagheggiato da Hausmann, è il sistema del mercato che, secondo molti economisti, si dovrebbe autoregolare da sé (pretesa metafisica!). Il fine, purtroppo, non è “un sistema in cui tutti cercano di vivere facendo cose che altre persone vogliono e ritengono utili”, come vorrebbe il candido professor Ricardo Hausmann, ma un sistema in cui è dominante la logica del profitto a ogni prezzo: dal feroce sfruttamento umano delle cosiddette dislocazioni, al disboscamento della foresta Amazzonica, alla deforestazione di vaste zone del sudest Asiatico e dell’Africa in favore di monoculture industriali (olio di palma, soia, agrocombustibili, ecc.). Sarebbero questi l’utile e ciò che si desidera, professor Hausmann, economista venezuelano?
Direi che questo corrisponde all’interesse privato di pochi (le multinazionali e il capitale finanziario). Marx scriveva che l’essenza del capitalismo consiste nel fatto che gli interessi del Capitale e del lavoro sono diametralmente opposti (affermazione non astratta, bensì verificabile ogni giorno). Si può aggiungere che il profitto è l’essenza della formazione del capitale, sua potenza, e della sua trasformazione in capitale finanziario, che non produce merci utili (quelle che Hausmann ritiene giuste), ma denaro virtuale) da parte di soggetti privati (cioè estranei a ogni etica sociale e civile e svincolati da essa)). Il perseguimento del profitto a ogni prezzo è, dunque, opposto alla vita della comunità vivente sulla terra. È omologo alla cupiditas di cui parlava Machiavelli, già nel 1500.
“Il capitale non è una potenza personale: è una potenza sociale” (“Manif. del partito comunista”) poiché prodotto da un’unione di forze diverse e dall’impiego di risorse e condizioni che tutti contribuiscono a creare (infrastrutture, istruzione, ricerca, sanità pubblica, giustizia, ecc.). Quindi, l’appropriazione, rivolta a fini privati, da parte di pochi è, oltre che uno stravolgimento della logica, un abuso criminale. Questo ha condotto (conduce) a una diseguaglianza sempre maggiore, alla tragedia di coloro che muoiono di fame e di guerre, alla distruzione del pianeta.
A proposito della cupiditas (potenza ed energia istintive), Machiavelli, già nel ‘500, affermava che dev’essere imbrigliata e indirizzata a favore di un nuovo ordine delle cose, diventando fondamento di una società virtuosa (di uno stato) per l’uomo.