COSA CI INSEGNA LA BOSCHI FAMILY STORY
di Pierfranco Pellizzetti
Come
dare torto a Dario Nardella, il badante che veglia amorosamente sulla poltrona
di sindaco di Firenze avuta in affido da Matteo Renzi, quando replica in tono
infastidito a Roberto Saviano «sei fuori dal mondo»? Difatti è certamente fuori
da “un certo mondo” chi reclama le dimissioni per conflitto d’interessi della
ministra Boschi, invischiata con il babbo Pierluigi e il fratellino Emanuele
nella vicenda ormai mortifera del crack di Banca Etruria.
Il mondo dove le famiglie
Adams della politica italiana praticano con soddisfatto sprezzo del pudore lo
sport dell’arraffa impunito. Magari per poi sgranare gli occhioni -tra lo
stupito e l’indignato- se qualcuno osa eccepire che il vice presidente di una
Banca fallita dovrebbe rendere conto del proprio operato, non meno del
dirigente responsabile del settore fidi di detto istituto. Ossia daddy Pier
Luigi ed Emanuele brother; che la ministra belloccia (seppure abbastanza sul
cavallino) presume di mondare da ogni responsabilità morale/materiale con un
suo semplice attestato che si tratterebbe di “brave persone” e “cari ragazzi”.
Quando l’impudenza si
diluisce nell’ingenuità…
Eppure la Boschi family ci
insegna qualcosa di molto importante, sui tempi attuali e i suoi protagonisti:
di che materiale sono fatti i ragazzetti e relativi famigli che occupano la
scena al seguito di Matteo Renzi; il cui padre Tiziano è nel mirino della
magistratura per certi business malandrini, che mal si addicono alla sua aria
da Grande Puffo, con tanto di barbetta ricurva (il Tribunale di Genova ha
respinto la richiesta di archiviazione dell’indagine per bancarotta che lo
riguarda); il cui zio Nicola Bovoli, leonardesco inventore del celebre Quizzy,
era in affari con Berlusconi. Insomma, dietro cotanti modelli -la bella e il
best- avanza una tipologia umana di nuovo conio, che riprende aspetti delle
precedenti razze padrone, ma rimixate in modalità originali:
- Gli
antichi “uomini di mano dorotei”, al tempo della Prima Repubblica, praticavano
una sfrenata occupazione del potere, ma sempre mimetizzati in uno stile di vita
disadorno tendente al monacale, totalmente diverso dal glam da balera dei nuovi
emergenti;
- Tra i “giovani turchi”
dell’ultima infornata dalemiana -modello Orfini o Andrea Orlando- non si
rinuncia (va) a nessun colpo basso e porcata, ma sempre con quel pallore sul
volto da grano dei sepolcri (i corridoi di partito ove hanno sempre vissuto, in
simbiosi con famiglie di lemuri) che contrasta con il look lampadato renziano;
- Gli “avanzi di balera”
del berlusconismo rampante esibiscono tenute fighette, pantaloni a tubo di
stufa strizza-malloppo e SUV mastodontici da parcheggiare in terza fila, come
gli abitué Leopoldini; che tuttavia si riconoscono per un uso compulsivo dei
media “indossabili” (I-phone, smart-phone) per tweettate in quantità
industriali (che farebbero venire il mal di testa a dolcevitari arcoriani);
“Le amazzoni di Silvio”
azzannavano l’avversario né più né meno ora delle “soavi viperette” renziane; ma
queste ultime preferiscono adottare un repertorio tossico composto da sottili
perfidie e insinuazioni velenose, rispetto agli schiamazzi con strabuzzo delle
precursore nella femminilizzazione del killeraggio televisivo.
Riassumendo: ragazzetti e
ragazzette di modesta cultura e mastodontiche ambizioni, che avanzano a suon di
gomitate senza remore di sorta e non guardando in faccia nessuno. Con una
pretesa di modernità confusa con il look.
Nessun stupore se poi li
ritroviamo a ripetere le stesse malefatte di chi li ha preceduti, la cui
rottamazione aveva il solo scopo di fare spazio ai nuovi sgomitatori.
[Su concessione degli
amici della Red. di "Micromega"]