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mercoledì 16 dicembre 2015

QUATTORDICI PROPOSIZIONI DI BUON SENSO
di Fulvio Papi


Ceronetti è uno scrittore troppo sapiente, di una originalità talora inaspettabile e qualche volta sconcertante; arriva con una scrittura limpida anche in spazi che un’intelligenza anche non ottusa, non riesce a vedere, è lontano da qualsiasi scambio di convenzioni intellettuali e morali, signore di un tocco aristocratico della parola, così che alla fine diviene difficile dargli sempre ragione. Sarà perché noi portiamo il peso della terra dove siamo vissuti. Sia come sia, ora cito un capoverso di un testo di Ceronetti del 1990, e potrei fingere che qualcuno dei miei pochi amici rimasti lo abbia scritto ieri.
  
“Se dovessi rispondere alla domanda: -Che cosa ti fa soffrire di più vivendo in Italia?- Non direi che questo: il suo fallimento civile, e metterei al mio patire di cittadino in testa alla processione delle doglianze”.                                                                                                                                    
Non mi sfugge affatto  che questa affermazione può essere ascritta  a qualcuno che si immagina seduto su una nuvola e da lì, angelo solitario, giudica il mondo, mentre altri cercano di cambiare il paese. Per chi è ai vertici questo è l’esercizio dei gufi. Posso regalare facilmente come memoria la drammatica pièce teatrale “Le mani sporche” di Sartre, e, magari, ricordare l’aggettivo “disfattista” di moda nei primi tempi della repubblica di Salò. Il tutto senza alcuna preconcetta ostilità, ma solo per dire “nihil sub sole novi” che è biblico. E, confesso, mi spiace contraddire la fede che mostrano come Napolitano e, adesso, l’ottimo Mattarella, tuttavia fin che c’è la libertà di espressione non voglio nemmeno censurare i “boatos” (sussurri) che mi capita di ascoltare e che se non saranno “voce di popolo voce di Dio”, sono pur sempre questioni che mi riguardano:
1. Le regioni (non stiamo a colpevolizzarne in particolare qualcuna o a assolverne un’altra) sono un fallimento. Non solo perché si sono spesse rivelate come luoghi di traffici truffaldini, di sperperi colpevoli, di estetiche babilonesi, di selezione di politici di una mediocrità che, almeno lì, non si dovrebbe trovare, ma soprattutto perché non hanno realizzato le ragioni etico-politiche che fecero considerare un giorno felice la loro istituzione. Vorrei ricordare che Cattaneo c’entra anche poco, considerato che la sua visione federalista è un mixage dell’esperienza svizzera, delle autonomie  e della mitologia risorgimentale dei comuni italiani nel Medio Evo. Era un grande pensiero che andava interpretato e non sbandierato in modo sconsiderato dai candidati ai seggi.
2. La proposta di fissare un tetto di diecimila euro di pensione per qualsiasi compito si abbia avuto nella vita attiva, è giusta e realistica. Sappiamo di personaggi che ogni mese ricevono per varie prestazioni, l’equivalente che altri vedono in un anno e altri ancora in otto. Sappiamo, nuovi sofisti, che il denaro è la misura di tutte le cose, e questo, al tempo di Balzac era un fatto compiuto, tuttavia mi capita di pensare che taluno di questi ingordi con aria distratta è (o è stato) anche un personaggio della cultura, dove qualche eco dovrebbe averlo una certa dedizione monacale al proprio lavoro, alla ricerca di una verità un poco indifferente ai “valori” superficiali del mondo. O la stima di sé ha varcato ogni limite, e celebra quotidianamente con il denaro il proprio arco di trionfo?
3. Mesi di chiacchiere sublimi si sono sentite in Parlamento per la questione della riforma del Senato. So da antica sociologia che le istituzioni obsolete prolungano più che possono la loro agonia, ma un parere diffuso era che i riformatori cercassero di uscire dalle loro meditazioni, per un Senato, in qualche modo, ancora utile per i loro privilegi. Era poi così difficile un semplice articolo che dicesse: “Il Senato è abolito”. Non credo che gli elettori avrebbero avuto un collasso. Quante cose sono state abolite negli ultimi decenni senza farci nemmeno caso?
4. È sconcertante che quasi ogni sera al telegiornale vi siano notizie riguardanti la situazione economica del paese: la produzione, l’esportazione, il debito pubblico, l’occupazione, ecc. ecc. Di solito queste notizie si possono dare sul medio periodo per avere una certa attendibilità. Altrimenti sembrano le previsioni del tempo che ora però, raggiungono l’arco di 5 giorni.
5. Ogni volta (e sempre più spesso) che il nostro territorio abitato è funestato da crolli, inondazioni, strade sprofondate, frane, si dice sempre che tutto ciò è dovuto, oltre che al mutamento del clima, anche a ragioni “antropiche”. Cioè il terreno è stato usato in modo sbagliato perché era una merce e una banale estetizzazione dell’esistenza. È un’analisi in generale esatta. Ma perché non si dice anche chi sono stati i protagonisti di questa storia? Esisteranno delibere, concessioni, progetti ecc. Se si dice che la colpa è dell’ “uomo” si dice una cosa del tutto imprecisa. Quale uomo? Con quale cultura? Con quali ambizioni? A quali colpevoli ignoranze o profitti?  E chi di preciso doveva pensarci?
6. Lo stesso discorso per opere pubbliche (ospedali, attrezzature sportive, scuole e persino prigioni) che col tempo diventano “archeologia moderna”, abbandonate e in rovina. Ci sarà qualcuno che ha preso queste decisioni? Ci saranno imprese, professionisti che vi hanno lavorato, o era solo il modo di distribuire ai “clientes” (Orazio che li temeva ma non poteva immaginare la loro diffusione) il denaro di tutti? È come se da tempo fosse abolito il criterio di responsabilità.
7. Ha trionfato nei nostri giorni “ex fiducia”. È in ombra qualche altro sentimento meno televisivo. Ma ci sono pure le ovvie domande: “Fiducia di che?”, “Fiducia in chi?”, “Fiducia in che cosa?” e altre simili che secolarizzano la “fiducia in Dio”. Perché altrimenti vuol dire: convinzione che si può spendere fino all’ultimo euro tanto poi c’è la ricarica a gloria del mondo in espansione per la gioia pubblica. E poi si sentono gli stessi che sostengono la necessità di mutare i consumi per infinite ragioni, tra cui quello che il pianeta, così sfruttato, non ha risorse sufficienti, e l’uso privato, nell’alimentazione, di questo costume aggressivo, rischia di essere molto dannoso per la salute. Tutti desideriamo la gioia collettiva, ma anche discorsi logicamente compatibili.
8. Purtroppo non sono mancati alcuni mezzi di comunicazione che hanno sentenziato che al posto della costata chianina, sarà molto meglio mangiare grilli, cavallette e formiche. Probabilmente dall’alto è arrivata una frenata, altrimenti le formiche avrebbero corso grave pericolo, come i bufali al tempo del West. 
9. A proposito di americani (e di europei). Bande di fanatici stanno distruggendo patrimoni archeologici fondamentali. Si dirà: lo facevano anche i cristiani con i templi pagani; ma se non sbaglio, prevaleva la trasformazione. E poi chi dimentica le leggi ferree dello stato papalino già al tempo di Winckelmann per tutelare il patrimonio archeologico di Roma? Capisco l’indifferenza americana pragmatica, tecnologica, e dopo tanta Bibbia, spesso banalmente materialista, accecata a suo tempo dal petrolio dell’Iraq. Ma noi europei?
10. Che nella ricorrenza, si parli molto di Pasolini è fondamentale. La sua intelligenza creativa e poetica, in generi comunicativi diversi creava opere di natura espressiva differente che, ogni volta, poteva essere esplorata con le tecniche intellettuali necessarie: la poesia, la narrativa, il giornalismo, il cinema. E tuttavia si può forse dire che ogni volta era la trasfigurazione poetica di un altro mondo. Il solo sospetto è che in tanta discussione vi sia, celata, anche la cattiva coscienza di non pochi titani del consumo distruttivo di questo mondo.
11. Milano e Roma. Non è Inter-Roma (1 a 0), ma si tratta di problemi seri che riguardano molti aspetti della insufficiente realizzazione della nazione italiana. Per superficie si può forse azzardare che a Milano (a parte le zone della città in mano alla malavita) il costume mafioso è riuscito ad assimilarsi bene alla rete affaristica e al giro finanziario che (seppure in condizioni ora molto peggiori), ha sempre caratterizzato la città. A Roma la corruzione è più a cielo aperto in una solidarietà che comprende politici, amministratori, affaristi, burocrati importanti, dirigenti di enti, impiegati fedifraghi. Una specie particolare di riproduzione sociale attraverso un costume diffuso. In queste condizioni chiunque, se non è già compromesso, farà fatica a vincere.
12. I giuristi mi hanno sempre detto che non è la durezza della pena a bloccare la delinquenza, ma la certezza della pena. E tuttavia l’impressione è che in non pochi casi eclatanti, soprattutto in relazione al bene pubblico, le pene siano leggere, come se il crimine contro il bene pubblico non fosse poi tanto grave per un paese civile. I processi devono essere abbreviati e di molto, ma non mi pare che possano essere ridotti a una sorta di transazione commerciale. Poniamoci da capo, senza paraocchi preconcetti, che cosa è una pena? Quale è oggi nel nostro mondo il suo senso? Su questi temi dovrebbero cimentarsi gli esperti.
13. Al congresso dei magistrati avremmo desiderato che questi problemi venissero alla luce. Invece a molti è sembrato debole il discorso del presidente dell’associazione dove la denuncia della possibile “delegittimazione” sottintendesse l’idea che lo status attuale del magistrato è in ogni cosa, sempre legittimo. So che dal punto di vista economico esiste l’argomentazione dei “diritti acquisiti”. Cosa che non avviene in lavori che dipendono dalle variazioni del mercato. E allora si può sostenere che esistono due diritti del lavoro, uno che deve essere garantito dallo Stato, l’altro che varia secondo le variazioni del mercato. I maligni parlano di corporazioni.
14. C’è un luogo comune sbagliato che sostiene la maggiore economicità di una gestione privata su una pubblica. L’argomentazione è plausibile solo se la gestione pubblica è in mano (come da noi è capitato frequentemente) a persone disoneste che adoperano il loro potere per i loro interessi privati. Altrimenti qualsiasi gestione privata aggiunge ai costi il suo profitto. C’è il contro-argomento: è la concorrenza? Non è un’argomentazione banale, tant’è che ne parla Marx nel III libro del “Capitale”. Ma è ancora il potere pubblico che deve garantire le condizioni corrette della concorrenza. Non deve avvenire come al povero Bersani che fece del problema dei taxi (ovviamente usati da disoccupati, precari, pensionati poveri) la scoperta della nuova frontiera economica.