VENTI
DI GUERRA
Riceviamo e pubblichiamo
Contro le guerre imperialiste delle
grandi e delle piccole potenze!
Per il sostegno e l'estensione della
rivoluzione nella Royava!
Contro il militarismo, l'industria
delle armi e le fabbriche di morte!
Per il disarmo, la smilitarizzazione e
la riconversione generalizzata!
Venti di guerra soffiano sempre più potenti: dalla Siria a varie zone dell'Africa, dall'Ucraina allo Yemen. E' un vento che è generato dai conflitti latenti e dalla concorrenza che i vari Stati si fanno per aumentare la loro influenza e per soddisfare la propria voglia di espansione e di controllo.
Esemplare quanto sta succedendo tra
Siria ed Iraq, ove si evidenzia sempre più la funzione del sedicente
'Stato islamico', che viene utilizzato da tutte le parti in gioco per
evidenti fini egemonici.
Dopo avere preso vita a seguito della
sciagurata impresa bellica della coalizione contro Saddam come forma
di sopravvivenza politica sia dei fondamentalisti che dei seguaci del
dittatore, lo 'Stato Islamico' ha individuato nel conflitto civile
siriano la possibilità di una sua crescita fino a formalizzarsi come
potere territoriale delle popolazioni sunnite nell'area, aiutato in
questo dai convergenti interessi di USA, Turchia, Israele, Arabia
Saudita e Qatar nella lotta contro la dittatura degli Assad e contro
l'asse sciita Siria-Iran-Iraq. Ma l'appetito della cricca dirigente
dello 'Stato Islamico' è andata ben oltre gli obiettivi che alcuni
dei suoi sponsor avevano posto, volendo ricomporre e porsi alla testa
del movimento fondamentalista di matrice islamica, attualmente
frammentato tra sigle e formazioni di varia natura ed impostazione.
Amplificando il proprio messaggio tra tutte le popolazioni musulmane
lo 'Stato Islamico' vuole mettere in discussione assetti e gerarchie
consolidate, e vuole guadagnare alla propria causa anche la gioventù
musulmana – e non solo – che vive nei paesi cosiddetti
occidentali per farne teste di ponte della propria ideologia.
La reazione non è tardata a farsi
sentire, ma la risposta non è stata unitaria.
L'affacciarsi sulla scena dell'Iran,
dopo l'accordo sul nucleare, preoccupa fortemente gli sceicchi che
dominano l'Arabia Saudita tanto da spingerli a massacrare, nel
silenzio assordante dei governi occidentali, i ribelli sciiti che
nello Yemen mettono in discussione il governo, e a continuare a
foraggiare di denaro e di armi i sunniti dello 'Stato Islamico'.
Stesso ragionamento si può fare per la Turchia che traffica con il
petrolio estratto nei territori controllati dallo 'Stato Islamico' e
che facilita i suoi rifornimenti. Obiettivo turco se da una parte è
quello di contrastare la crescente influenza degli sciiti iraniani
nell'area, dall'altra vuole soprattutto impedire che le varie
comunità curde si saldino fino a dare vita ad una entità
territoriale autonoma, sulla scia di quanto è avvenuto nel Kurdistan
iracheno. L'aver concesso una base ai cacciabombardieri USA e l'invio
di truppe a Mosul, in Iraq, confermano che, pur di bloccare i curdi,
la Turchia è disposta a muoversi contro lo 'Stato Islamico' pur di
grande malavoglia.
Gli USA, dal canto loro, stanno
raccogliendo i frutti di una politica fatta di sostegno al 'male
minore' per sconfiggere il 'male maggiore'. Come in Afganistan, in
Iraq ed ora in Siria, i burattini si sono rivoltati contro il
burattinaio, che si trova a fare i conti con la propria opinione
pubblica colpita dall'efferatezza dei tagliatori di teste e che
mobilita i propri aerei come contentino per rifarsi un'immagine
spendibile nelle prossime elezioni presidenziali. Ma nonostante tutto
gli USA non mollano il colpo: se non possono controllare tutta l'area
per loro è importante che nessuno diventi così potente da
controllarla.
L'Unione Europea dimostra tutta la sua
inconsistenza politica: la diversità di interessi tra Francia,
Germania, Gran Bretagna e Italia è tale da non consentire politiche
comuni al di là di banali dichiarazioni di prammatica. Sulla
doverosa accoglienza dei profughi non si è trovato uno straccio di
accordo, sul blocco delle forniture di armi lo stesso (e Renzi lo ha
dimostrato prontamente andando a stringere le mani ai boia di Riad).
La Francia ha inviato i suoi aerei in Siria a bombardare i territori
controllati dallo 'Stato Islamico' dopo il massacro di Parigi, a mo'
di vendetta, come se altri massacri potessero lavare il sangue
versato...d'altronde le elezioni erano alle porte e Hollande doveva
buttare sul tavolo un pugno di cadaveri per contenere la dimensione
della sconfitta.
Dal canto suo la Russia ha rotto gli
indugi ed è intervenuta pesantemente nella guerra civile siriana
schierandosi dalla parte del suo alleato storico, la famiglia degli
Assad, per mantenersi le basi sul Mediterraneo e per contrastare
l'espansione della NATO ad oriente (è di questi giorni la richiesta
di adesione alla NATO del Montenegro), addirittura arrivando a
minacciare l'uso dell'arma nucleare. In tal modo la Russia entra in
rotta di collisione con la Turchia impegnata da tempo
nell'allargamento della sua influenza grazie alla presenza di
popolazioni turcomanne nell'area. I bombardamenti russi sulle milizie
filoturche che in Siria si oppongono al regime sono uno dei motivi
dell'abbattimento dello jet di Mosca, con la scusa dello
sconfinamento, anche se non sarebbe banale pensare che tale
sconfinamento sia stato progettato a tavolino per mettere a nudo le
ambiguità del governo di Ankara.
La Siria, in buona sostanza, è il
terreno dove si combattono tante guerre, dove si misurano le capacità
egemoniche delle varie potenze.
Ma chi combatte lo 'Stato Islamico', la
sua ideologia totalitaria, l'applicazione inumana della sua legge che
deriva da una lettura ancestrale dei testi sacri dell'Islam, non sono
gli Stati.
Sono le popolazioni che subiscono sulla
loro pelle gli effetti dello statalismo, del nazionalismo, del
confessionalismo religioso, del colonialismo e che si ribellano per
difendere la propria dignità e per affermare la propria autonomia.
A causa della propria condizione
storica le popolazioni curde che vivono tra Turchia, Siria, Iraq e
Iran, si trovano oggi a misurarsi con le politiche opportunistiche
dei 'loro' Stati e a combattere in prima fila la violenza fascio
islamista dello 'Stato Islamico'. Se le truppe regolari dei
'peshmerga' iracheni, equipaggiate ed addestrate da militari della
NATO – la Folgore in primis – combattono l'esercito dello 'Stato
Islamico' per garantire l'esistenza della propria autonomia,
conquistata in seguito al disfacimento dell'entità nazionale
irachena e per allargare il proprio territorio, nel Kurdistan siriano
– Rojava - i curdi, insieme ad arabi, yazidi ed altre popolazioni
locali hanno dato vita ad un processo autonomo di autogoverno basato
sul confederalismo e sul riconoscimento delle differenze di cultura e
di genere, e sul rispetto dell'ambiente.
E' evidente che tale processo, per i
suoi contenuti progressivamente egualitari e sostanzialmente lontani
da modelli statalisti classici, rappresenta per l'area una novità
assoluta ed una proposta in grado di superare i conflitti interetnici
ed interreligiosi, nel superamento dei confini statali. E'
altrettanto evidente che gli Stati dell'area, ma anche gli Stati
'occidentali' e la Russia vedono come il fumo negli occhi questo
processo e lo combattono in vario modo, ora palese, ora occulto,
soprattutto ora che tale proposta, sostenuta dal protagonismo del
Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), viene recepita nei territori
curdi della Turchia, e mette in discussione l'egemonia e
l'autoritarismo di Barzani nel Kurdistan iracheno.
Questo spiega la dura repressione
operata dal governo di Erdogan contro i territori turchi
prevalentemente abitati dai curdi, gli omicidi mirati, l'uso degli
aerei e dell'artiglieria, il coprifuoco imposto, le migliaia di
arresti, le centinaia tra morti e feriti.
I venti di guerra non soffiano solo in
queste zone.
Nel vecchio continente si coglie
l'occasione delle minacce dello 'Stato Islamico', di alcuni attentati
e di azioni armate indiscriminate sul suolo europeo, per
militarizzare i territori, limitare ulteriormente la libertà di
manifestare, conferire maggiore potere alle forze armate e di
polizia, ai servizi segreti, incrementando le spese militari a
scapito dei servizi sociali. Il massacro dei giovani parigini diventa
l'alibi per incrementare il massacro sociale dei lavoratori e delle
fasce più deboli della popolazione.
Non si ferma la guerra in corso se non
si rompe con la logica di potenza insita in ogni Stato, con il
nazionalismo che alimenta gerarchie etniche e culturali, con il
militarismo e l'industria di morte.
Bisogna incrementare l'azione di
contrasto e di opposizione alle politiche di guerra, con lo sviluppo
di un movimento contro la guerra che non si faccia arruolare da alcun
contendente in armi ma che, nel contempo sostenga il processo
rivoluzionario nella Rojava, individuato come unica possibilità
possibile per un'uscita dal tempo della morte.
Con questo intendimento facciamo
appello a tutti e a tutte, individui ed entità collettive, per
discutere e confrontarsi su questi contenuti ed iniziare a costruire
percorsi comuni e unitari che ci vedano protagonisti incisivi nelle
prossime fasi.
Federazione Anarchica Milanese -
FAI