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venerdì 15 gennaio 2016

Sulla ricchezza dei narcisi
di Giovanni Bianchi


Sinistra e democrazia
Mi vado convincendo da tempo che il problema non è ricostruire la sinistra, ma la democrazia. Anche in Italia, dove della destra e dei suoi guai si è sempre dovuta fare carico la sinistra. Benito Mussolini non è che un passaggio della lunga catena. Il Duce veniva dall’ala dura e ovviamente “rivoluzionaria” delle Camere del Lavoro.
A minacciare il tessuto democratico in questa stagione è soprattutto la ricchezza, che mantiene imperterrita i suoi ritmi storici.
John Kampfner ha ragione. I vecchi ricchi si battevano esplicitamente contro i concorrenti. I nuovi liberisti esaltano la concorrenza e provvedono ad ucciderla in culla. Sarebbe questa una buona ragione rooseveltiana per allargare le classi medie: oggi erose dal capitalismo compassionevole, anche italiano.
La politica copre l’operazione generalizzando la trasgressione -i divi godono infatti di una franchigia trasgressiva e ovviamente sono ricchi- ma evitando di distribuire e condividere la ricchezza. Per questo non è forse del tutto innocente il doveroso impegno intorno ai diritti civili. Non facciamo confusione: i diritti civili vanno allargati, i gay riconosciuti e tutelati, ma è solo illusione di libertà e continuità della discriminazione sociale se contemporaneamente i diritti civili non vengono garantiti con la base di un welfare universale. Se il welfare diventa competitivo risulta sospinto sulla via del tramonto. Che è anche, sempre, la via della colpevolizzazione dei poveri.
Il recupero di un nucleo tradizionale, intorno al quale proteggere -insieme e sullo stesso piano- le novità dovrebbe essere la via maestra. Il nuovo ogni volta a dispetto del sociale tradizionale è sovente un bluff corrosivo. L’unico al mondo per ora a esserne tranquillamente cosciente è papa Francesco.  Francesco non è un progressista. Non è un rivoluzionario. Ma un radicale evangelico. E i Vangeli risultano scritti quasi 2000 anni fa.
Chi impoverisce gli altri arricchisce: Sant’Agostino lo aveva capito per tempo. Kampfner ne ha ripercorso in un volume da poco pubblicato (Storia dei ricchi, Feltrinelli editore) l’itinerario nei secoli, da Creso a Bill Gates.
L’ordito di fondo è il medesimo di Thomas Piketty: viviamo in un mondo dominato dalle rendite finanziarie. E da qui bisognerebbe prendere le mosse per ripartire, avendo chiaro che nell’universo dei ricchi, o meglio nel mondo globale dominato dai nuovi ricchi, emergono sempre gli stessi impulsi e le stesse forze. Ivi compreso il vezzo del consumo vistoso e dello spreco buttato in faccia ai poveracci.

I metodi
I metodi sono tutto tranne che liberisti e rispettosi della concorrenza. I nuovi ricchi, come i vecchi e gli antichi, rigettano la competizione e comprano chi si oppone, e infine lo eliminano. Così, come già per il passato remoto, quanto più sei ricco tanto più lo diventi. Analogamente quanto più sei povero tanto più sei a rischio di sprofondare.
Per salire la scala sociale dei super-ricchi gli esperti di investimenti sostengono che la parte più difficile sia mettere da parte i primi dieci milioni. Una volta arrivati lì, le condizioni del sistema fiscale e gli stessi enti regolatori globali vi aiuteranno a crescere e ad arricchirvi sempre di più…
In tal modo quel che conta non è il modo col quale hai accumulato il denaro, ma arrivare in cima alla montagna: questo ti consentirà di consolidare la tua posizione. I tuoi figli frequenteranno gli istituti britannici più prestigiosi e il nuovo ricco sarà munifico di donazioni perché quegli istituti possano anche portare il suo nome.
Insomma tutto concorre ad allargare l’abisso delle disuguaglianze. E non sono pochi coloro che si ingegnano di legittimare la logica dell’esclusione, parlando a proposito e a sproposito di merito e bisogno, e soprattutto colpevolizzando chi non ce la fa salire e resta in fondo alla montagna dei dollari.
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Alli benigni lettori
Segnaliamo ai nostri lettori l'interessante dialogo morale di Dante Maffìa
pubblicato nella rubrica "Officina" e la nota di Giovanni Bianchi al libro 
di Gianfranco Ravasi sul Giubileo.