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martedì 9 febbraio 2016

IL RACCONTO
L’estate è gia finita
Racconto di Vito Calabrese
Illustrazioni di Adamo Calabrese.
(Per Ilaria)





Cap 3
Il prete non era ancora arrivato. I due ragazzi girano attorno alla bassa costruzione grigia, una portineria ormai abbandonata coi muri sfregiati da scritte illeggibili. Entrano nel primo vano, la porta non c’è più, e osservano un po’ intimoriti l’interno saccheggiato. Sono rimasti solo i segni di qualche mobile e un tavolino sbrecciato in equilibrio instabile, una gamba più corta delle altre, i vetri rotti all’unica finestra che dà sulla campagna disseminata di rovi. Le luci di due fari illuminano per alcuni istanti la stanza. Rocky si affaccia e attende che l’auto si fermi davanti a lui. Ne scende un uomo alto, magro, capelli corti, un paio di occhiali neri, grandi, vestito in blue jeans e maglioncino blu di cotone. Poteva essere uno di loro e invece era il prete che si presentava con un sorriso tirato, dicendo di essere don Mauro.
Ilaria esce dalla casetta, si mette davanti a Rocky, saluta e chiede se ha trovato dove ospitare i profughi. Don Mauro vuole saperne di più e le chiede di raccontare con più particolari ciò che ha vissuto quel giorno. Sa che non sarà possibile evitare il controllo delle autorità. I ragazzi stanno facendo di tutto per evitarlo ma lui sa che prima o poi bisognerà riportarli in un centro e affidarli a
qualcuno che davvero possa aiutarli. Ma chi?
Ci sono stati troppi arrivi. I centri sono pieni, tanti fuggono. I ragazzi non sono d’accordo e vogliono creare uno spazio, aprire una tregua dentro cui infilare i due profughi. E poi? Don Mauro si è ricordato di un parrocchiano che vive in una frazione nell’entroterra. Ha una casetta che usa stagionalmente quando fa la raccolta delle melanzane e degli altri ortaggi. Non ci abita nessuno ma ci si può vivere. Gaetano, questo è il suo nome, è un brav’uomo e potrà ospitarli per qualche tempo, finché non avranno trovato il modo di immetterli in modo sicuro nella corrente che sale al nord.
Rocky si occuperà dell’operazione con i suoi amici, che ha già avvisato. Poldo e gli altri stanno andando verso la spiaggia ad incontrare le amiche. L’idea è quella di organizzare un sorta di gioco notturno sulla spiaggia e quando la maggior parte dei villeggianti sarà rientrata a casa per dormire, tornare in gruppo, un gruppo che ingloberà al suo interno i due profughi, ben nascosti in mezzo a loro, e portarli fino alla portineria abbandonata. L’appuntamento sarà sempre col prete, accompagnato da Gaetano che farà arrivare i due ragazzi alla capanna.


Cap 4
Abebe sta guardando attraverso la fessura fra le assi sconnesse dell’imposta che chiude malamente l’unica finestra della capanna. Il sole del pomeriggio schiaccia il paesaggio arido della campagna sotto un manto di calura. Il caldo non è un problema per loro anche se nell’altipiano etiopico, a 1800 metri, si stava meglio. Abebe chiama con un sussurro la sorella, le fa segno di non parlare ma di osservare tra gli spiragli la scena fuori dalla capanna. Un’auto impolverata, una camionetta ammaccata, sta perlustrando la zona, passando lentamente davanti a quel rudere dove sono nascosti. Qualcuno si è accorto degli spostamenti notturni oppure qualcuno ha chiacchierato troppo e la voce è arrivata agli orecchi di chi è interessato a loro. L’auto rallenta e si va a fermare più avanti, all’ombra di un grande albero di carrube.
“Non siamo al sicuro qui. Stasera, appena farà buio, dobbiamo andarcene.”
“Dovremmo aspettare il contadino e quei ragazzi che ci hanno aiutato.” risponde ansiosa Zema.
“Non c’è tempo. Ci stanno spiando. Se non cambiamo posto ci scopriranno. Quell’auto è ancora lì, ci sta braccando.”
“Ho paura. Dove andremo? Quei ragazzi potevano aiutarci.”
“L’hanno già fatto. Ci hanno procurato questo posto, e per una notte è servito, ci hanno regalato le scarpe da tennis, la biancheria e le magliette.”
“Come faremo a ringraziarli. Ci hanno dato anche le loro mance.”
““Adesso stai zitta. Noi non esistiamo.”
Appena è calata la notte, Abebe, jeans scuri e maglietta nera, è strisciato fuori dalla porta per verificare se l’auto fosse ancora nascosta nelle vicinanze. Il ragazzo si è spinto, guardingo, ai limiti del recinto ma non ha notato niente di strano. Si è raddrizzato ed è rientrato velocemente nella capanna. Zema lo aspettava in ansia e quando è rientrato lo ha abbracciato stretto. Doveva scaricare la paura che la insidiava, gelandole il corpo. I ragazzi raccolgono in un sacchetto le poche cose che hanno e sgusciano fuori dalla capanna nella notte, ancora senza luna, e s’inoltrano nella campagna, dove domina assordante il frinire dei grilli. Abebe ha imparato a riconoscere la costellazione dell’orsa minore. L’ultima stella, la polare è quella il suo riferimento. Nord, salire a nord. Passi lunghi e svelti, soste improvvise per scrutare nel buio, lontani dalle strade principali. Dovranno camminare tutta la notte per nascondersi di giorno.
Cap 5
Bruno e Fiammetta stanno tornando a casa dopo aver cenato con gli amici al ristorante sul mare di Torre dell’Orso. Lui è alla guida silenzioso, Fiammetta si è appisolata al suo fianco, una musica per solo orchestra fa compagnia al guidatore. La luce dei fari abbaglianti scava nel buio un cono che la notte fonda continua a mangiarsi. Lui si è incantato a osservare il gioco delle falene che guizzano per un istante nel cono luminoso dei fari, quando sulla destra scorge un’ombra che improvvisamente si sposta in modo disarticolato verso il centro della carreggiata. Il cuore gli balza in gola, i battiti accelerano e lui apre la bocca in un grido strozzato mentre sterza bruscamente, attraversando con l’auto tutta la carreggiata. L’auto evita per un soffio la sagoma nera che ha riempito la strada e sobbalza fermandosi di traverso, vicino ad un paracarro.
Fiammetta, svegliatasi bruscamente, è stata strattonata dalla cintura di sicurezza che le ha evitato di sbattere la testa contro il parabrezza. Bruno non capisce cosa sia successo, l’auto ha il cruscotto con tutte le spie rosse illuminate, il motore è spento. Bruno sente la voce impaurita della moglie che sta gridando: “Aiuto! Cosa hai fatto, sei impazzito? Dove siamo?”
“Ti sei fatta male?” risponde lui, incurante delle lagne della moglie ma premuroso nell’accertarsi che stia bene.
“No. – e si tocca indecisa – sono solo spaventata e tu?”
“Niente, sono tutto intero. Mi è apparsa una figura che all’improvviso ha attraversato la strada e per evitarla ho sbandato. Scendiamo a vedere se per caso è ancora in mezzo alla strada”.
Bruno si porta sulla carreggiata illuminata per un tratto dai fari, e spinge lo sguardo a perlustrare il buio della notte senza riuscire a distinguere niente che possa assomigliare ad una sagoma umana. Probabilmente l’auto, che viaggiava a velocità sostenuta, ha percorso un bel tratto di strada prima di fermarsi. Bruno continua a camminare a ritroso, vicino al ciglio destro della strada con la speranza di trovare ancora in vita quella persona, perché di persona si tratta, di questo ne è sicuro.
Fa ancora un passo e nel buio avverte un rumore, un fruscio, qualcosa che cerca di spostarsi strisciando a terra. Si china per vedere meglio, la lingua luminosa dei fari non rischiara quella zona, e si accorge che sdraiata sull’asfalto c’è una figura che si lamenta. Che l’abbia colpita senza accorgersene? Bruno si accovaccia a fianco di quella sagoma che intravede scura, più scura della notte, e la tocca con una mano.
“Dove ti fa male? Sono un medico, dimmi cosa ti fa male.”
La figura apparentemente non riesce a rialzarsi e si lamenta con una voce che fa male a chi l’ascolta, espressione di un dolore e una sofferenza indicibili. Bruno si accorge che la figura è una ragazza nera, i cui abiti sono ridotti a brandelli. Fiammetta l’ha raggiunto e dirige il fascio di luce della pila sul corpo della ragazza. Lei si ritrae atterrita e sgomenta. Bruno le prende la pila e ispeziona il corpo dolente. Il viso della ragazza è tumefatto. Ha un occhio pesto, il labbro superiore tagliato in più punti, gli zigomi con evidenti tracce di colpi. Le vesti o ciò che resta addosso alla ragazza è un mucchio di cenci strappati che non la coprono. I seni sono scoperti e graffiati. Il ventre è sporco di sangue, di terra. Le lunghe gambe sono segnate da lividi, così pure la braccia,
come fosse stata trattenuta strettamente. Bruno capisce subito di non averla investita con l’auto. Invece la ragazza potrebbe essere stata vittima di uno stupro. Sembra in stato confusionale, cerca di proteggersi con le braccia, lamentandosi con voce roca.
“Sono un medico, devi fidarti di me. Ti voglio aiutare. Questa è mia moglie. Chi ti ha fatto tutto questo? Hai ragione; è inutile chiedertelo. Sei appena scappata da loro. Sei sola? C’è qualcun altro che ha bisogno di aiuto?”.
“Povera ragazza!” Fiammetta impietosita, si è sfilata la giacchetta leggera, elegante, e le copre il busto, ma serve a poco.
“Capisci la mia lingua? -la ragazza guardandolo con un solo occhio, scuote leggermente la testa-  english?” la ragazza ferma la testa e accenna con lo sguardo mentre cerca di pronunciare uno stentato yes.
I due coniugi riescono a farsi raccontare il minimo necessario per soccorrerla. Hanno capito che è una profuga che sta scappando dopo lo sbarco clandestino. Qualcosa è andato male, la ragazza è stata sequestrata e stuprata da alcuni delinquenti.
“My brother…, please, help.” La ragazza con grande fatica riesce a pronunciare queste poche parole. Fiammetta si prende cura della ragazza e una volta che l’hanno faticosamente trasportata e fatta sedere nell’auto, Bruno decide di avventurarsi nella campagna per cercare di rintracciare il fratello. Deve cercare un albero, un grande albero isolato a cui è stato legato il fratello, dopo esser stato pestato, per impedirgli di soccorrere la sorella. Queste sono le uniche indicazioni ottenute con notevole sofferenza dalla ragazza.
Bruno fa dardeggiare il suo raggio di luce su tutti i tronchi che incontra nel suo girovagare caotico. Fortunatamente ha lasciato accesi i fari dell’auto, l’unico punto di riferimento in quella buia notte senza luna. Un albero di notevoli dimensioni emerge dalla penombra, sembra un vecchio ulivo contorto. Non c’è dubbio, quello è l’albero. Lo supera e trova legato, come un san Bartolomeo, un ragazzone nero. Se è il fratello non poteva che essere nero.
Si avvicina e lo ispeziona alla luce della torcia. Il ragazzo ha le gambe piegate, sembra appeso alle corde, come fosse svenuto. Ha la testa reclinata e si notano ematomi sul volto e su diverse parti del corpo. Lo hanno picchiato duramente.
“Ehi! Boy – ha deciso di parlargli in inglese da subito – wake-up. I’m a doctor. I found your sister. Please give me a sign.” Il dottore cerca di risvegliarlo parlandogli della sorella, che è in buone mani e che aspetta di vederlo. Gli versa dell’acqua tra le labbra tumefatte e comincia a slegarlo o meglio a tagliare le corde con il coltellino serramanico che porta sempre con sé.
Lo prende in braccio per evitare che cada a terra. Lui fa un gesto scomposto come volesse allontanarlo, Bruno lo stringe a sé e lo tiene ritto. Gli prende il mento con una mano e lo obbliga a guardarlo, ora che ha aperto gli occhi, neri, desolati.
“Boy, I can help you if you want. Rispondi, dimmi qualcosa, fatti aiutare. Dai, su, forza. We have to walk to the car. Your sister is there. Andiamo da tua sorella.”
A queste parole il ragazzone si da una scrollata e cerca di reggersi ma deve appoggiarsi pesantemente a Bruno per non cadere. Ci vuole una buona mezz’ora prima di riuscire a raggiungere l’auto. Fiammetta li vede arrivare e aiuta il marito a sedere il ragazzo accanto alla sorella. I due si guardano, forse si sorridono, lei alza una mano ad accarezzare il suo volto pesto mentre lui piange silenziosamente guardandola nell’unico occhio aperto.
Bruno ha deciso di portarli nel suo studio medico dove prestargli le prime cure. Non se ne parla di passare dai carabinieri o dalla polizia. Intanto deve medicarli e rimetterli in piedi, poi si vedrà. Si consulterà col suo amico prete. Accende il motore e l’auto risponde ai comandi. Si rimette in careggiata con prudenza e dirige silenziosamente verso casa col suo delicato fardello di dolore e speranza. Le stelle occhieggiano silenziose, testimoni di un’aggressione vigliacca e crudele. (Continua…)